Reddito di cittadinanza: come, quando ma, soprattutto, perché insistere con i centri per l’impiego?
Tra le letture per l’estate 2018 è senz’altro consigliabile il libro di Stefano Feltri Reddito di cittadinanza – Come. Quando. Perché (Paper first, 2018, € 12). L’unico rischio è che sia già fuori moda portarlo sotto l’ombrellone, data la vertiginosa rapidità con la quale cambiano le priorità dell’agenda di governo.
Infatti, tanto rumore per nulla, visto che, come si legge in questo blog, la risoluzione al DEF, approvata dalla maggioranza M5S-Lega che consente al Parlamento di conoscere con anticipo le linee di politica economica e finanziaria del Governo su di un arco temporale pluriennale (2018-21), sul punto ‘reddito cittadinanza’ e lotta alla povertà prevede lo stanziamento di 4bn nella forma iniziale – di cui 2bn per i centri per l’impiego nel primo anno, contro i 17bn/40 stimati per l’intervento ‘pieno’ della riforma secondo l’Osservatorio CPI.
Il sociologo Domenico De Masi, che l’autore ha scelto per la redazione della prefazione, non più di 2 mesi fa, in quarta di copertina, affermava che “l’attuazione del RDC è oramai ineludibile”. Per ora è tutto rinviato. Ma nonostante le premesse di De Masi, il libro di Feltri non è partigiano, fornisce, anzi, al lettore tutti gli strumenti per farsi un’idea propria, anche se lascia forte l’impressione che lo stesso autore si sia convinto della centralità del problema della povertà, ma non tanto della bontà del reddito di cittadinanza come soluzione.
Feltri propone un breve excursus attraverso gli strumenti di cui dispone, nel nostro paese, chi si trova nella condizione di povertà assoluta, condizione nella quale, purtroppo, versano troppi italiani, secondo le recenti stime, 4 milioni di persone, circa 1.470.000 famiglie: dal SIA, sostegno per l’inclusione attiva, non più operativo, al REI, reddito di inclusione voluto dal governo Gentiloni. Analizza inoltre come potrebbe funzionare il reddito di cittadinanza nell’unico documento ufficiale da tenere in considerazione e cioè il disegno di legge A.S. 1148 del 2013 cd. Catalfo, dal nome della senatrice prima firmataria del M5S.
Infatti, a dispetto delle intenzioni, anzi, meglio, dei continui annunci, non si tratterebbe di uno strumento universale, individuale ed incondizionato a sostegno esclusivo della povertà, ma, innanzitutto, di un reddito minimo garantito che coesisterebbe con tutte le altre misure assistenziali esistenti, e sottoposto alla condizione della ricerca di un lavoro, ingarbugliando, per lo più, le proprie sorti con quelle degli strumenti a sostegno della disoccupazione e delle politiche attive del lavoro.
Sulla carta si tratterebbe sicuramente di una elargizione molto generosa, la più generosa nel contesto europeo. Si intende infatti garantire, mediante l’integrazione del sussidio, il 60% del reddito mediano che dai calcoli effettuati all’epoca del disegno di legge ammontavano a 780 euro mensili per una famiglia monocomponente. Ma tale e tanta generosità troverebbe comunque impedimenti ed ostacoli notevolissimi proprio all’interno del congegno stesso di funzionamento del RDC. Tanto che il miraggio di molti (si pensi alle richieste dei moduli per ottenerlo all’indomani dell’esito elettorale) si dissolve alla lettura del disegno di legge. Infatti, il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto ad accettare qualsiasi offerta di lavoro gli venga proposta, qualora sia trascorso un anno dall’iscrizione al centro per l’impiego, pena la perdita immediata dell’intero sussidio: questo potrebbe verificarsi ben 8 volte su 10, perché tra i tempi di accettazione della domanda ed il recepimento delle offerte un anno non basterà mai, si tratta di un dato assodato e scontato anche per l’autore.
Questo perché? Arriviamo al punto forse più critico del libro di Feltri, cioè il ruolo dei centri per l’impiego. I CPI non funzionano ora, perché non hanno mai funzionato ed è altamente probabile che non funzioneranno mai. Il libro è ricco di dati, anche comparativi, per evidenziare i grandi investimenti degli altri paesi europei nei centri corrispondenti ai nostri CPI. Ma nel libro di Feltri manca un dato fondamentale: secondo gli ultimi dati aggiornati, solo il 3% dei disoccupati che si rivolge agli uffici di collocamento riesce a trovare un impiego, tenuto conto che da anni ormai solo il 24% degli italiani si rivolge ad essi per trovare lavoro.
Come si può credere che il funzionamento di questo mastodontico impianto che è il reddito di cittadinanza possa basarsi sull’implementazione di centri per l’impiego che hanno una perfomance complessiva del tutto disastrosa da anni? Come è possibile pensare che i 2 miliardi di euro di cui il M5S vuole lo stanziamento per nuove assunzioni possano servire a migliorare la situazione? Si finirebbe per avere, come titola brillantemente un capitolo del libro, “Centri per l’impiego dei dipendenti dei centri per l’impiego”. Mantenerli in vita mediante un ampliamento di organico non sarebbe altro che un accanimento terapeutico. Peraltro, non si tratta affatto di un problema solo di risorse finanziarie, ma di enormi difetti nella loro governance, il difficile rapporto stato-regioni, di risorse umane, ossia professionalità e competenze che sono da decenni rimaste al palo, e sono, oggi più che mai, inadeguate.
Credere che in breve tempo tutti i CPI d’Italia possano raggiungere gli standard delle poche realtà che funzionano bene è illusorio e poco realistico. Come noto ci sono agenzie per il lavoro che operano da oltre venti anni sul mercato, specializzate nel fornire questo tipo di servizi: perché non attuare, come già da alcuni proposto, un sistema di accreditamento che si affidi a quelle comprovate competenze e professionalità, superando i limiti delle deboli misure di raccordo oggi attuate tra agenzie per il lavoro e CPI?
Altro punto assai critico toccato dal libro è quello relativo alla parte della proposta riguardante la creazione di un “sistema informatico nazionale per l’impiego” che faccia incontrare le domande e le offerte di tutto il territorio nazionale. Esistono già da anni portali che fanno questo lavoro e molto bene e che sono efficientissimi. Quanti tentativi falliti di altrettanti governi già ci sono stati per dare, ad esempio, ad ogni cittadino una password per accedere ai servizi della PA, o per mettere in rete tutte le infinite diramazioni della nostra pubblica amministrazione? In un paese nel quale si possono aspettare anche sei mesi prima di ricevere un’autorizzazione urbanistica on line, possiamo realisticamente avere fiducia che si arrivi in breve tempo ad una capillare mappatura di tutte le domande ed offerte di lavoro nazionali attraverso un unico portale pubblico?
Le conseguenze di tutto ciò provocherebbero problemi di non poco conto. Non lasciare alcun margine di scelta al disoccupato a causa delle burocrazie inceppate dei CPI significherebbe creare un vero e proprio sussidio alle imprese perché, dato l’obbligo di accettazione di qualsiasi lavoro dopo un anno, pena la perdita del sussidio, queste potrebbero essere tentate di spingere molto al ribasso i salari. Inoltre c’è un’altra questione rilevantissima: il RDC esclude gli extracomunitari, si rischierebbe così la creazione di un mercato del lavoro parallelo.
Insomma, se lo stato ha dimostrato negli anni di non essere assolutamente in grado, per svariate ragioni, di svolgere una determinata funzione e di rendere un determinato servizio ai cittadini, bisogna che dismetta la funzione e si affidi ad altri il servizio.
Ecco come la pensava un turbo-liberista sovversivo come Luigi Einaudi in un suo articolo del 1907 sul Corsera intitolato “L’impiegomania italiana”: “Se la cosa non fosse impossibile, date le nostre pessime abitudini, ed i pregiudizi ancor più tenaci delle abitudini, verrebbe la voglia di proporre che il lavoro burocratico si affidasse a delle cooperative di impiegati ad un prezzo forfait uguale alle spese che oggi lo stato sostiene per i diversi servizi. Magari si potrebbe aumentare il forfait anche del 10% per migliorare le sorti degli interessati. Con tutta probabilità la burocrazia sarebbe meno numerosa di adesso e gli impiegati sbrigherebbero più presto il lavoro che adesso compiono in molti straccamente e di mala voglia”.