Rete: una e pubblica oppure due in concorrenza?
La prima ipotesi, quella di un’unica rete pubblica, l’aveva tuonata Grillo nel 2020; la seconda (due reti in concorrenza) pare trovasse i favori del ministro Colao. Ma sostanzialmente il governo Draghi la questione l’ha lasciata come l’aveva trovata. Eppure da questa scelta dipende il futuro di una delle poche grandi aziende che ci sono rimaste, “ci” per modo di dire, perché a controllarla è la francese Vivendi.
La tesi di Bassanini, che per motivi antitrust le rete dovesse essere come la sua Open Fiber, cioè wholesale only, evitando che chi vende connettività possa vendere servizi su rete, è stata nel frattempo respinta dalla Corte del Lussemburgo.
È chiaro che “una e pubblica” debba piacere ai sovranisti. Ma, a meno di rischiosi espropri, questo significa che la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) comperi la rete Telecom da TIM per poi integrarla con la propria Open Fiber. E poiché Vivendi chiede una cifra che CDP giudica eccessiva, vuole che sia il mercato a dire il prezzo, facendo un’OPA sull’intera TIM. Sono noti gli interventi con cui il pubblico ha interferito su TIM dopo la privatizzazione, deviando o bloccando le strategie di tutti quelli che si sono succeduti al controllo dell’azienda: la ri-pubblicizzazione di Tim sarebbe l’intervento totale e definitivo di una privatizzazione mai accettata.
Se l’OPA avesse successo, CDP dovrebbe gestire TIM. Ovviamente ne scorporerebbe la rete unificandola con Open Fiber. Primo problema: Open Fiber è tutto tranne che un successo: perché dovrebbe esserlo la gestione di un’azienda di un ordine di grandezza maggiore? Secondo: è indubbio che TIM, tranne nella breve presidenza di Giuseppe Recchi, sia stata gestita male, perché mai CDP dovrebbe fare meglio di tutti?
La cattiva performance delle TELCO è ancora più irritante se comparata con i successi degli OTT. Chiaro che quel modello di business è per loro impraticabile, ma forse lo sono certi fenomeni di fondo. La caratteristica più rilevante del business degli OTT è il flusso dei dati senza barriere entro i confini dell’impresa, che consente l’estrazione di valore che altrimenti resterebbe inespresso: qualsiasi forma di segregazione o, come si dice, di “separazione” non potrà che sortire l’effetto opposto.
In risposta alla sfida degli OTT, sempre più integrati, negli USA le industrie delle TLC e dei media in alcuni contesti stanno convergendo. Questa convergenza porta a confini di settore più labili, permettendo l’emergere di un nuovo tipo di industry ICT “data-driven”. Al contrario la mera connettività ha un costo sempre meno sostenibile a causa degli investimenti massicci in fibra ottica e in small cell del 5G, che devono essere sempre più capillari per assicurare copertura e qualità per le TELCO. È quindi per le TELCO urgente rivisitare il modello di business tradizionale basato sull’offerta di connettività, già oggi inadeguato a contenere la pressione degli OTT.
Fra quelle più attente, specialmente negli USA, si nota una propensione crescente alle integrazioni, talvolta orizzontali (ad esempio gli M&A attuati da T Mobile US), talaltra verticali (vedi il caso ATT-Time Warner). Questi recenti eventi di mercato hanno evidenziato l’importanza delle efficienze generate dall’integrazione fra imprese. In tutto il mondo nessun caso di separazione, ossia dis-integrazione, ha dato buoni frutti. La chiave di volta infatti è l’organizzazione integrata “data-driven” e la trasformazione da TELCO a TechCo, cioè in azienda ad alta tecnologia. Questa deve essere la priorità anche per TIM, il falso problema della rete ha distolto troppe energie, finanziarie e gestionali. Se proprio si vuole si faccia una public company delle reti aperta agli investitori dei fondi che hanno già manifestato interesse, ma controllata da TIM perché abbia l’accesso ai dati, così che possa concentrarsi sulla trasformazione tecnologica di TIM in azienda “data-driven”, magari insieme ad altre TELCO europee che condividano questa strategia. È interesse di Vivendi, è interesse dell’Italia.