23
Nov
2010

Riforma forense: piove (forte) sul bagnato

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Sarebbe singolare, se non fosse allarmante, che la riforma forense all’ordine del giorno del Senato sia qualificata, non solo negli ambienti vicini all’Ordine ma anche nella stampa e in buona parte dell’opinione pubblica, come un’operazione legislativa di razionalizzazione della professione.

Esercitare la professione di avvocato è, molto semplicemente, un’operazione commerciale: offrire un bene (intellettuale) in cambio di una prestazione (pecuniaria). È un contratto, un rapporto sinallagmatico tra chi ne sa di più di leggi e cavilli giudiziari e chi paga quel bene intellettuale.

In linea teorica (e in alcuni paesi in linea pratica: si vedano gli studi comparati sul settore di Silvio Boccalatte, negli Indici delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni), nulla distingue, pertanto, il frutto del lavoro di un avvocato da qualsiasi bene o servizio scambiato nei più generici mercati.

Tuttavia ci sono ordinamenti, come il nostro, che per motivi storici e culturali prima ancora che per reali esigenze a tutela dei clienti, hanno innalzato barriere ormai cementificate a protezione di un ordine chiuso, di una corporazione autoreferenziale la cui ragione di vita è il mantenimento di se stessa, al di là delle reali esigenze di tutela del cliente, sia in termini di competitività che in termini di affidabilità.

Nati, in teoria, per garantire il rispetto di standard di condotta etici e professionali, laddove la morale personale non sempre arriva e la legge non arriva più, gli ordini sono facilmente divenuti costruttori di barriere dietro cui proteggere i propri (obbligati) iscritti.

Quello che sta succedendo questi giorni, tuttavia, è qualcosa di ancora più grave: la riforma in corso di approvazione, infatti, non tanto proteggerà l’ordine in sé, comprensivo di tutti i suoi iscritti, rispetto alle “minacce” concorrenziali nei mercati dei servizi professionali, quanto piuttosto proteggerà le parti forti dell’Ordine, i pesci forensi grandi rispetto ai pesci forensi piccoli, con buona pace di una competitività e di una concorrenza vantaggiosa non solo per la clientela, ma anche per gli avvocati più giovani e appena entrati nella carriera.

Vediamo perché.

La riforma reintroduce il divieto di patto di quota lite, ovvero il divieto per cui il compenso dell’avvocato può essere concordato con il cliente in maniera proporzionata rispetto all’esito e al valore della causa. La ragione riposerebbe nel fatto che un patto del genere mina la serietà e la professionalità dell’avvocato che sarebbe indotto a “litigare” ad ogni costo. In realtà, basterebbe un minimo di confidenza con i tribunali per capire come siano proprio le tariffe fisse a ingenerare nell’avvocato più rampante la volontà di litigare sempre e comunque, lucrando sul fatto che la sua prestazione è di mezzo, e non di risultato. Al contrario, invece, l’apertura al patto di quota lite rappresenterebbe un incentivo e un premio a fare bene, agganciando la remunerazione alla capacità di portare a casa la vittoria. Sarebbe dunque uno stimolo a fare meglio, e non a litigare di più, come invece accade oggi proprio in virtù del fatto che l’avvocato, a prescindere dall’esito della causa, guadagna sugli atti e le attività che compie, anche quando pretestuosi o infruttuosi.

La riforma reintroduce le tariffe minime. Qui, la motivazione sta nel convincimento che un professionista che chiede troppo poco non è un serio professionista e compromette sia la “corretta” concorrenza tra colleghi sia quell’informazione fondamentale data dal prezzo e relativa al valore del bene da pagare. In parole povere, se un avvocato chiede troppo poco si dovrebbe presumere che altera le informazioni relative a quanto vale la prestazione che il cliente chiede, a danno sia del cliente che dei colleghi. In realtà, a beneficiare della possibilità di scontare la tariffa non sarebbero solo gli avvocati scarsi, ma soprattutto i neoavvocati, che non potendo competere sulla fama e sull’avviamento rispetto agli avvocati anziani (dal punto di vista professionale) possono trovare utile farsi conoscere e entrare nel mondo del mercato forense concorrendo sul prezzo. Si tratta di una pratica comune in ogni mercato libero, in cui un modo per abbattere le barriere all’ingresso è proprio quello di competere sul prezzo, per fidelizzare poi – in un momento successivo – il cliente, sulla base della correttezza e della professionalità. Le tariffe minime, insomma, giovano solo a chi è già dentro al mercato, e vi è in una posizione di maggiore visibilità non per forza dovuta alla bravura o all’impegno. A pagarne le conseguenze, invece, sarebbero proprio quei giovani del cui inserimento nel mercato del lavoro tanto ci preoccupiamo. Infine, poiché giovane non vuol dire necessariamente bravo, se un neoavvocato riesce a farsi una clientela iniziale soltanto spuntando il prezzo ma senza dimostrarsi capace e competente, sarà il cliente stesso ad abbandonarlo in seguito, facendo fallire la sua politica di tariffe sottocosto.

La riforma prevede anche la cd. continuità professionale, ovvero la cancellazione dall’albo per quegli avvocati che non riescano a dimostrare, da un punto di vista reddituale, di vivere della loro professione e di dedicare ad essa la loro giornata di lavoro. Ancora una volta, anche se si dovessero introdurre meccanismi flessibili (deroghe per i primi anni su tutti), a farne le spese sarebbero proprio i pesci piccoli, contro i grandi studi che fanno girare centinaia di migliaia di euro. La ratio sarebbe molto semplice: ripulire l’ordine dai tanti falsi avvocati, che hanno il titolo ma non esercitano o esercitano poco. Verrebbe da dire: e allora? Siamo proprio sicuri che “troppi avvocati” fanno male, perché creano confusione nell’offerta del servizio? Siamo proprio sicuri che le persone scelgono un avvocato puntando a caso il dito sull’albo della loro circoscrizione, e non invece sulla base di un intuitu personae che nasce da una conoscenza diretta, o da una referenza di un amico fidato? Cosa cambia al mercato forense al cambiare del numero degli avvocati iscritti all’ordine? Che male c’è ad avere un ordine pieno di avvocati (considerato peraltro che ci sono ordinamenti in cui non c’è nemmeno un ordine)? Il male sarebbe, al contrario, deprimere di nuovo i neoavvocati o i piccoli avvocati, che hanno bisogno di tempo e esperienza per poter raggiungere fatturati al sicuro dalla cancellazione dall’albo.

Infine, il Consiglio nazionale chiede anche una maggiore trasparenza nella specializzazione. Ad oggi, gli avvocati possono scrivere nel loro biglietto da visita di essere specializzati in questo o quel settore senza alcun controllo. Il Consiglio vorrebbe invece che la specializzazione fosse certificata (ovviamente dal Consiglio stesso) sulla base di indici come la frequentazione di corsi di aggiornamento, master, etc. Si tratta davvero di un circolo vizioso, già emerso con l’obbligo deontologico vigente di aggiornamento professionale tramite l’acquisizione di crediti. Proprio questo obbligo ha mostrato alcune imperfezioni lampanti. Per prima cosa, nulla garantisce che l’ente erogatore del servizio di specializzazione offra davvero un buon servizio, al contrario, spesso si tratta di un modo per moltiplicare corsi di aggiornamento, master, scuole di specializzazione in maniera parassitaria e con la complicità in buona o mala fede degli ordini. Si sa, ad esempio, che i convegni universitari rischiano spesso di andare deserti. Garantirsi il pubblico tramite l’offerta di crediti di aggiornamento per gli avvocati è un modo facile di avere gente al convegno e di far perdere tempo agli avvocati.

Secondariamente, verrebbe da chiedersi: siamo sicuri che un avvocato che ha tempo di frequentare corsi che possano certificare la sua specializzazione sia davvero un buon avvocato? O al contrario sia un professionista con poca clientela e tanto tempo libero? Degli avvocati seri e competenti che conosco, nessuno ha tempo di frequentare corsi di specializzazione, proprio perché la mole di lavoro che sono riusciti, tramite la loro competenza e professionalità, a garantirsi occupa tutto il loro tempo lavorativo. Tempo lavorativo, questo sì, capace di specializzarli e renderli sempre più competenti.

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25 Responses

  1. Medioevo alle porte: riforma della professione forense in arrivo

    Di Giorgio Berloffa. Presidente di Assoprofessioni e Stefano Mannacio

    – Qualunque sia l’esito della riforma della professione forense, ciò che è successo recentemente dietro gli scranni del Senato rappresenta un vulnus alla già scarsa democrazia economica di questo Paese.
    E’ stato infatti approvato in aula un articolato che riserva, tramite un tacito accordo tra corporazioni, l’attività stragiudiziale e di consulenza legale solo ad avvocati, ordini professionali concorrenti, ai dipendenti di associazioni di categoria e dei consumatori e ai professori di diritto. Un risultato illiberale da portare sugli altari del Congresso Nazionale Forense, raggiunto con il contributo determinante dell’Italia dei Valori che ha così sostenuto una maggioranza claudicante e vanificato l’opposizione di Futuro e Libertà. L’emendamento, approvato così com’è, produrrebbe conseguenze devastanti nel mondo del lavoro e sul tasso di liberalizzazione, già tendente allo zero, del mercato italiano dei servizi professionali; costituirebbe inoltre un freno improvviso alla crescita del movimento delle professioni più innovative e non regolamentate da albi o collegi.

    Tali effetti meritano un approfondimento.
    Prima di tutto migliaia di studi professionali rischiano di essere cancellati con un tratto di penna.
    Sono composti da lavoratori autonomi che esercitano da decenni le professioni di patrocinatore stragiudiziale, esperto di infortunistica, amministratore di condominio e, in generale, tutte quelle numerose attività specializzate in uno o più rami del diritto che concorrono, sul mercato, con l’avvocatura.
    Un incubo per molte famiglie a causa di una riforma che, a detta del presidente dell’Antitrust, “fa rimpiangere quella fascista degli anni ’30”. I professionisti esclusi, molti quarantenni e cinquantenni e spesso ex quadri aziendali, nonché altri giovani che hanno investito in attività innovative, avrebbero notevoli difficoltà di riconversione in tempo di crisi: per continuare a lavorare, dovrebbero arrangiarsi o fare i ”galoppini” degli avvocati, perdendo, come ha detto il valido senatore Ichino durante il dibattito in aula, quella “autocoscienza e sapere collettivo” che proviene dal far parte di una categoria professionale peraltro libera, volontaria e non corporativa. Tutto questo potrebbe accadere in totale assenza di ammortizzatori sociali.
    La discriminante folle del formulato, che separa con l’ascia il lavoratore autonomo – che, se non è avvocato, non può lavorare – da chi è dipendente, e quindi può, è un esempio di legislazione creativa fuori dai canoni della costituzione.
    La nuova norma, se approvata, avrebbe, sempre seguendo il parere dell’Antitrust, riflessi negativi sull’utenza, dal cliente singolo all’impresa, che si troverà, a causa di una drastica riduzione dell’offerta, di fronte ad un aumento dei prezzi delle prestazioni di consulenza senza la minima certezza di un aumento della qualità delle stesse.
    Si verrebbe inoltre a minare il contributo che le professioni non regolamentate, anche nei settori benessere, sanità e fiscale, hanno fornito al Paese affermandosi come prodotto avanzato di un diritto vivente che ha stabilito, tramite luminose sentenze di merito accolte integralmente dal legislatore europeo e dalla Corte di Giustizia, confini certi tra attività riservate e libere.
    L’emendamento vuole infatti distruggere un’avanguardia della conoscenza che si è affermata sul mercato perché è competitiva con gli ordini, è organizzata anche in modo imprenditoriale, ha prezzi commisurati al livello di servizio e, non ultimo, ha la capacità di produrre e coordinare nuovi saperi specialistici e interdisciplinari.
    Se il formulato fosse definitivamente approvato, infatti, si potrebbe creare un pericoloso precedente che alimenterebbe gli “appetiti” di tutti gli altri ordini, volti ad assorbire tutto ciò che prima non era a loro esclusivamente riservato dalla legge. Niente più tributaristi ma solo commercialisti, niente osteopati o chiropratici ma solo medici, niente informatici ma solo ingegneri e così via in una regressione senza freni che porterebbe il paese definitivamente fuori dal mercato europeo delle professioni e sempre di più terra di conquista di società e professionisti esteri.
    Il timore è che si sia rotto quell’equilibrio che per dieci anni aveva affermato il principio, acquisito anche dal più retrogrado legislatore, volto a non creare nuovi ordini e a non ampliare le esclusive. La tregua era stata stabilita in attesa di una riforma organica delle professioni regolamentate e del riconoscimento, nell’ambito della libertà di esercizio e senza restrizioni di sorta, di quelle più innovative, organizzate con sistemi associativi e che promuovono la certificazione di qualità come “pietra angolare” per fornire adeguati segnali di valore.
    Tutto questo meccanismo non può essere spazzato via: l’auspicio dunque è che la Camera azzeri l’improvvida decisione del Senato senza tentennamenti, con il contributo delle forze politiche dotate di un minimo tasso di liberalismo e di buon senso, per dare il chiaro segnale che quello che è successo è stato frutto del sonno della ragione i cui mostri, però, non devono essere generati.

  2. da LIBERTIAMO
    Medioevo alle porte: riforma della professione forense in arrivo

    Di Giorgio Berloffa. Presidente di Assoprofessioni e Stefano Mannacio

    – Qualunque sia l’esito della riforma della professione forense, ciò che è successo recentemente dietro gli scranni del Senato rappresenta un vulnus alla già scarsa democrazia economica di questo Paese.
    E’ stato infatti approvato in aula un articolato che riserva, tramite un tacito accordo tra corporazioni, l’attività stragiudiziale e di consulenza legale solo ad avvocati, ordini professionali concorrenti, ai dipendenti di associazioni di categoria e dei consumatori e ai professori di diritto. Un risultato illiberale da portare sugli altari del Congresso Nazionale Forense, raggiunto con il contributo determinante dell’Italia dei Valori che ha così sostenuto una maggioranza claudicante e vanificato l’opposizione di Futuro e Libertà. L’emendamento, approvato così com’è, produrrebbe conseguenze devastanti nel mondo del lavoro e sul tasso di liberalizzazione, già tendente allo zero, del mercato italiano dei servizi professionali; costituirebbe inoltre un freno improvviso alla crescita del movimento delle professioni più innovative e non regolamentate da albi o collegi.

    Tali effetti meritano un approfondimento.
    Prima di tutto migliaia di studi professionali rischiano di essere cancellati con un tratto di penna.
    Sono composti da lavoratori autonomi che esercitano da decenni le professioni di patrocinatore stragiudiziale, esperto di infortunistica, amministratore di condominio e, in generale, tutte quelle numerose attività specializzate in uno o più rami del diritto che concorrono, sul mercato, con l’avvocatura.
    Un incubo per molte famiglie a causa di una riforma che, a detta del presidente dell’Antitrust, “fa rimpiangere quella fascista degli anni ’30”. I professionisti esclusi, molti quarantenni e cinquantenni e spesso ex quadri aziendali, nonché altri giovani che hanno investito in attività innovative, avrebbero notevoli difficoltà di riconversione in tempo di crisi: per continuare a lavorare, dovrebbero arrangiarsi o fare i ”galoppini” degli avvocati, perdendo, come ha detto il valido senatore Ichino durante il dibattito in aula, quella “autocoscienza e sapere collettivo” che proviene dal far parte di una categoria professionale peraltro libera, volontaria e non corporativa. Tutto questo potrebbe accadere in totale assenza di ammortizzatori sociali.
    La discriminante folle del formulato, che separa con l’ascia il lavoratore autonomo – che, se non è avvocato, non può lavorare – da chi è dipendente, e quindi può, è un esempio di legislazione creativa fuori dai canoni della costituzione.
    La nuova norma, se approvata, avrebbe, sempre seguendo il parere dell’Antitrust, riflessi negativi sull’utenza, dal cliente singolo all’impresa, che si troverà, a causa di una drastica riduzione dell’offerta, di fronte ad un aumento dei prezzi delle prestazioni di consulenza senza la minima certezza di un aumento della qualità delle stesse.
    Si verrebbe inoltre a minare il contributo che le professioni non regolamentate, anche nei settori benessere, sanità e fiscale, hanno fornito al Paese affermandosi come prodotto avanzato di un diritto vivente che ha stabilito, tramite luminose sentenze di merito accolte integralmente dal legislatore europeo e dalla Corte di Giustizia, confini certi tra attività riservate e libere.
    L’emendamento vuole infatti distruggere un’avanguardia della conoscenza che si è affermata sul mercato perché è competitiva con gli ordini, è organizzata anche in modo imprenditoriale, ha prezzi commisurati al livello di servizio e, non ultimo, ha la capacità di produrre e coordinare nuovi saperi specialistici e interdisciplinari.
    Se il formulato fosse definitivamente approvato, infatti, si potrebbe creare un pericoloso precedente che alimenterebbe gli “appetiti” di tutti gli altri ordini, volti ad assorbire tutto ciò che prima non era a loro esclusivamente riservato dalla legge. Niente più tributaristi ma solo commercialisti, niente osteopati o chiropratici ma solo medici, niente informatici ma solo ingegneri e così via in una regressione senza freni che porterebbe il paese definitivamente fuori dal mercato europeo delle professioni e sempre di più terra di conquista di società e professionisti esteri.
    Il timore è che si sia rotto quell’equilibrio che per dieci anni aveva affermato il principio, acquisito anche dal più retrogrado legislatore, volto a non creare nuovi ordini e a non ampliare le esclusive. La tregua era stata stabilita in attesa di una riforma organica delle professioni regolamentate e del riconoscimento, nell’ambito della libertà di esercizio e senza restrizioni di sorta, di quelle più innovative, organizzate con sistemi associativi e che promuovono la certificazione di qualità come “pietra angolare” per fornire adeguati segnali di valore.
    Tutto questo meccanismo non può essere spazzato via: l’auspicio dunque è che la Camera azzeri l’improvvida decisione del Senato senza tentennamenti, con il contributo delle forze politiche dotate di un minimo tasso di liberalismo e di buon senso, per dare il chiaro segnale che quello che è successo è stato frutto del sonno della ragione i cui mostri, però, non devono essere generati.

  3. Marco

    chi ha voluto questa riforma ( riforma???) è un imbecille che pensa solo ai fatti suoi, peccato che non abbia pensato all’incavolatura di quelli che saranno fatti fuori. Io dico che se passerà ci sarà la rivoluzione tra i giovani avvocati/praticanti e l’ordine professionale poterebbe (finalmente) fare la fine che merita.
    Fino ad oggi ha resistito solo perchè non si era spinton fino a questo punto, ma domani?

  4. aldo

    questo schifo che stanno approvando con i nostri voti è totalmente illiberale, anticostituzionale e in violazione dei principi comunitari, spero ci si svegli e si agisca…..contro questa porcata….!!!!!

  5. aldo

    questo schifo che stanno approvando con i nostri voti è totalmente illiberale, anticostituzionale e in violazione dei principi comunitari, spero ci si svegli e si agisca…..contro questa vergogna….!!!!!

  6. Condivido al 101% le critiche al progetto di riforma forense. Sono un avvocato di 29 anni, iscritto all’ordine da circa due anni, quindi mi ritrovo piuttosto bene nei problemi di cui tratta l’articolo.

    Mi permetto peraltro di aggiungere che la sedicente “riforma” non riforma…un bel nulla su quattro punti a mio avviso cruciali, che a quanto mi risulta non vengono presi in considerazione nel progetto di legge in itinere:

    (i) l’introduzione dell’obbligo di remunerazione dei praticanti, i quali fin troppo spesso lavorano come (e talvolta meglio di) molti avvocati, assumendosi responsabilità e carichi di lavoro pesantissimi, senza vedere il becco di un quattrino;

    (ii) il problema degli avvocati “liberi dipendenti”: è cosa arcinota che un giovane professionista, per poter lavorare con una certa tipologia
    di clientela (mi riferisco essenzialmente alle multinazionali, per chi si occupa di diritto commerciale, o ai grandi casi da scoop giornalistico, per i penalisti, etc.) entra in uno studio altrui, ponendosi sostanzialmente alle dipendenze di un avvocato anziano (o di un’associazione professionale), senza però godere di alcuna delle tutele riservate ai lavoratori dipendenti;

    (iii) il problema dei giuristi d’impresa. Poco tempo fa era stato proposto di inserire, nel testo della riforma, la possibilità per gli avvocati dipendenti privati di iscriversi all’albo. Questo avrebbe consentito ai tanti avvocati operanti negli uffici legali delle aziende di estendere la loro attività alla difesa in giudizio, ovviamente solo con riferimento ai procedimenti in cui l’azienda dalla quale dipendono è parte in causa.
    Appena questa notizia si è diffusa, in una delle tante newsletter giuridiche che ricevo un noto esponente dell’avvocatura roma annunciava “la morte dell’avvocatura” (addirittura?!?). Tra il divertito ed il disgustato, ho pensato a quanto potrebbero risparmiare le aziende – PMI soprattutto – se, almeno per le pratiche legali più semplici, a partire dal recupero crediti, anziché affidarsi a studi esterni potessero contare sul patrocinio di una risorsa in house. L’aspetto più deprimente è che la possibilità di stare in giudizio per gli affari dell’ente è prevista, da sempre, per gli avvocati/dipendenti pubblici e che l’iscrizione all’albo sia consentita anche ai professori universitari.

    (iv) infine, la possibilità di sperimentare forme di organizzazione professionale diverse dall’associazione professionale e dalla STP (società tra professionisti), superando il principio personalistico a base del rapporto avvocato-cliente, stimolando le forme di aggregazione interprofessionale e aprendo la possibilità di ingresso negli studi di soci di puro capitale, quali finanziatori. Per i grandi studi si potrebbe addirittura pensare alla quotazione in Borsa.
    Ma su questo punto, nel mercato italiano, siamo veramente alla fantascienza.

  7. Una idea liberale… anche per l’Avvocatura…
    Qualche riflessione sul principale “problema” che si presenterebbe di fronte alla riforma libero-professionale dell’Ufficiale Giudiziario italiano, e che preoccupa gli stessi Parlamentari impegnati nell’iter legislativo della legge “Berselli” e cioè a dire quello dei “costi del servizio” dell’Ufficiale Giudiziario.
    Indubbiamente, un Ufficiale Libero professionista e indipendente dalla struttura amministrativa ministeriale, la cui retribuzione, cioè, non fosse più a carico dell’erario (come, invece, avviene oggi per larga, se non larghissima parte), dovrebbe formare, a regime, la totalità del proprio reddito con le “parcelle” pagate da Cittadini, Imprese ed Enti vari, che si rivolgono a Lui per ottenere quelle prestazioni sempre più complesse, impegnative e con pesanti responsabilità professionali e patrimoniali, che la legge Berselli prevede.
    Ciò comporterebbe, naturalmente, un innalzamento dei costi per “l’utente finale”, innalzamento visto come inaccettabile dagli oppositori della prospettiva libero-professionale… anche se, sinceramente, sfugge la motivazione logica di questa posizione.
    Innanzitutto, è consapevolezza comune fra gli addetti ai lavori (Magistrati, Avvocati, Personale amministrativo, ma anche Politici e Governanti), che il costo medio dei servizi della Giustizia nel nostro Paese è assai basso (certo inferiore a quella famigerata “media europea”, puntualmente richiamata ogni volta che si cerca di giustificare l’aumento di prezzi e tariffe), ed è verificata regola economica per cui a “prezzi bassi” corrisponde una “bassa qualità” dei servizi stessi.
    A questo punto ci si chiede perché mai il Cittadino, l’Impresa o la Persona giuridica in genere, sia disposto a pagare assai caro il servizio “altamente professionale” e di “alta qualità” del Notaio (anche quando questi non controlla, per es., attentamente se su di un immobile in compravendita insista o meno un’ipoteca o un pignoramento e la fattispecie non è sconosciuta alle cronache…), o del Commercialista, o del Consulente del Lavoro, o dell’Avvocato (che nella “fase esecutiva” guadagna proprio contando sulle tariffe bassissime dell’UNEP), e non quello dell’Ufficiale Giudiziario libero professionista, responsabile dell’ultima delicatissima quanto fondamentale fase “del realizzo”, dell’effettivo recupero del credito, addetto a quel “lavoro sporco” (sappiamo tutti noi UG come viene considerata la nostra professione, che nessuno vorrebbe fare, ma che tutti i creditori “pretendono” sia fatta con celerità e cura), il quale “dà senso” a quei “pezzi di carta”, i Titoli esecutivi, predisposti dai Giudici su istanza degli Avvocati di parte, e che laddove non riuscisse a garantire un effettivo recupero del credito, darebbe almeno la sicurezza circa le reali condizioni economiche, incapienti, del debitore.
    “Una riforma come questa se vuole scaricare costi dalle Casse dello Stato, comporta inevitabilmente un aggravio di spese per il privato. Tuttavia, a fronte della situazione attuale il rapporto tra costi e benefici potrebbe risultare in attivo , oltre al fatto che la concorrenza tra diversi professionisti (gli Ufficiali addetti allo stesso circondario di Tribunale, n.d.r.), potrebbe rendere nel complesso il servizio migliore, stando al mercato la selezione dei migliori, con conseguente eliminazione dei peggiori”.
    E questo per citare una delle numerosi parti dell’intervento del Prof. Mauro Bove al Congresso AUGE di Rimini, favorevoli alla libera professione dell’U.G., di fronte alle strumentalizzazioni di questa stessa relazione fatte recentemente da qualche sindacalista, contrario alla Riforma, piuttosto confuso e in preda al panico in vista della probabile perdita dello “… stipendio fisso, che non si può buttare via” e della prospettiva di dover mettere in campo “…sacrificio, volontà ma soprattutto tanta professionalità, o se volete, tanto studio.”.
    L’aumento, significativo o meno, dei costi dell’opera dell’U.G. comporterebbe, due conseguenze principali: la prima un forte ridimensionamento delle richieste di intervento dell’U.G., che agirebbe solo nei casi più importanti, per i crediti più ingenti (ricordiamo che le società di recupero crediti, tanto temute da alcuni UG pur essendo fuori dal circuito giudiziario e non avendo per legge nessun potere in relazione al “titolo esecutivo” ex art.474 cpc, non prendono nemmeno in considerazione il recupero di crediti inferiori ad una certa soglia), o per i casi previsti dalla riforma, a più alto contenuto di competenza professionale (con “qualità” delle prestazioni che prevale sulla “quantità”), con la conseguente (ri-)presa di coscienza da parte degli Avvocati che il ricorso ad un soggetto che entra nelle case/aziende con poteri incisivi sul patrimonio mobiliare, immobiliare e finanziario, deve essere una assoluta “extrema ratio”, e parallela ripresa della funzione di “mediazione” da parte degli stessi Avvocati.
    Tutti gli Ufficiali Giudiziari, sul campo quotidianamente, sono ben consapevoli di quanto anche le “tariffe”, francamente ridicole, spingano l’Avvocato, poco abile o paziente nelle trattative col debitore, a portare gli atti all’U.G., che deve fare l’accesso per un credito risibile, spesso non può esimersi dal fare il pignoramento, che implica il successivo deposito in cancelleria, la formazione di un fascicolo, insomma spreco di risorse per procedure che, spesso nella migliore delle ipotesi, non produrranno nulla.
    La seconda conseguenza, direttamente correlata alla prima, sarebbe che con molti meno atti da gestire un contenuto numero di Ufficiali Giudiziari, che opterebbero per la libera professione, riuscirebbe ad assicurare un servizio accettabile su tutto il territorio anche nei primi anni di vigenza del nuovo ordinamento, in attesa che siano pronti per il concorso di ammissione alla professione i praticanti Ufficiali Giudiziari, che andrebbero a coprire le vacanze d’organico, significative già oggi e che spetterebbe all’amministrazione della Giustizia coprire attraverso nuovi concorsi (e questo per rispondere ad un’altra preoccupazione “operativa” dei Parlamentari che stanno lavorando all’iter della riforma).
    Oppure, vogliamo dire che l’Erario deve continuare a “foraggiare” il decisivo settore della esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, garantendo minimi retributivi contrattuali a funzionari pubblici, a prescindere dai vantaggi concreti per i soggetti privati e dalla efficienza generale del sistema, per assicurare ad un esercito di 226.000 Avvocati (fonte CNF, Bologna novembre 2008), tariffe calmierate per la notifica e l’esecuzione di titoli di qualsiasi ammontare, richiesti e prodotti in continuazione ed in numero fuori da ogni controllo, destinati ad ingolfare le Cancellerie dei Tribunali, e per i quali l’Amministrazione sarà sempre in affanno nell’assicurare personale, strutture e risorse in numero sufficiente?
    La riforma libero professionale dell’Ufficiale Giudiziario, quindi, avrebbe come conseguenza immaginabile, tra le altre, anche quella di limitare il contenzioso, la lunghezza delle controversie, insomma tutta quella “sovrastruttura” di procedure e burocrazia, che il sistema economico e sociale italiano non può veramente più permettersi; e tutto questo passerebbe anche attraverso non solo una significativa selezione nella categoria professionale dell’Avvocatura (la quale è ben consapevole di avere nel numero pletorico dei suoi componenti, il principale nemico del suo stesso sviluppo e riqualificazione), ma anche un ridimensionamento delle pretese economiche del legale a favore dell’Utente finale/cliente, che dovrà tenere conto anche dell’opera qualificata (spesso decisiva), dell’Ufficiale Giudiziario;
    di fronte a tali prospettive, riesce difficile trovare ancora argomenti contro la riforma in itinere.
    Alberto Monari
    Funzionario Ufficiale Giudiziario-Tribunale di Piacenza

  8. “Una riforma che fa rimpiangere quella fascista degli anni ’30”. Antonio Catricalà (ex) Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

    Come era prevedibile la riforma forense è passata al Senato in prima lettura a larga maggioranza. Il piatto per il Consiglio Nazionale Forense, che si svolgerà in una nave da crociera a Genova (propongo per il prossimo anno la Piramide di Cheope), è stato servito. Dal resoconto parlamentare si può capire che il gruppo di FLI, che aveva votato contro l’emendamento per la riserva sull’attività stragiudiziale, ha votato a favore del provvedimento pur manifestando molte perplessità. Meglio che la parte “liberal” di FLI, che può essere decisivo, si svegli alla Camera. Potevano almeno votare come l’UDC che si è astenuta (voto che al Senato equivale a voto contrario). L’Italia dei Valori, che aveva votato a favore della nuova riserva, ha invece votato contro il provvedimento. Poteva pentirsi prima, meglio tardi che mai. Il PD ha votato contro, bene. La Lega e il PDL hanno votato a favore. L’intervento di Mugnai è stato scandaloso.

    Un plauso al senatore Pistorio di MPA e Gruppo Misto.

  9. Mauro

    Tutte le corporazioni sono crollate per questi motivi:
    1. Rivoluzione
    2. Crollo del monopolio per effetto di una rivoluzione tecnologica
    3. Conquista esterna
    4. Sfaldamento della società con conseguente declino economico che riduce i margini: di conseguenza si genera una guerra civile nella corporazione
    Direi che ci stiamo avviando verso l’ultima soluzione…

  10. Paolo

    Verrebbe voglia di impegnarsi in politica, solo per mirare a:
    – cancellazione di TUTTI gli ordini professionali
    – cancellazione di TUTTE le corporazioni
    – creazione di servizi alla “BBB” (Best Business Bureau) per la gestione di controversie e per la misura del consensus degli utenti

  11. jan

    Sono d’accordo al 99%, l’unica cosa che mi sentirei di “difendere” è il minimo tariffario. Abolire il minimo favorirebbe proprio i pesci grossi; si pensi ai megastudi con grosse risorse economiche in grado di lavorare “sottocosto” anche per diversi anni, ben presto ucciderebbero la concorrenza con una sorta di dumping tariffario. Per il resto condivido tutto e preciso che, fosse per me, chiuderei bottega domattina perché il sistema giustizia in Italia è una tragica farsa e l’ordine è il capocomico.

  12. Renato

    Non riesco a capire perchè il PDL non prenda in considerazione che sono di piu gli utenti che desiderano le liberalizzazioni di coloro che sguazzano negli ordini professionali; otterrebbero, nelle elezioni, un maggior numero di voti! Mi ricordano, i deputati e senatori del PDL, quel personaggio di Aldo Giovanni e Giacomo che si batteva sui c….

  13. maria b

    Ottimo articolo, informa e argomenta i molti motivi di perplessità (eufemismo). Note a margine: 1)specializzazioni: ecco l’ennesima certificazione -avanti con le carte!!; prevedo sorte analoga a quella dei crediti formativi: relazioni quasi mai sopra la soglia della decenza, platea di persone lì giusto per il pezzo di carta (l’ennesimo!), talvolta con gli atti da correggere sulle ginocchia. 2)tariffe minime:finalmente vedo smentiti i soliti luoghi comuni, e cioè che siano a favore del cliente -mentre non siamo in un mondo felice pieno di avvocati corretti che sconsigliano i clienti di fare cause ad alto rischio di soccombenza- ed aiutino l’ingresso alla professione -mavalà, quando ho iniziato (ora ho 45 anni) le tariffe minime c’erano ma stariffavo sempre, e i clienti contenti tornavano. Continuo più che mai ad essere favorevole all’abolizione del valore legale del titolo di studio e credo che l’albo avvocati e i consigli dell’ordine andrebbero aboliti, ma purtroppo le scelte stanno andando in direzione ostinata e contraria.Grazie.

  14. @jan
    Gentile Jan, capisco la Sua perplessatità.
    Il tema più complesso è quello delle tariffe minime, su cui personalmente mi sono confrontata (anche in modo molto acceso) proprio con giovani avvocati.
    Il punto è che la questione dell’abolizione dei minimi dovrebbe accompagnarsi a misure molto più coraggiose (che iniziano dalla selezione universitaria e finiscono alle sorti dell’Ordine), di cui certo questa non può essere la sede per discutere.
    Ad ogni modo, per quanto sia la questione più delicata, continuo a credere alla intelligenza dei clienti nel fiutare l’inganno di tariffe troppo basse o nel punire quegli avvocati da cui sono stati adescati per tariffe sottocosto ma da cui poi sono stati delusi.
    La ringrazio comunque per il rilievo, di certo importante.
    serena

  15. Guglielmo

    E’ una riforma scandalosa, e schifosa, e i notai che da 4 anni non finiscono di correggere i compiti scritti dell’esame !!! ci sono aspiranti che stanno da 8-10 anni dietro al concorso (una vita). Ora hanno creato pure l’ordine dei buttafuori con tanto di abilitazione, corsi, obbligo di utilizzarne un certo numero finanche nei cinema e nei teatri. Hanno creato la figura abilitata ad istallare i server e i computer con registro elenco, multe. Boh!! Io dico ma uno che sta ai vertici di questi partiti che si dicono di destra non se li chiama e gli dice. Ma che c… fate.

  16. Marco

    Paolo :Verrebbe voglia di impegnarsi in politica, solo per mirare a:- cancellazione di TUTTI gli ordini professionali- cancellazione di TUTTE le corporazioni- creazione di servizi alla “BBB” (Best Business Bureau) per la gestione di controversie e per la misura del consensus degli utenti

    quoto!
    organizziamoci!

  17. Marco

    … c’è un motivo per cui ritengo giusto cancellare quei 50/70 mila avvocati dall’albo … non è certo per la continuità professionale o i limiti reddituali … ma perché di fronte ad una legge così illiberale e abominevole dovrebbero far tremare l’Italia intera … e invece … se non sono in grado di tutelare i propri interessi figuriamoci come possono tutelare quelli dei loro clienti … che vengano cancellati e cambino mestiere

  18. paolo

    grazie per l’articolo. purtroppo chi fa le leggi e chi le consiglia (il consiglio nazionale forense) sembra non avere ben chiara la realtà e i veri bisogni della professione forense

  19. Luca

    Svolgo la professione da ormai una decina d’anni seppur ancora anagraficamente giovane e a mio modestissimo parere l’articolo ripropone qualche luogo comune e molti miti da sfatare:

    1) Patto di quota lite
    Privilegia sempre e comunque la parte forte del rapporto avvocato-cliente. Se il cliente è l’impresa di medio grosse dimensioni avrà la forza di imporre percentuali di remunerazione spesso risibili, con l’immediata conseguenza che per campare l’avvocato pretenderà percentuali molto alte (se non addirittura l’intero credito acquistandolo per pochi spiccioli) quando gli si rivolgerà il cliente ‘debole’.
    Oltre a quanto appena evidenziato in merito ai rischi …. sugli effetti deflattivi l’articolo vede solo una parte dimenticandosi dell’altra … è vero che l’avvocato del creditore che abbia stipulato un patto di quotalite sul recuperato farà di tutto per accelerare i tempi del recupero … ma l’avvocato del debitore che abbia stipulato un analogo patto sul ‘risparmiato’ secondo voi quanto la tirerà per le lunghe così da sfiancare il creditore?

    2) Tariffe minime
    Come molto spesso si invoca a mò di dogma di fede dai poteri taumaturgici ‘il mercato’ come soggetto in grado di premiare i migliori e punire i peggiori, perchè chi offrisse servizi scadenti a clienti attratti da prezzi bassi finirebbe per non veder tornare i clienti.
    E’ un’immaginina molto simpatica, senonché l’avvocato non vende caramelle, ma partecipando alla funzione giurisdizionale i suoi ‘servizi scadenti’ rischiano di tramutarsi in errori di giudizio, magari incidenti anche sulla libertà delle persone.
    Bellissima la concorrenza, i prezzi bassi e magari pure la pubblicità stile hard discount … magari anche per l’avvocato penalista specializzato in omicidi?

    3) Continuità professionale
    Forse la finalità è quella di evitare non la concorrenza, ma la concorrenza sleale di chi si dedichi massimamente a lavorare in evasione fiscale così da non raggiungere neppure 1250 euro di fatturato (non di reddito) al mese?
    Abbandoniamo l’immagine romantica del nobile avvocato e guardiamo in faccia la realtà. Molti la concorrenza sul prezzo la praticano ‘risparmiando’ sui costi fiscali …. e credo sia venuto il momento di metterli davanti al bivio: o dichiarate o fuori dalla professione.

    4) Specializzazioni
    Qua condivido in toto.

    Cordialità
    Luca

  20. Dario

    Sarei lieto se si parlasse in modo più attento sul mondo delle partite IVA, ovvero i veri precari, coloro che sono sfruttati dai medesimi colleghi, “più anziani” o semplicemente più ammanicati.
    E’ necessaria una riforma sostanziale del lavoro in Italia, senza che ci sia un altro caso Biagi. Parlo per esperienza personale, e perché ogni giorno vedo situazioni simili, e il tutto in un assoluta omertà senza che alcuno rivendichi la propria posizione.

  21. Alessandro

    stefano mannacio :
    da LIBERTIAMO
    Medioevo alle porte: riforma della professione forense in arrivo
    Di Giorgio Berloffa. Presidente di Assoprofessioni e Stefano Mannacio
    – Qualunque sia l’esito della riforma della professione forense, ciò che è successo recentemente dietro gli scranni del Senato rappresenta un vulnus alla già scarsa democrazia economica di questo Paese.
    E’ stato infatti approvato in aula un articolato che riserva, tramite un tacito accordo tra corporazioni, l’attività stragiudiziale e di consulenza legale solo ad avvocati, ordini professionali concorrenti, ai dipendenti di associazioni di categoria e dei consumatori e ai professori di diritto. Un risultato illiberale da portare sugli altari del Congresso Nazionale Forense, raggiunto con il contributo determinante dell’Italia dei Valori che ha così sostenuto una maggioranza claudicante e vanificato l’opposizione di Futuro e Libertà. L’emendamento, approvato così com’è, produrrebbe conseguenze devastanti nel mondo del lavoro e sul tasso di liberalizzazione, già tendente allo zero, del mercato italiano dei servizi professionali; costituirebbe inoltre un freno improvviso alla crescita del movimento delle professioni più innovative e non regolamentate da albi o collegi.
    Tali effetti meritano un approfondimento.
    Prima di tutto migliaia di studi professionali rischiano di essere cancellati con un tratto di penna.
    Sono composti da lavoratori autonomi che esercitano da decenni le professioni di patrocinatore stragiudiziale, esperto di infortunistica, amministratore di condominio e, in generale, tutte quelle numerose attività specializzate in uno o più rami del diritto che concorrono, sul mercato, con l’avvocatura.
    Un incubo per molte famiglie a causa di una riforma che, a detta del presidente dell’Antitrust, “fa rimpiangere quella fascista degli anni ’30”. I professionisti esclusi, molti quarantenni e cinquantenni e spesso ex quadri aziendali, nonché altri giovani che hanno investito in attività innovative, avrebbero notevoli difficoltà di riconversione in tempo di crisi: per continuare a lavorare, dovrebbero arrangiarsi o fare i ”galoppini” degli avvocati, perdendo, come ha detto il valido senatore Ichino durante il dibattito in aula, quella “autocoscienza e sapere collettivo” che proviene dal far parte di una categoria professionale peraltro libera, volontaria e non corporativa. Tutto questo potrebbe accadere in totale assenza di ammortizzatori sociali.
    La discriminante folle del formulato, che separa con l’ascia il lavoratore autonomo – che, se non è avvocato, non può lavorare – da chi è dipendente, e quindi può, è un esempio di legislazione creativa fuori dai canoni della costituzione.
    La nuova norma, se approvata, avrebbe, sempre seguendo il parere dell’Antitrust, riflessi negativi sull’utenza, dal cliente singolo all’impresa, che si troverà, a causa di una drastica riduzione dell’offerta, di fronte ad un aumento dei prezzi delle prestazioni di consulenza senza la minima certezza di un aumento della qualità delle stesse.
    Si verrebbe inoltre a minare il contributo che le professioni non regolamentate, anche nei settori benessere, sanità e fiscale, hanno fornito al Paese affermandosi come prodotto avanzato di un diritto vivente che ha stabilito, tramite luminose sentenze di merito accolte integralmente dal legislatore europeo e dalla Corte di Giustizia, confini certi tra attività riservate e libere.
    L’emendamento vuole infatti distruggere un’avanguardia della conoscenza che si è affermata sul mercato perché è competitiva con gli ordini, è organizzata anche in modo imprenditoriale, ha prezzi commisurati al livello di servizio e, non ultimo, ha la capacità di produrre e coordinare nuovi saperi specialistici e interdisciplinari.
    Se il formulato fosse definitivamente approvato, infatti, si potrebbe creare un pericoloso precedente che alimenterebbe gli “appetiti” di tutti gli altri ordini, volti ad assorbire tutto ciò che prima non era a loro esclusivamente riservato dalla legge. Niente più tributaristi ma solo commercialisti, niente osteopati o chiropratici ma solo medici, niente informatici ma solo ingegneri e così via in una regressione senza freni che porterebbe il paese definitivamente fuori dal mercato europeo delle professioni e sempre di più terra di conquista di società e professionisti esteri.
    Il timore è che si sia rotto quell’equilibrio che per dieci anni aveva affermato il principio, acquisito anche dal più retrogrado legislatore, volto a non creare nuovi ordini e a non ampliare le esclusive. La tregua era stata stabilita in attesa di una riforma organica delle professioni regolamentate e del riconoscimento, nell’ambito della libertà di esercizio e senza restrizioni di sorta, di quelle più innovative, organizzate con sistemi associativi e che promuovono la certificazione di qualità come “pietra angolare” per fornire adeguati segnali di valore.
    Tutto questo meccanismo non può essere spazzato via: l’auspicio dunque è che la Camera azzeri l’improvvida decisione del Senato senza tentennamenti, con il contributo delle forze politiche dotate di un minimo tasso di liberalismo e di buon senso, per dare il chiaro segnale che quello che è successo è stato frutto del sonno della ragione i cui mostri, però, non devono essere generati.

  22. Alessandro

    Condivido completamente il pensiero del dott. Mannacio, vogliamo uscire dalla situazione di stallo in cui ci troviamo???
    Oppure far diventare questo paese, ormai ridotto ad un Bipartisan costante e clientelare, un avamposto della Povertà Intellettuale ….
    Deve essere premiata la vera Meritocrazia, la Vera Passione e la Crescita.
    Cito una frase di Oscar Giannino che mi è rimasta nella testa da tre anni fa all’incontro al Castello di Bevilacqua. “Il Mondo è di chi ha fame.” Questa è la Vita, non certo delle Anacronistiche Corporazioni con le ragnatele.

  23. Piero Sampiero

    Fare l’avvocato non è fare il salumiere o l’idraulico.

    Per quanto la professione, per precipuo merito dell’ordine forense e la foie vetero-marxiste di Bersani & soci, sia gravemente scaduta e si sia proletarizzata, tanto da offrire il triste spettacolo dell’apertura di punti vendita del diritto, con pareri legali ad un euro al Chilo, quasi fossero porno-shop o pollerie, rimane il suo rilievo costituzionale e la differenza invalicabile con le altre professioni intellettuali.

    Soprattutto, viene in evidenza l’indispensabile necessità, nell’interesse del cittadino e dello stato di diritto, che l’avvocatura si fondi su meritocrazia e senso di responsabilità, deontologia ed indipendenza dai poteri politici ed economici.

    Ora, dopo aver aperto le porte a circa 250.000 avvocati (il numero in assoluto più elevato d’Europa), che cosa si vorrebbe realizzare?

    Il guinness dei primati con l’acquisizione di un legale per ogni abitante di questo paese, contrattando magari col patto di quota lite, che salame vendere e comprare?

    Un minimo di razionalità e di dignità imporrebbe una buona selezione fin dall’ingresso
    all’Università ed un’autonomia tale da non dover ‘corteggiare’ o servilmente chiedere la grazia al magistrato di turno (altrettanto presuntuoso quanto approssimativo) per ottenere il riconoscimento dei sacrosanti diritti del cliente.

    Gli ordini professionali andrebbero aboliti tutti, come tutte le corporazioni ( in primis quella dei magistrati ), per realizzare il dettato costituzionale del giusto processo con parità sostanziale e formale delle funzioni di giudice ed avvocato, con la speditezza dei procedimenti, la funzionalità, la rapidità e la certezza delle decisioni e l’equità del giudizio.

    Se si vuol fare, oggi, qualche piccola cosa buona alla Camera, occorrerebbe limitare lo strapotere dell’Ordine e della Cassa di previdenza ed assistenza, che in regime di monopolio, spremono, con balzelli e contributi sempre più esosi gli appartenenti all’albo.

    Perché mai si dovrebbe rendere obbligatoria l’assicurazione sui rischi professionali e basare la permanenza dell’iscrizione ‘ad nutum’ dei consigli dell’ordine?
    Per privilegiare un reddito sempre maggiore, che permette prelievi sempre più succosi… per la Cassa?

    Si tratta di due nuove gravose imposizioni, che contraddicono in radice la libertà della professione, riducendo al rango di mucche da mungere tutti gli avvocati senza distinzione di rango.

  24. Davide K

    Piero Sampiero :
    Fare l’avvocato non è fare il salumiere o l’idraulico.

    Ah no, e cosa cambia?
    Se vuole posso stare qui mezz’ora a spiegarle come il salumiere sia una professione “unica” e degna di un sacco di tutele.
    Pensi solo che da questa figura dipende la salute, se non la vita, delle persone che vi si rivolgono.
    Non sarebbero quindi necessarie altrettante regole per tutelare la figura professionale del salumiere ed i suoi clienti?

    Non parliamo poi dell’idraulico, nelle cui mani si mettono non solo la propria salute e la propria vita (pensi solo all’acqua usata per bere e cucinare!), ma anche la salute e la vita di chi ci sta intorno (pensi solo a cosa può succedere in un condominio in caso di guasti all’impianto idraulico!) nonchè la gestione di una risorsa scarsa e fondamentale per ogni specie vivente come l’acqua stessa.

    Sì, tutto sommato penso che almeno l’idraulico sia più importante dell’avvocato.

    Questa riforma fa vomitare, e le scuse indecenti che si sentono a sua difesa si possono, come vedete, tirare fuori per qualsiasi lavoro.

  25. Beh, il fatto che un professionista debba aggiornarsi è fondamentale, perché la novità sono troppe e non ci si riesce a star dietro… Tant’è che ho visto professionisti non essere aggiornati e, soprattutto quando i settori sono aperti o non separati per specializzazione, chi ne paga le conseguenze sono i clienti.
    Ho seguito un contenzioso contro un soggetto seguito da un avvocato, specializzato in diritto del lavoro che però non sapeva nemmeno che cosa fosse la conciliazione monocratica che, nei riguardi del datore di lavoro, poteva essere più utile rispetto alla conciliazione collegiale. Alla fine il suo assistito si è trovato con delle belle gatte da pelare…
    Mi piacerebbe che la specializzazione fosse la chiave della modernità, della professionalità seria e soprattutto delle università più pragmatiche, meno teoriche, e collegate al mondo del lavoro (spesso anche i master sono troppo teorici e slegati dal mondo produttivo).
    Credo dunque che le liberalizzazioni, per certi versi siano utili (anche se poi, se pensiamo alla tariffa, cambia poco visto che nessuno le abbassa e ci sono alcuni che credono che il codice deontologico vada rispettato sopra alla legge, cioè anche in caso di contrasto con essa); così come credo che sia fondamentale la specializzazione e lo studio continuo.
    Fare l’avvocato o fare altra professione intellettuale non è facile, ma nessun lavoro lo è, per un motivo o per l’altro. Ma farlo bene è un’altra cosa e vorrei avere in mano uno strumento per scoprire quanti lo fanno davvero bene. Sarà perché sono un’idealista e mi appassiona molto il diritto che seguo una convinzione: se tutti, nello svolgimento del nostro lavoro, utilizzassimo meglio il diritto e il buon senso potremmo avere risultati migliori, soprattutto nei confronti dei clienti o, in rilievo, delle parti assistite dal professionista (quanti spiegano davvero al cliente tutto? diritti e doveri? conseguenze? e quanti sono disposti a legare la parcella alla propria competenza, lasciando a somme marginali le parcelle in caso di perdita? ecc. ecc.).

    Tuttavia, fatte queste mie premesse o riflessioni personali, devo dire che ritengo ottimo il parere di un altro Luca, portato in commento #19. Pone delle osservazioni davvero ottime, soprattutto quando conclude con la realtà dell’evasione fiscale. Lo ringrazio, mi ha spinto a condividere le sue riflessioni, pur continuando a ritenere giuste le liberalizzazioni in quanto tali.

    Un caro saluto, e complimenti per questo spazio.
    Loud

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