8
Mag
2015

Renzi: scrollare l’albero non basta…—di Davide Grignani

…in primavera occorre potarlo

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Davide Grignani.

La storia talvolta offre ai leader opportunità irripetibili: a Matteo Renzi se ne presenta una nel 2015 probabilmente di portata epocale. La nostra economia quest’anno potrebbe beneficiare di alcune “bombole d’ossigeno” per tirare un respirone e riprendere un cammino di crescita interrotto ormai da troppi anni.

Analizziamo per un attimo i fari da poco accesi sulla pista di decollo e che alcuni analisti hanno definito come “ Triple Booster” italiano:

  1. Il Governatore Draghi e la BCE hanno facilitato la riduzione del cambio euro dollaro (aiutati non poco dalla rinvigorita performance dell’economia statunitense): mentre infatti il meccanismo di trasmissione monetaria “classico” continua a “non ingranare” per la perdurante assenza di aspettative positive da parte dei consumatori e la conseguente propensione a dilazionare gli investimenti da parte delle imprese rivolte al mercato domestico, dall’altra il QE della BCE ha convinto i mercati che questa volta la FED favorirà un rialzo dei tassi prima e di maggiore intensità rispetto a quello che in Europa resterà a lungo il segno espansivo per favorire la ripresa. Grazie a questa “svalutazione competitiva” le esportazioni risulteranno un forte fattore di crescita per la parte delle imprese italiane più export-led (nel 2016 è previsto che crescano di circa il 5%).
  2. Tassi di interesse, nominali e reali, vicini allo zero o negativi, accompagnati da una a dir poco generosissima offerta di liquidità fornita al sistema bancario in diverse forme di monetizzazione degli attivi beneficeranno ulteriormente le società export-led più profittevoli ed innovative: verrà ulteriormente favorito l’ incremento delle nostre già notevoli capacità di esportazione. Tali misure devono peraltro essere accompagnate da una altrettanto coerente implementazione di politica macro-prudenziale rispetto ai livelli di capitalizzazione delle banche, sincrona ed ugualmente orientata alla ripresa economica: ciò non è avvenuto sinora, anzi….
  3. Il costo dell’energia ha più di un motivo per ridursi in modo importante e duraturo: la discontinuità strutturale dell’offerta di “shale oil”; la continua decrescita della domanda a causa della crisi; l’innovazione tecnologica; i mutati comportamenti dei consumatori sempre più “Energy Saving”. Tutto ciò produce un notevole risparmio sulle quantità di energia consumata pro-capite che ancora non si è pienamente trasferito sui costi finali dei consumi energetici. Nonostante il combinato disposto dell’ eccessiva tassazione indiretta ed un mercato ancora molto opaco per il consumatore finale (scarsamente aiutato dall’agenzia pubblica di tutela in termini di trasparenza e comparabilità), esiste oggi quest’ulteriore fattore di spinta alla ripresa di consumi e degli investimenti privati legati alla componente della crescita del reddito netto disponibile più sensibile alla riduzione dei costi energetici.

A quanto sopra si aggiunga un importante quarto fattore positivo: la “chiusura”, parziale talvolta totale, di importanti mercati turistici concorrenti a causa del terrorismo e dei conflitti in corso. Viene favorito il ritorno di importanti flussi verso i mercati più sicuri dell’Europa. Dopo decenni di progressiva decadenza, una quota importante potrebbe essere nuovamente attratta e recuperata dall’Italia: occorre però porre finalmente in essere, con determinazione, una radicale rivisitazione dell’offerta logistica, qualitativa e culturale del nostro paese (la Spagna ahinoi ci insegna).

Da quanti anni tali e tanti fattori positivi esogeni non si allineavano così perfettamente a favorire la ripresa? La domanda a questo punto sorge spontanea: se si sono allineati tutti i precedenti fattori esterni, così rilevanti per ridare al nostro paese (ma non solo) nuove opportunità di crescita e sviluppo, il sistema politico e la PA stanno favorendo nel miglior modo il ritorno alla crescita?

La risposta è purtroppo negativa e non ha a che fare con “gufi”, detrattori e disfattisti. Trattasi piuttosto di evidenza oggettiva: riguarda fatti sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, da troppo, lunghissimo, tempo. Oltre un anno è già passato per il nuovo Governo e – trascurando macro temi di fondamentale rilevanza ed impegno a più lungo termine quali, solo per citarne alcuni, lo sradicamento della criminalità organizzata, la realizzazione di infrastrutture fondamentali alla competitività e sviluppo, il riposizionamento strategico delle “reti” del risparmio, del sistema finanziario, e delle telecomunicazioni, si attendono a brevissimo interventi d’urgenza inderogabili che tardano a mostrare l’ “imprinting” che tutti i cittadini onesti attendono:

  • La riforma del fisco: l’Italia in materia di fisco dà veramente il peggio di sé. Sono fatti inconfutabili il rapporto tra Agenzie delle Entrate ed Equitalia, da una parte, ed il cittadino dall’altra; la posizione difensiva delle parti in trincee opposte, agli antipodi di un modello civile e corretto tra contribuente/stakeholder e “public servant” pubblici. Una relazione di sostanziale sudditanza del contribuente, anti democratica, gestita da una classe di burocrati e legislatori guidati da un’ottica distorta, retaggio storico di un’Italia anacronistica e profondamente ingiusta. Tutto ciò deve e può cambiare; la delega fiscale non può e non deve bastare. Vanno rifondati i modelli di comportamento, la professionalità, gli incentivi a “far bene” dell’Agenzia, la sua “accountability” sociale: il “bene” non può e non deve essere mai più il quantum accertato o petito, ma l’aver individuato, concordato ed incassato la giusta e sostenibile quantità complessiva di tasse per ciascuno (cancellando e semplificando imposte dirette, indirette, accise, bolli, tributi etc, etc che non hanno un “conto economico” positivo tra gettito e relativi costi amministrativi fissi e variabili, diretti ed indiretti, di gestione). Ciò per tutti i cittadini ed operatori economici che vogliono lavorare, creare a loro volta opportunità di lavoro, di reddito, di investimento e di risparmio. Ma soprattutto, colmo dell’iniquità per uno Stato che vuole definirsi libero e democratico, la pressione fiscale non deve essere mai più la variabile endogena dell’equazione determinata in modo esogeno dalla spesa pubblica, sempre e comunque in crescita e fuori controllo.
  • La riduzione della spesa pubblica, appunto (non l’eufemistico termine inglese della “spending review” dove abbiamo “consunto” da anni nomi credibili per l’intera comunità internazionale quali Dino Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi, Francesco Giavazzi e Carlo Cottarelli da ultimo). Inutile ripeterci che ogni cittadino italiano “abile” al lavoro è oggi indebitato per circa 110 mila euro. Il nostro paese non deve e non può permettersi la logica bancarottiera e faccendiera di continuare a spendere a piene mani facendo comunque conto su una quantità infinita e sempre crescente di imposte, e – oggi sempre in maggior misura sino a diventare ossessiva iniquità sociale – multe e balzelli e discontinuità retroattive nel regime fiscale, tutti totalmente decorrelati dalla realtà. La classe politica e la PA non possono e non devono intermediare più della metà del PIL nazionale avocando a sé stessi poteri e possibilità occupazionali tanto enormi quanto, queste si veramente inique, improduttive (la produttività del lavoro italiano resterà al meglio stabile nel 2015 per segnare un modesto 0.6% in più nel 2016 secondo le stime della EU). “L’albero va potato” ed è su questo punto che il mondo intero attende il Governo!
  • L’ulteriore riforma delle pensioni: grava tuttora sul sistema nel suo complesso uno squilibrio strutturale pesante tra l’effettiva quantità di contributi versati dagli italiani e le prestazioni erogate a larghe fasce di “sussidio”, inique ed insostenibili; tra esse – “in primis” la casta politica e molte sacche della PA allargata. Fino a quando cittadini-sudditi, corretti nell’aver adempiuto al dovere di versare tutti i contributi loro richiesti, dovranno subire una continua erosione delle prestazioni a loro riservate a causa dell’enorme disequilibrio tra contribuito ed erogato di cui molte altre categorie di cittadini italiani, in primis politici e pubblici amministratori, continuano a beneficiare? Quando la smetteremo di definire questa vera iniquità col termine “solidarietà”? Occorre fare opera di completa e urgente trasparenza: individuare meglio e subito le “storture” che ancora sussistono per permettere alle future generazioni di pensionati di fare affidamento su un sistema pensionistico pubblico effettivamente affidabile ed equo, in senso contabile non “politico”, affiancato e supportato nel contempo da tutte le migliori opzioni di complementarietà privata e solidarietà sociale possibili. Questo si ce lo consente la Costituzione!
  • Da ultimo, la riforma dell’istruzione, la cosiddetta “buona scuola” di cui abbiamo avuto recente evidenza e prova del perdurante dominio della “logica prevalente”: il primato della protezione di un’occupazione “farlocca” (utile però ai fini elettorali e sindacali) rispetto alla vera cura e premura di garantire ai nostri figli e nipoti un sistema istruttivo che permetta loro di avere delle vere opportunità per un futuro occupazionale e competitivo migliori. Come Rogert Abravanel scrive da ormai molti anni, il sistema di cui abbiamo enormemente bisogno per competere e dare opportunità reali agli studenti deve essere basato su merito e pari opportunità di proseguimento nel percorso di crescita, sul rispetto delle regole, sulla continua qualificazione e selezione professionale dei docenti, in un mercato libero che offra alternative proiettato oltre i confini del nostro piccolo paese e radicato nelle nostre migliori competenze specifiche, anche artigianali e professionali, uniche e tanto apprezzate in tutto il mondo tranne che in Italia.

Il governo guidato da Matteo Renzi non avrebbe potuto imbattersi in macro-congiuntura migliore di quella che si è delineata all’inizio della sua prova: ma da questo “Triple Booster” e dagli altri fattori esogeni positivi citati non potrà trarre vantaggio se non facendo ripartire la fiducia del paese: delle famiglie “in primis” come consumatori che, a valle, indurranno poi gli imprenditori a riprendere gli investimenti reali. Deve riuscire a creare una nuova vera domanda aggregata, convinta e convincente: lo può e lo deve fare migliorando le aspettative di medio termine di tutti i cittadini. Deve diminuire il livello di radicata e giustificata diffidenza verso una politica ed una PA bulimiche e bancarottiere: deve ridare alla macchina pubblica un’agilità ed una credibilità che oggi non ha e delle quali il meno del 50% del PIL nazionale gestito dal settore privato (ufficiale) si deve fare carico da troppo tempo, senza una realistica speranza di potercela fare.

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4 Responses

  1. Danilo

    Troppo spesso diamo al governo capacità taumaturgiche.
    Forse dobbiamo iniziare a pensare che in Italia gran parte della popolazione ha un livello di istruzione basso, un senso della cosa pubblica nullo ed un rispetto della legalità totalmente personale (io faccio come voglio, gli altri rispettino le leggi).
    La forza della decantata Germania non è nel governo, ma nella cultura media del suo popolo.

    Venendo al pratico:
    – Abbiamo i principali attori politici e sociali (partiti e sindacati) affetti da pesante gerontofilia. Temono la perdita dei consensi dei pensionati. In compenso abbiamo quasi più pensionati che lavoratori. Chiaramente questo è uno squilibrio di rilevanza incredibile. Unico intervento giusto, sarebbe quello di dire all’inps di ricalcolare tutto con il contributivo e scriverlo in busta paga pensione. Dopodiché si dice: caro pensionato ti sto dando un sussidio aggiuntivo al versato, su cui in tempi di magra decido la rimodulazione. Invece abbiamo fior di consulte che fregandosene delle nuove generazioni sparlano di stipendi differiti.
    – Investimenti pubblici sono spesso incredibilmente sbagliati e malgestiti: MOSE, Autostrade inutili, ponti e gallerie e rotonde ovunque. Il fatto che ogni opera pubblica sia appaltata al massimo ribasso e puntualmente finisca per costare il doppio del preventivato, con 1/2 del ritorno in termini di utilizzo, la dice molto lunga sulla capacità progettuale e di gestione. Una ripartizione dei rischi/costi e benefici fra pubblico e privato con controlli seri sarebbe d’obbligo.
    – bisogna dire agli italiani che bisogna lavorare di più, tutti e soprattutto lavorare meglio. Quindi occorre dire ai dipendenti addormentati sul loro know-how che devono studiare e aggiornarsi. Di contro bisogna pagare di più chi lo fa e non giustificare il livellamento stalinista al ribasso (anche nella PA) con “la crisi”. Altrimenti chi fa di più presto sarà sconfortato.
    – bisogna infine educare gli elettori ai numeri. inchiodare i politici ai numeri. aumentare di 10 volte la consapevolezza sul merito delle questioni.

  2. Francine

    Caro Davide,il suo articolo e’ molto bello e condivisibile.Purtroppo abbiamo a che fare con Matteo Renzi e non con David Cameron(il primo leader politico che mi viene in mente che non ha avuto paura a toccare la Cosa pubblica),con gli italiani del 2015 e non con gli anglosassoni o con i tedeschi.Quando in questi Paesi si sono toccati i privilegi o la spesa pubblica ormai indifendibile o si sono proposte soluzioni coraggiose nell’obiettivo di salvare la situazione,la popolazione si e’ compattata e nella sua maggioranza ha capito.In Italia non si vuole capire, non si vuole rinunciare a nulla nell’illusione perlatro confortata dalle ultime vicende greche che comunque qualcun’altro paghera’ per noi e che questa nostra montagna di debito non e’ poi cosi’ insostenibile come ci avvisano da tutte le parti.E allora temo proprio che si continuera’ in questa tragica deriva di imprenditorialita’ perdute,di giovani in fuga,di un’aumento continuo di questa massa di pensionati e dipendenti(i quali a loro volta generano il consenso politico a questo tipo di agonia)(quando non disoccupati senza speranza) a basso reddito,bassa specializzazione,bassa istruzione etc..Molto triste..Sinceramente non ne vedo la fine o perlomeno non a breve anche perche’ gli attori di questa tragedia all’italiana non hanno alcuna intenzione di cambiare copione.

  3. Simone

    La potatura alla spesa pubblica descritta bene da Davide non solo e’ possibile e doverosa ma anche attuabile, almeno all’inizio, con un limitato impatto sul consenso elettorale del governo: ridurre vitaliZi, consigli regionali, spese della politica, anche al netto del malcontento dei “colpiti” non puo’ che riscuotere il consenso dei cittadini. e la potatura e’ tanto piu’ doverosa in un contesto benigno come quello attuale: non ci sono scuse. E’ ora di smettere di commissionare studi di fattibilita’ e iniziare a FARE.

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