Recensione di “Economia 2.0. Il software della crescita” di Arnold Kling e Nick Schulz (IBL Libri, 2011)
“Economia 2.0” ha un grande pregio: offre risposte coerenti ai grandi temi dell’economia avvalendosi dei risultati di variegate e recenti direzioni di studio, ancora trascurate nei manuali di testo. Si tratta in generale del lavoro di economisti poco sensibili al fascino delle formalizzazioni matematiche e che si sono concentrati piuttosto sulla storia dell’economia, sulle istituzioni, sulla loro evoluzione e sul loro rapporto con discipline trasversali. Questi studiosi hanno formulato, nella seconda metà del Novecento, teorie che spiegano la ricchezza dei Paesi esaltando ora il ruolo delle istituzioni, ora quello dell’innovazione, ora quello dell’imprenditore: l’Economia 2.0 le concilia grazie ad un’efficace metafora.In questo libro il sistema economico viene infatti presentato come un computer: l’hardware sono i beni tangibili (materie prime, capitale, lavoro), mentre il software è composto da un sistema operativo, cioè la cornice istituzionale in senso lato (mercato, diritti di proprietà, consuetudini e cultura), e da programmi, cioè ricette che combinano ed elaborano i fattori produttivi per ottenere output diversi. Queste ricette variano nel tempo e rispecchiano l’innovazione tecnologica.
I due autori (Arnold Kling e Nick Schulz) osservano che in passato le risposte ai problemi dello sviluppo erano focalizzate sulla componente hardware della macchina economica: spiegavano la crescita in termini di dotazione dei fattori produttivi. L’Economia 2.0 sottolinea l’importanza della componentesoftware, la parte intangibile del sistema: la ricchezza o la povertà dei Paesi trova spiegazione migliore nelle differenze tra istituzioni e nella diversa facilità con cui permettono agli imprenditori di innovare.
Gli autori riconoscono però che non esiste un’unica ricetta della crescita economica e non vogliono vendere il loro lavoro come tale. Ogni Paese infatti ha bisogno di diversi ingredienti, sia per svilupparsi – nel caso di Paesi poveri – sia per continuare a crescere – nel caso di Paesi prosperi. Ad esempio i diritti di proprietà, componente fondamentale del “sistema operativo”, non favoriscono sempre e comunque la crescita economica. Questo vale, infatti, solo per i beni fisici, ma per quanto riguarda i beni intangibili, le idee e la conoscenza, è vero il contrario: minore è la protezione accordata ai diritti di proprietà intellettuale, maggiore sarà la libera diffusione della conoscenza e quindi la crescita economica. Come evitare poi che gli inventori perdano incentivo a lavorare è un’altra storia e, come emerge dall’intervista a Paul Romer, questo labile equilibrio dovrebbe essere trovato dallo Stato. In definitiva, diventa vana, se non controproducente, la pretesa di alcuni economisti di saper guarire i Paesi poveri esportando modelli istituzionali preconfezionati. Kling e Schulz la sintetizzano con queste parole:
“Non possiamo dire che l’adozione di uno specifico insieme di istituzioni sia ottimale per tutte le nazioni. Piuttosto abbiamo il sospetto che i cittadini e i leader degli Stati debbano intraprendere un processo sperimentale di tipo empirico per tentare il debug dello strato software della propria economia”.
Se è l’innovazione a far crescere l’economia, l’imprenditore è la figura che la introduce nel sistema: costui è dunque l’attore che merita più attenzione. Di conseguenza, nella teoria dell’Economia 2.0, lo Stato viene relegato a svolgere una parte marginale nella crescita economica; per di più, la sua struttura centralizzata mostra una scarsa capacità di adattamento. È vero che i mercati talvolta falliscono, ma riescono comunque a trovare delle soluzioni; e queste sono più rapide e soprattutto meno costose di quelle offerte dallo Stato.
In conclusione, un sincero invito all’acquisto – inevitabile da queste colonne. “Economia 2.0” è un libro divulgativo e dalla lettura molto scorrevole, grazie a numerose interviste che corredano ogni capitolo. Non presenta una teoria nuova, ma ne mescola diverse che non godono ancora dell’importanza che meritano. Inoltre, l’analisi del sistema economico in termini di hardware e software fornisce un valido strumento: offre una visione di insieme – oltre a risposte moderne – a chi si interroga sul grande tema dell’economia: the wealth of nations, and its causes.
Come dice Peter Drucker nel libro omonimo, innovazione e imprenditorialità sono i motori dell’economia. Lo stato ha il ruolo importante di fissare le regole ( e farle rispettare), garantire dignità economica e sociale a tutti i suo i cittadini, garantire pari opportunità, (non persone uguali) e lasciare lavorare l’imprenditore nel rispetto delle regole. Noi abbiamo uno stato che privatizza i monopoli, (vedi autostrade), inventa regole infinite per l’imprenditore che è presunto colpevole, salvo prova contraria, si gloria dei controlli sbandierando i risultati raggiunti dall’agenzia delle entrate ( ma quanto sono costati qui controlli al mondo economico?). Forse si potrebbe organizzare una colletta per acquistare e far leggere il libro ai nostri legislatori, sperando che lo capiscano….
… e Drucker, consapevolmente o meno, seguiva la strada di Hayek sul problema della conoscenza… come anche Kling e Schulz.
Bene.