Responsabilità civile dei magistrati: testo del governo inaccettabile, seguire il modello spagnolo
L’ultimo Consiglio dei ministri ha varato un emendamento in due commi alla più ampia legge annuale di adempimenti comunitari. E’ un testo che riguarda la responsabilità civile pubblica a risarcire danni giudiziali. Il vicepremier Alfano ha creduto lì per lì, o almeno così è sembrato da un suo tweet, che si trattasse finalmente di una piccola e insieme grande rivoluzione, sulla cui necessità l’Italia è spaccata da 26 anni. Ma non è così, e ha subito dovuto fare marcia indietro.
E’ un tema delicatissimo, quello di chi e come debba pubblicamente risarcire i danni prodotti da procedimenti e decisioni della giustizia. Perché investe l’eguaglianza di tutti i cittadini, cioè l’articolo 3 della Costituzione. Investe l’uguglianza di tutti i pubblici dipendenti tra loro, cioè l’articolo 28, il quale prevede che «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti», e che «in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici». Ma investe anche le particolari prerogative di autonomia e indipendenza della magistratura da ogni altro potere, fissate all’articolo 101,104 e 108 .
E’ un tema al quale la magistratura associata e le diverse correnti togate riservano il fucile spianato, pronte a gridare alla lesa indipendenza del magistrato. Ed è un tema su cui, nella seconda Repubblica, Pdl e Pd hanno incessantemente litigato, con decine di progetti di legge nessuno dei quali è mai stato approvato.
Che l’Italia sia spaccata su questo, è storia lunga. Nel novembre 1987, ottenne una maggioranza dell’80% il referendum abrogativo dei tre articoli del codice di procedura civile del 1940, norme che sottoponevano la responsabilità civile a tali limitazioni, filtri, autorizzazioni e designazioni di giudici ad hoc diversi da quello naturale, da rendere per 47 anni il principio vergognosamente del tutto inoperante. Lo Stato, di fatto, si era reso sinora irresponsabile, come un antico monarca assoluto.
Dopo il referendum fu approvata una legge, la 117 del 1988 conosciuta anche come legge Vassalli. E’ una legge che di fatto, a giudizio di molti e anche di chi qui scrive, travisa l’esito del referendum (come del resto è avvenuto molte volte, pensate a quello sulla Rai). Perché la 117 ci lascia con la bocca amara? Perché apparentemente all’articolo 1 estende l’applicabilità della responsabilità civile – in capo allo Stato – a tutti i magistrati, monocratici e collegiali, ordinari e contabili, amministrativi e militari, e anche a coloro che partecipano alla funzione giudiziaria da estranei all’ordine. Ma poi, all’articolo 2, fissa dei paletti strettissimi all’esercizio concreto di tale responsabilità. Viene limitata a chi ha subito un danno per dolo, colpa grave o denegata giustizia da parte dei magistrati, ma esclude che in tali ipotesi possa ricadere ogni interpretazione delle norme di diritto, valutazioni di fatti o prove. E’ la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, benedetta e difesa a spada tratta da Anm e CSM.
Inoltre l’azione di responsabilità è preventivamente sottoposta a un giudizio di ammissibilità del tribunale competente che deve preventivamente valutare, oltre al rispetto dei termini, la non manifesta infondatezza della domanda. Nel caso di danno riconosciuto è lo Stato che ne risponde, ed esso può poi rivalersi nei confronti del magistrato ma solo se questi ha compiuto un reato. E inoltre non in termini proporzionali al danno che lo Stato ha dovuto liquidare alla parte lesa, bensì entro il limite di un terzo dell’annualità di stipendio del magistrato stesso.
Non c’è da stupirsi se, con una legge concepita come mera versione aggiornata e corretta dello scudo prima impenetrabile, di fronte a oltre 400 cause di responsabilità civile avviate contro lo Stato (con circa 500 milioni di euro risarciti in 25 anni a vario titolo, a cittadini e imprese) solo 4 volte – quattro! – la rivalsa sul giudice responsabile sia effettivamente scattata.
E’ un numero che la dice lunga. Non sul rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza del potere giudiziario. Ma sul fatto che i magistrati continuano a non rispondere del danno ingiusto a terzi, quando sbagliano. E’ il principio del “cane non mangia cane” (i magistrati insorgono, quando si usa tale espressione): quello per cui i tribunali sono “strettissimi” nell’ammissibilità dell’azione e nel giudicare atti di colleghi.
L’infrazione europea
Non è per questo, però, che il governo Letta torna sulla materia. E’ obbligato a farlo perché c’è un ballo una procedura d’infrazione europea. La Corte di Giustizia Europea ha più volte, negli anni, censurato i “paletti” della legge Vassalli. Lo ha fatto nel 2003, affermando che una limitazione del risarcimento al danno causato esclusivamente con dolo o colpa grave del giudice costituisce una restrizione della responsabilità dello Stato che non può essere accettata, in quanto non rispettosa del parametro della “violazione sufficientemente caratterizzata” – cioè manifesta – che può da sola determinare l’insorgere della responsabilità dello Stato. La legge italiana sui limita insomma ai soli “errori aberranti”, è troppo restrittiva. Sempre la Corte di Giustizia nel 2006 e nel 2011 ha poi precisato che la responsabilità dello Stato deve sorgere anche quando detta violazione manifesta del diritto vigente “risulti da un’attività di interpretazione di norme di diritto ovvero di valutazione dei fatti e delle prove”. Esattamente ciò che la legge Vassalli esclude. Se da una parte l’infrazione comunitaria si riferisce a circa l’80% delle norme vigenti che ormai hanno fonte europea, a maggior ragione dovrebbe valere anche nei residui casi che riguardano il solo diritto nazionale. Ma per anni il governo italiano ha fatto l’indiano. Malgrado le centinaia di condanne rimediate dalla Corte Europea, per casi conclamati di malagiustizia. E a settembre la procedura d’infrazione contro l’Italia è stata alla fine formalmente incardinata.
La risposta del governo
Ma il testo approvato in Consiglio dei ministri è, ancora una volta, per così dire, il minimo sindacale. Mui verrebbe da dire: un vergognoso minimo sindacale. Un primo comma prevede che lo Stato risponda del danno ingiusto su violazioni del diritto comunitario effetto di decisioni giurisdizionali del solo ultimo grado, esaurite le impugnazioni ed entro i tre anni dalla sentenza. Un secondo comma abbraccia sì l’estensione della responsabilità civile pubblica al caso di interpretazione delle norme prima escluso, ma con una sfilza di circostanze restrittive tali per cui ancora una volta i magistrati non vi ricadranno praticamente mai, e sarà eventualmente il solo Stato a pagare. Si prevede infatti che deve essere accertata: l’intenzionalità della sbagliata interpretazione – figuriamoci!; la scusabilità o meno dell’errore – idem come sopra; nonché il grado di chiarezza della norma applicata – con il singolare caso di uno Stato che ammette a discolpa propria e del magistrato il bizantinismo incomprensibile delle sue norme, che noi invece come cittadini-sudditi siamo obbligati a rispettare. Manca ogni tipo di intervento abrogativo o correttivo sul filtro oggi esistente di ammissibilità, come sulla rivalsa possibile sul magistrato nel solo caso di reato da questi commesso, ipotesi che restringe ulteriormente ogni ipotesi che qualche magistrato paghi (e sempre nei limiti del terzo di stipendio….)
Come funziona altrove
Ma è vero quel che i magistrati ripetono sempre, e cioè che in tutto il mondo avanzato il responsabile diretto non è mai il magistrato ma solo lo Stato? Sì e no. Anzi, i no pesano eccome. Nei Paesi di Common Law, Stati Uniti, Regno Unito e Commonwealth, in effetti il giudice è irresponsabile, direttamente e indirettamente. Tuttavia sia in America che a Londra questa irresponsabilità è equilibrata da misure disciplinari che arrivano alla rimozione per misbehaviour, cioè per cattiva condotta nella quale ricadono non solo tutti casi richiesti dalla Corte di Giustizia europea e negati dalla legge italiana, ma altresì la stessa semplice negligenza.
La Francia è invece persino peggio dell’Italia. La responsabile del magistrato è indiretta, e lo Stato può rivalersi su di lui solo per dolo o frode ma non per colpa grave. In Germania è prevista la responsabilità dello Stato, che può rivalersi nei confronti dei magistrati per dolo e colpa grave. Nei Paesi Bassi la responsabilità civile è solo dello Stato, nessuna sua rivalsa verso il magistrato. La Spagna è invece l’ordinamento europeo più avanzato. Lo Stato risponde non solo di ogni errore giudiziale ma anche del funzionamento anormale della giustizia – e da noi sarebbe più la regola che l’eccezione, col 41% dei detenuti in attesa di condanna passata in giudicato e il 19% in attesa di giudizio di primo grado. La Spagna risponde del danno per le carcerazioni preventive seguite da assoluzioni. E la Ley organica del Poder Judicial del 1988 consente al cittadino danneggiato di citare in giudizio, oltre allo Stato, direttamente il giudice responsabile per dolo o colpa grave, in quanto la sua responsabilità è diretta e concorrente. In Spagna Stato e giudice possono essere così chiamati direttamente a risarcire il danno, superato anche lì il filtro di un apposito Tribunale che verifica i presupposti dell’azione. Insomma n Spagna la responsabilità duale, dello Stato e a fianco del giudice, esiste eccome. Ed è quella alla quale si potrebbe benissimo guardare, anche in Italia.
Come procedere?
La tesi sostenuta dai magistrati è semplice. Poiché la decisione di un magistrato può produrre sempre conseguenze considerate come un danno dalla parte interessata, il togato va sollevato dalla responsabilità generale a risarcire di chiunque arrechi danni a terzi, posta all’articolo 2043 del Codice Civile. Numerosissime sentenze della Corte Costituzionale, negli anni, hanno appoggiato la tesi che contempera due princìpi: la responsabilità civile deve valere anche per i magistrati, come da articolo 28 della Costituzione, ma con limitazioni per rispettare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Sono pienamente coerenti a questi dettami, a mio giudizio, i due quesiti sulla responsabilità civile compresi nell’ultimo “pacchetto referendario” dei radicali: coi quali si chiede l’abrogazione dell’articolo della legge Vassalli che esclude l’interpretazione di norme dalla responsabilità civile, come chiede la Corte Europea, e altresì dell’articolo che introduce il “filtro” giudiziale all’azione di responsabilità, facendo così cadere il “cane non mangia cane.” Ma, in realtà, un Parlamento che volesse davvero – a mio giudizio – essere coerente con la volontà espressa dagli italiani 25 anni fa, avrebbe dovuto e dovrebbe ispirarsi all’esempio della “responsabilità duale” spagnola. E’ difficile che avvenga se non impossibile, finché la giustizia sarà un terreno di scontro obbligato per via delle vicende di Berlusconi a cui si contrappone giustizialismo a prescindere. Ma sono i cittadini e le imprese italiane, intanto, a pagare la malagiustizia troppo diffusa. Una malagiustizia che vede lo Stato ancora più monarca assoluto, che eguale a noi nei suoi diritti e doveri.
Grazie Oscar! Finalmente un po’ di chiarezza sul tema!
Il problema è la Corte Costituzionale. E’ lì che “cane non scaccia cane”. Quindi, va da sè che per via di legge ordinaria o referendaria non si otterrà mai un risultato alla spagnola. Ma neppure all’europea. Infatti, essendo assai improbabile che la Corte, in merito alla specifica materia della responsabilità civile dei magistrati, decida, in via interpretativa, di dare “semaforo verde” alle norme poste dalle fonti normative comunitarie “direttamente applicabili” (ivi comprese le sentenze “self executing” della Corte di Giustizia Europea) in quanto prevalenti su quelle poste dalle leggi e dai regolamenti nazionali, non resta che la strada della riforma costituzionale, che però nessuna maggioranza parlamentare approverà mai per paura della reazione corporativa dei magistrati. Come vede, caro Giannino, non abbiamo speranze …. .
Il principio è la democrazia senza aggettivi,non quella attuale condizionata.Il magistrato è soggetto solo alla legge,il popolo,se è sovrano,no perchè può cambiarla.Qualsiasi normativa che riguardi gli errori è inutile se a giudicarli sono coloro che li commettono.Nel paese del gattopardo le leggi fondanti devono essere semplici per cui articolo 106:”L’abilitazione alla funzione di magistrato ha luogo per concorso,la nomina e la revoca con le elezione ogni cinque anni.”Chi sbaglia o non è più gradito se ne va e fine della storia.Inizio di una nuova che potrà rivelarsi peggiore ma sarà almeno diversa e comunque reversibile.
Non saprei. Io lavoro per un’azienda privata, di tanto in tanto commetto errori; i miei errori, probabilmente, fanno perdere dei soldi all’azienda, ma io non sono tenuta a risarcirli, per fortuna.
Certo che ci sono delle procedure, e bisogna seguirle. Ma a volte gli errori si commettono lo stesso, perchè così è.
In quasi tutti i lavori c’è una fase di valutazione: di un rischio, di un guasto, dell’entità delle risorse da mettere in campo per reagire ad un problema.
A volte la valutazione può essere sbagliata, o nel momento in cui viene richiesto di decidere non tutti gli elementi sono ancora disponibili.
Io non posso essere licenziata se sbaglio queste cose, nè sono tenuta a pagare i danni. Posso essere licenziata o richiamata se evidentemente ho lavorato con negligenza o indisciplinatamente non ho seguito delle procedure.
Ed è giusto così. Se fossi tenuta a rispondere dei miei errori, cercherei:
* di procacciarmi attività a budget più basso (meno rischio);
* di sovrastimare sempre tutti i rischi (facendo perdere all’azienda molti più soldi);
* di avere stipendi altissimi per pagarmi un’assicurazione;
* di cautelarmi sempre e comunque al massimo (spendendo tipicamente un sacco di tempo che potrei usare per lavorare).
Perchè per i giudici dovrebbe essere diverso? Solo perchè la maggior parte delle persone che leggono NON sono giudici?
Se una persona lavora, rispetta le leggi e le procedure e non è negligente non può essere sanzionata perchè ha commesso errori.
Se in questo momento io devo decidere della tua custodia cautelare, e gli elementi a mia disposizione avvalorano l’ipotesi che tu possa scappare, tu vai in custodia e punto.
Se poi era immotivata, amen, vai a casa, a meno che non si ravvisino dolo e negligenza; ma anche qui, è giusto che, proprio come in azienda, sia il disciplinare interno a punire e non direttamente l’effetto del danno prodotto durante il lavoro.