22
Set
2021

Rifiutare la neutralità tecnologica: un modo per far male i calcoli

“Calculemus!”
Gottfried Willhelm von Leibniz – Dissertatio de arte combinatoria

Come si fa a trasformare la scienza in ideologia? A volte, non servono i gesti eclatanti: è questione di semplici parole. Un esempio (non completamente) a caso: si può decidere di estromettere dalla proposta di Piano per la transizione ecologica, creata dal Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica) e attualmente discussa in Parlamento, il principio della “neutralità tecnologica”.

Il documento si propone di offrire un “inquadramento generale della strategia per la transizione ecologica”, disegnando quello che il Ministro Cingolani ha descritto come un percorso virtuoso verso forme di sviluppo sostenibile. La proposta si articola in cinque macro-obiettivi, il primo dei quali rappresenta la stella polare del Piano: la riduzione entro il 2030 del 55% delle emissioni di gas serra (rispetto ai livelli del 1990, usato come anno di riferimento) e la neutralità climatica entro il 2050.

Per affrontare questa sfida, è importante il principio di neutralità tecnologica? E perché?

A volte, ci dimentichiamo di pensare al mercato (quindi al sistema dei prezzi) come a una sorta di intelligenza collettiva e impersonale, che aggrega quelle individuali. Lo scambiamo, invece, per una struttura di supporto: una nervatura resistente o una spina dorsale che sorregge il sistema economico. Che cosa c’è di male, allora, nell’affidarsi a un ingegnere che definisca il progetto nei minimi dettagli? Che cosa c’è di male nello schierarsi, nel sostenere apertamente la tecnologia “giusta” x? D’accordo: magari alla stessa riduzione di CO2 potremmo arrivare in modo altrettanto (o più) efficace per mezzo della tecnologia y o z, ma non è il caso di sottilizzare.

Giusto? Forse no.

Una struttura, per quanto resistente e flessibile al tempo stesso, è pur sempre qualcosa di fisso: è costituita da pezzi di metallo, o di legno. Il modo in cui cerchiamo, invece, di affrontare i problemi come il cambiamento climatico mi sembra molto più adattivo: simile all’elaborazione di informazioni.

In effetti, decarbonizzare è una sfida tecnologica gigantesca, che ci permette di toccare con mano quello che Ludwig von Mises chiamava “il problema del calcolo”.

Come von Mises illustrava già nel suo articolo del 1920, problemi come il cambiamento climatico ci mettono di fronte alla necessità di allocare risorse scarse. Come riuscire a farlo nel modo migliore, o più efficiente? Su questo punto si gioca la partita fra dirigisti e liberali. Il punto evidenziato da von Mises prima, e da Hayek poi, è che la complessità generata dalle innumerevoli variabili in gioco (nonché dalle loro reciproche interazioni) rende molto difficile per un Decisore Centrale trovare la Panacea, o la Pallottola d’Argento: ossia la soluzione che funziona per tutti i casi e in tutti i contesti.

Come le stesse compagnie energetiche hanno sottolineato nelle scorse settimane, la pianificazione centrale alla Lenin o alla Hindenburg non è efficace.

Per risolvere (sia pure in maniera approssimata, o iterativa) questo genere di problemi, abbiamo imparato a usare il mercato. Questo, più che a una struttura immobile, è simile dunque a un progetto di grid computing: come, per esempio, la Great Internet Mersenne Prime Search (GIMPS), che usa la potenza di calcolo messa a disposizione da volontari in tutto il mondo per verificare se dei numeri di Mersenne molto grandi, della forma M_p = 2^p -1, sono numeri primi o meno.

Analogamente: il mercato è un sistema di calcolo distribuito alimentato dalla libera scelta degli individui che vi prendono parte, anziché dalla corrente elettrica come un supercomputer. I prezzi sono il corrispettivo dei bit: cioè il mezzo attraverso cui le informazioni sono trasmesse o elaborate.

Per fissare le idee, proviamo a fare un esempio.

Supponiamo che io decida di collezionare fumetti della DC Comics. Animato da questo intento, potrei iniziare a documentarmi sui numeri storici e fare, così, una scoperta curiosa. Mentre il volume Detective Comics n. 28 viaggia, diciamo, sui 64.000 dollari, il volume n. 27 è venduto a 1.380.000 dollari.

Anche se sono un collezionista ignorante e non so che, nello specifico, il n. 27 contiene la prima apparizione del personaggio di Bruce Wayne o Batman, quella differenza di prezzo mi “parla”. Mi rivela o che il n. 27 è molto scarso o che per qualche altra ragione (abbiamo appena detto quale) è molto desiderabile.

Lo stesso criterio si potrebbe (e si dovrebbe) applicare alla transizione energetica. Supponiamo, sempre per fissare le idee, di voler produrre idrogeno. Abbiamo due possibilità: tramite steam reforming del metano con cattura e stoccaggio della CO2 a valle (opzione A) o tramite elettrolisi dell’acqua alimentata interamente con elettricità da fonte rinnovabile (opzione B). Come abbiamo fatto per i fumetti, guardiamo ai prezzi: l’idrogeno prodotto con l’opzione A costa circa 1,7 euro/kg, contro i 3,5-5,0 euro/kg dell’opzione B.

Un divario di prezzo che, anche qui, rivela informazione sottostante: ossia efficacia, efficienza e costo delle fonti rinnovabili rispetto ai sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 (nonché del suo futuro utilizzo: per es. la produzione di polimeri, materiali per l’edilizia o di biocarburanti tramite il suo fissaggio su microalghe).

Rifiutare la neutralità tecnologica significa, quindi, rifiutare il ruolo del sistema dei prezzi e dell’analisi costi vs. benefici come meccanismi cruciali di trasmissione ed elaborazione delle informazioni, confidando (su che base?) che la tecnologia vincente possa essere decisa dallo Stato con un “fiat”. Un atteggiamento che, sotto sotto, promana dal ritenere magico il potere dell’autorità: come se una commissione parlamentare potesse decidere quale sia l’algoritmo più efficiente per verificare se 2^8258993 – 1 è un numero primo.

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