Rendere omaggio a Gramsci a scuola?— di Tomaso Invernizzi
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Tomaso Invernizzi.
Con ufficiale comunicato stampa del 27/4/2017, il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli invita le scuole a riflettere sulla figura e sull’opera di Antonio Gramsci, a ottant’anni dalla sua morte. In questa nota, tra l’altro, si avvisa che nella settimana successiva sarà diramata una circolare agli istituti scolastici per promuovere occasioni di studio, ricerca e approfondimento, e si parla espressamente di momenti atti a “rendere omaggio” a Gramsci.
Siamo ben lungi dal non riconoscere l’interesse e la possibile valenza didattica, almeno all’interno di taluni percorsi, dell’opera del filosofo comunista italiano: se altri neomarxisti, come Pierre Bourdieu e Louis Althusser, videro la scuola come un luogo di riproduzione delle disuguaglianze sociali e quindi dello status quo, per Gramsci la classe subalterna, attraverso un’appropriazione critica dei contenuti del sapere borghese dominante, ha la possibilità di porre le premesse per un ribaltamento dei rapporti sociali ed economici.
A mantenere lo status quo vi sarebbe infatti un’ideologia composta di credenze, valori, norme e altri contenuti culturali, che in qualche modo indurrebbero nella classe operaia una falsa coscienza, tale da impedire la presa di coscienza della reale condizione storica e sociale cui i lavoratori sarebbero sottoposti e quindi la rivoluzione proletaria.
L’appropriazione critica di tali contenuti, secondo Gramsci, dovrebbe aver luogo in primis a scuola: i figli della classe subalterna dovrebbero poter frequentare delle scuole di formazione generale, e non soltanto professionale, e la scuola porsi quindi come strumento di emancipazione e di lotta. In altre parole, per realizzare la rivoluzione comunista, c’è bisogno in prima battuta di abbattere l’egemonia della cultura borghese e rendere dominante la cultura subalterna.
In questo senso, l’istituzione scolastica assume una rilevanza primaria e lo studio va affrontato da tutti con profusione di grande impegno e serietà. Nei Quaderni dal carcere Gramsci scrisse: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.
Tanto faticoso, quanto fondamentale. Non c’è bisogno di essere gramsciani per condividere l’idea che lo studio scolastico, dovendosi rivolgere alle cose difficili e complesse, quelle facili possono essere apprese attraverso altre agenzie educative, debba significare fatica. Ad ogni modo, continuando col pensiero di colui che è stato tra i fondatori del PCI (oltre che de l’Unità), al fine di ribaltare la cultura dominante e rendere egemone quella attualmente subalterna, si tratta di occupare le “casematte del potere e della società civile” (scuole, università, teatri, giornali..).
C’è bisogno evidentemente di intellettuali che nei luoghi a questo scopo deputati favoriscano quell’appropriazione critica del sapere borghese di cui sopra, i cosiddetti intellettuali organici. Studiare Gramsci può per esempio aiutare a capire come sia possibile che il ministro dell’istruzione emani una nota specifica per chiedere di riflettere sull’opera di uno specifico autore, quando i docenti hanno già a disposizione tutti gli strumenti per le loro programmazioni didattiche (e ce ne sono di temi sul cui approfondimento ci sarebbe da invitare!).
Ha ragione quindi la Fedeli quando parla di “eredità politica e culturale che ha ancora una straordinaria attualità”. Lei in qualche modo pare esserne una prova. Molto problematico è il passo in cui il comunicato stampa parla di “rigore e levatura morale”, “patrimonio da cui attingere”, “fonte preziosa di ispirazione”, espressioni evidentemente valutative, che paiono celebrare l’ideologo. Altro che acquisizione di sapere critico!
D’altronde, lo abbiamo scritto poco sopra, studiare Gramsci può aiutare a capire perché si chieda di omaggiare Gramsci.