Rinnovabili: perché le aste non servono. Di C. Durante e T. Barbetti
Riceviamo da Carlo Durante e Tommaso Barbetti e volentieri pubblichiamo. Sul tema delle aste l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato il Position Paper “Incentivi alle rinnovabili: pochi, maledetti e subito“, che invece esprime una posizione favorevole alla definizione dei sussidi tramite un meccanismo di aste.
Il tema della recente introduzione delle aste nel mondo dell’incentivazione alle rinnovabili è oggetto di un paper realizzato da APER: in questo articolo si riassumono gli elementi principali dello studio, che verrà presentato nei prossimi giorni dall’Associazione (per informazioni rivolgersi a speciale@aper.it).
Lo spunto alla realizzazione del lavoro nasce dall’analisi dei principi ispiratori contenuti dlgs 28/2011, nonché dai numerosi aspetti del meccanismo non definiti dal legislatore, primi tra tutti i requisiti necessari per poter accedere alle aste che, ricordiamo, mettono in competizione progetti e operatori diversi per accedere a determinati livelli di incentivo e non, al contrario, per mettere operatori diversi in competizione sullo stesso progetto.
In particolare due sono le situazioni pivotali (numerose invece quelle intermedie, i cui esiti sono però sempre riconducibili all’uno o all’altra situazione): una prima in cui possano partecipare alle aste solo i progetti già autorizzati ed una seconda in cui l’accesso sia consentito ai progetti ancora privi di autorizzazione. In entrambi i casi sembrano scaturire esiti inefficaci e di sostanziale inapplicabilità al contesto della produzione da FER in Italia.
Infatti, nel caso in cui si consenta la partecipazione ai soli impianti autorizzati, accade che i progetti non vincitori, non percependo alcun incentivo, non riusciranno ad entrare in esercizio e pertanto a recuperare i costi di permitting già sostenuti (in generale si tratta di investimenti superiori al milione di euro per impianti di medie dimensioni): ciò accadrebbe anche nel caso in cui questi potessero accedere ad un incentivo pari al livello floor dell’asta che, essendo radicalmente differente rispetto al livello richiesto, non riuscirebbe comunque a garantire l’economico esercizio dell’attività di produzione.
Tale eventualità sembra già di per sé condizione sufficiente a indurre gli investitori a non intraprendere lo sviluppo di un’iniziativa soggetta al meccanismo di incentivazione ad asta; inoltre, adottando l’ottica dell’amministrazione, si assisterebbe a un fenomeno di sotto-realizzazione delle iniziative autorizzate (gli impianti realizzati sarebbero infatti sistematicamente di numero inferiore rispetto agli impianti autorizzati), con un livello di programmazione e pianificazione da parte delle Regioni/Enti Locali a cui non va a corrispondere una effettiva realizzazione delle iniziative (tale distorsione tra programmazione e sviluppo risulta particolarmente problematica nel caso in cui, all’interno dei meccanismi di Burden Sharing, si dovessero prevedere sanzioni per le Regioni che non raggiungano gli obiettivi assegnati).
D’altra parte, nel caso in cui si aprano le porte delle aste anche agli impianti non ancora autorizzati, si presterebbe maggiormente il fianco a giochi strategici da parte di taluni operatori: quandanche tali comportamenti venissero sterilizzati con efficaci meccanismi di garanzia e penalità, non vi potrà comunque essere alcuna certezza che i progetti risultati vincitori nell’asta vengano dapprima autorizzati e successivamente realizzati. Se il blocco avvenisse in fase autorizzativa, del tutto iniqua apparirebbe inoltre l’escussione delle garanzie o l’applicazione delle penali, giacché non si potrebbero riscontrare effettive responsabilità in capo al proponente, così come apparirebbe irragionevole il pagamento di una penale da parte dell’operatore nel caso si verifichino ritardi, sia da parte dell’amministrazione competente al rilascio dell’AU sia da parte del gestore di rete, che comportino il mancato rispetto del termine per l’entrata in esercizio previsto dalla disciplina delle aste.
Si verrebbero in ogni caso a creare tutte le condizioni per un inevitabile insorgere di un ulteriore livello di contenzioso tra operatori, amministrazioni e gestori di rete (che si andrebbe ad aggiungere a quelli già esistenti), eventualità questa tra le più indesiderabili sia per gli operatori sia per il sistema.
Se applicato invece solo su impianti di dimensione rilevante (o comunque definibili “strategici”, come ad esempio un grande impianto offshore), sembrerebbe invece offrire maggiori garanzie in termini di efficienza ed efficacia di funzionamento un terzo scenario in cui oggetto della gara, insieme al diritto all’incentivazione, sia l’assegnazione di un sito (e conseguentemente anche dell’autorizzazione) predeterminato dal banditore (è l’esempio di tanti altri settori, primo fra tutti l’Upstream petrolifero, per rimanere in campo energetico): tuttavia il dettato del dlgs. 28/2011, limitando l’oggetto delle aste al solo accesso all’incentivo, sembra non prendere in considerazione tale logica di lavoro.
Anche lo scarso successo delle aste in altri paesi UE (Francia, UK, Irlanda) ed extra UE (Ontario, Quebec, Brasile, Cina), ove si è registrato un livello di raggiungimento degli obiettivi che oscilla tra il 20% e il 50%, sembra confermare la tesi di partenza: il sistema delle aste non appare il più idoneo per perseguire quegli obiettivi di “promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili in misura adeguata al raggiungimento del target al 2020 e di efficacia, efficienza e semplificazione” che il dlgs 28/11 indica come fine della strategia di incentivazione delle fonti rinnovabili. Il maggiore impatto si riscontrerebbe semmai sulle condizioni di financing, che volgerebbero a favore di soggetti a forte capitalizzazione e in grado di finanziare autonomamente le nuove iniziative senza ricorso al credito, nonché sulla struttura del settore, con una presumibile ondata di consolidamento del mercato nella mani dei maggiori player energetici.
di Carlo Durante e Tommaso Barbetti