Questa sì che è bella / 3. La privatizzazione delle società pubbliche
Alcuni giorni fa, si è svolto al ministero dell’Economia un seminario da cui, secondo il mito corrente, è uscito un grande piano di privatizzazioni. Siamo finalmente arrivati al momento in cui i colossi pubblici diventano privati?
Terzo di una serie di post: il primo sulla “privatizzazione” della CO2 è disponibile qui, il secondo sugli immobili si trova qui.
In un paper di quest’estate, l’Ibl ha azzardato una valutazione della cifra ricavabile della completa dismissione delle società in pancia al Tesoro, e ha spiegato perché le privatizzazioni (se ben fatte) possono avere non solo un effetto immediato sulla riduzione del debito pubblico, ma anche un effetto pro-crescita di lungo termine. Al tempo stesso, non ci siamo nascosti che, in molti casi, prima di privatizzare occorre mettere mano alla struttura societaria delle aziende da cedere (per esempio, l’Eni o le Ferrovie) e/o aprire i settori economici in cui operano per creare condizioni effettivamente concorrenziali.
Purtroppo, di tutto questo non c’è traccia nei documenti del Tesoro. La presentazione di Stefano Scalera parla praticamente solo delle società “municipalizzate” (che pure andrebbero cedute, ma per definizione non sono nella disponibilità di Via XX Settembre) mentre Edoardo Reviglio ricorda le partecipazioni del Tesoro (valutandole in circa 50 miliardi di euro, che in realtà sottostimano il totale perché vengono trascurate alcune società – quali le Ferrovie e l’Inail – e vengono ignorate le partecipazioni della Cassa depositi e prestiti) ma, nel fornire indicazioni sulla valorizzazione, si sofferma solo sul capitalismo municipale. Inoltre, alcuni resoconti di stampa (per esempio Carlo Festa sul Sole 24 Ore) parlano addirittura di un progetto opposto alla privatizzazione: un dividendo straordinario da parte dei soggetti che hanno liquidità in cassa. Ora, vale la pena evidenziare che la contropartita di un dividendo straordinario, in una congiuntura negativa per tutti, non può che essere la blindatura degli assetti anticoncorrenziali, in modo tale da finanziare l’elargizione col mantenimento delle rendite monopolistiche o quasi-monopolistiche tuttora esistenti. A completare il quadro, quasi tutti gli osservatori hanno considerato irrealistica la proposta di far uscire lo Stato dalle sue roccaforti aziendali: perfino un privatizzatore senza se e senza ma come Giuliano Ferrara, in una puntata di Qui Radio Londra dedicata al tema, ha esplicitamente escluso “Eni, Enel e Finmeccanica” dalla lista della spesa.
Ma perché tanto pudore nel dire che lo Stato dovrebbe uscire da business quali l’energia, i trasporti, le poste, eccetera? A parte l’Ibl, ricordo di aver letto proposte in tal senso pochissime volte (tra le poche, Roberto Perotti e Luigi Zingales sul Sole 24 Ore e Michele Boldrin su noisefromAmerika). Tipicamente, l’obiezione che viene rivolta è che le imprese pubbliche non possono essere privatizzate perché sono “strategiche” o per questioni di “sicurezza nazionale”. Confesso che, sicuramente per mia ignoranza o insensibilità, non ho mai ben capito cosa si intenda: nella maggior parte dei paesi a noi simili, uno o più dei settori che in Italia sono presidiati dallo Stato sono sguarniti dalla presenza pubblica, e non risultano particolari problemi. Per quel che ne so, la posta viene recapitata anche in Olanda, gli inglesi consumano regolarmente elettricità e gas, eccetera. D’altro canto, con la privatizzazione degli ex monopolisti pubblici perfino in Italia i telefoni continuano a funzionare e le autostrade sono ancora lì senza che nessuno si sia portato via l’asfalto. Ho insomma la sensazione che chi sostiene l’impossibilità di privatizzare in nome della strategicità delle imprese pubbliche non abbia ben chiaro cosa tali imprese facciano.
A scopo puramente didattico, prendiamo per esempio quella che, nella vulgata, è la meno privatizzabile delle società del Tesoro: l’Eni. E guardiamo in cosa consistono le sue attività. Tutte le informazioni necessarie si trovano nel bilancio.
Nel 2010, l’attività principale (in termini di contributo al conto economico del gruppo) dell’Eni è quella di “Exploration & Production”, con un utile netto di 5,6 miliardi di euro. E&P ha prodotto, l’anno scorso, 1,815 milioni di barili equivalenti di petrolio al giorno, tra olio e gas. Su un monte riserve di circa 6,84 miliardi di barili di petrolio equivalente, solo 724 milioni si trovano in Italia. Quindi, la principale e più lucrosa attività dell’Eni è perforare il sottosuolo di paesi stranieri. E’, questo, parte della sicurezza nazionale italiana? In quale senso del termine controllarne le attività è “strategico” per il nostro governo?
La seconda più importante attività del gruppo è quella di “Gas & Power”, che nel 2010 ha portato un utile netto di 2,9 miliardi di euro. G&P si occupa di trasporto e commercializzazione di gas e generazione e vendita di energia elettrica. Per quel che riguarda il gas, Eni si approvvigiona in Italia per 7,29 miliardi di metri cubi (il 9 per cento del totale) e altri 75,20 all’estero, principalmente in Algeria (20 per cento), Russia (17 per cento), e altri. Che se ne fa, di tutto questo ben di Dio? Nel 2010, 34,29 miliardi di metri cubi li ha venduti in Italia, 62,77 miliardi di metri cubi all’estero (una parte dei quali destinati comunque al nostro paese). Il grosso, comunque, altrove. Eni G&P è anche un produttore elettrico di discrete dimensioni in Italia, con 5,3 GW di potenza installata al 31/12/2010 e vendite per quasi 40 TWh, corrispondenti a una quota di mercato nella generazione elettrica del 9,9 per cento. Occupare una posizione importante ma minoritaria nella produzione di elettricità, detenere contratti di approvvigionamento gas e vendere elettricità e gas sui mercati all’ingrosso e al dettaglio fa parte della sicurezza nazionale italiana? In quale senso del termine controllare tali attività è “strategico” per il nostro governo?
Una minuscola parte del business di G&P è connessa alla gestione di infrastrutture, siano esse monopoli tecnici (le reti di trasporto nazionale e di distribuzione locale) o potenzialmente in concorrenza (gli stoccaggi). Per ragioni di concorrenza, abbiamo più volte spiegato (per esempio qui e qui) che le reti andrebbero separate dagli operatori del mercato. Personalmente non credo che la proprietà pubblica delle reti abbia o possa avere alcun ruolo di garanzia, ma transeat. Diciamo pure che le reti, dopo essere state scorporate, possono restare in mani pubbliche perché sono “strategiche” (sebbene mi risulti difficile pensare a un azionista straniero e malevolo che, nottetempo, si porti i tubi al di là della frontiera).
Dopo G&P, viene il contributo di Ingegneria & Costruzioni, che portano all’azienda un utile netto di 892 milioni di euro. Costruire gasdotti sottomarini, la maggior parte dei quali all’estero, è una stigmata della sovranità nazionale?
Infine, registrano lievi (ma strutturali) perdite le attività di Refining & Marketing e la Petrolchimica. Perdere soldi vendendo la benzina agli italiani, o perderli mantenendo stabilimenti decotti, sono gioielli della corona italiana? Se lasciassimo ai privati il compito di riempirci il serbatoio, l’autonomia del nostro paese ne soffrirebbe davvero a morte?
Ecco, queste sono le cose che fa Eni. Ognuno giudichi quali e quanto sono rilevanti per difendere la sicurezza nazionale. Ognuno faccia un elenco. E, dopo aver fatto un elenco, mi spieghi per quale ragione tutto quello che ne sta fuori – e che, presumibilmente, rappresenta la larga maggioranza del business dell’Eni – non può essere venduto. I più volenterosi possono ripetere l’esercizio per le altre aziende del Tesoro.
Sinceramente non vedo la convenienza economica per lo stato nel privatizzare queste aziende.
Adesso lo Stato Italiano prende lauti dividendi,un domani non prenderebbe più nulla.
Vorrei far notare che anni fa compariva la pubblicità di una scuola paritaria, all’incirca così: “un anno di scuola 2500 euro, il prezzo di una vacanza:l’eduazioni di un figlio vale una vacanza?”.
Di fatto la retta era di 2500 euro l’anno. Aggiungiamone 200 per gite ed altre attività, immaginiamo che lo stato spenda 500 euro per esami e certificazioni… totale ogni allievo costa 3200 euro all’anno. Peccato che alla scuola di stato costi più di 5000 euro l’anno e gli edifici siano fatiscenti.
In un paese civile, da dove si incomincerebbe a liberalizzare ? (la gestione ovviamente, è giusto che lo stato definisca obiettivi di studio).
@Frank77 prenderebbe soldi dalla fiscalità, da un mercato aperto con un numero maggiore di concorrenti e quindi maggiore raccolta fiscale. Lo stato deve garantire regole di accesso e di gioco uguali per tutti. Poi vinca il migliore.
Queste aziende sono “strategiche” perché, all’occorrenza, possono servire per misure e prelievi straordinari (le ultime colpite: Enel, Terna, Snam Rete Gas), alla faccia del mercato, della Borsa e degli azionisti privati, che poi – tra parentesi – detengono la maggioranza delle azioni. Qui si sta parlando di privatizzare delle ‘minoranze’ azionarie, che agiscono illecitamente da ‘maggioranze’. Ovviamente, queste operazioni sarebbero impossibili per società totalmente privatizzate.
Eni ed Enel non sono da privatizzare per un ottimo motivo.
Eni, soprattutto, estrae petrolio. Io voglio che di petrolio se ne estragga e se ne bruci sempre di meno, anche a costo di perderci. Un privato, vorrà estrarne e bruciarne sempre di più.
Io voglio che Enel lavori a sostituire la generazione attuale con quante più rinnovabili possibili, anche a costo di perderci. Un privato vorrà fare ciò che più gli conviene.
E lo stesso vale per numerosi altri servizi, il cui l’esercizio privato contrasta con l’interesse pubblico.
Voglio consumare meno acqua; un privato vuole venderne di più.
Voglio una scuola che insegni a pensare, costi quel che costi; un privato mira a stare sul mercato dell’istruzione con una offerta calibrata.
Voglio che la sanità miri a massimizzare la salute delle persone, anche se è costoso; il privato mira a massimizzare le cure con il minimo costo.
Voglio una gestione globale dei rifiuti che minimizzi l’impatto complessivo sul pianeta; il privato vorrà solo lavorare il più possibile e smaltire al costo minimo.
Per contro i trasporti possono essere liberalizzati senza particolari contrasti, come le telecomunicazioni o la sola raccolta dei rifiuti.
In sintesi, bisogna scegliere.
@Roberto:Eni e Finmeccanica operano gia in un mercato aperto.
@Roberto
Ridurre i costi dell’istruzione significa mandare maestri e maestranze a casa quando l’assessore all’istruzione Centorrino della onorevolissima Regione Sicilina alla contestazione del pessimo rendimento del sistema educativo nell’isola risponde che la sua preoccupazione è STABILIZZARE i precari della scuola, magari usando i fondi FAS ! ! ! (fonte Quotidiano di Sicilia del 24 9 2011).
Ma di che parliamo?
@Rino
A questo punto sarebbe meglio dare loro l’invalidità come fini ciechi, almeno non rovinano le generazioni future!
Ho la vaga impressione che di fronte alla necessità di fare cassa si metta mano ai “gioielli di famiglia” senza tener conto delle reali necessità del creditore e senza farsi la domanda: ma siamo in grado di sostenere il debito che negli anni è stato accumulato e riusciremo a pagarlo anche negli anni a venire?
Ovviamente la risposta è no!
Quindi la svendita del patrimonio è la solita panacea inutile e furfantesca che permetterà ai soliti amichetti di cordata di impadronirsi della nostra territorialità.
E’ molto più semplice rifiutare e ristrutturare il debito, uscire dall’euro, cambiare le teste dei nostri amministratori sradicando quella pletora di parassiti che hanno spolpato l’Italia, ridando fiato alle aziende italiane, sostenendo l’investimento pubblico, agricolo e territoriale.
Non serve vendere, ma necessita acquistare.
@Pitocco
come si può leggere sul paper di ibl ( http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Papers/IBL-PolicyPaper-04.pdf ) la storiella dei gioielli di famiglia non sta in piedi. si può infatti leggere :
“Non vale l’argomento per cui al Tesoro “conviene” mantenere partecipazioni almeno nelle imprese strutturalmente in utile. Eni, una delle aziende dai rendimenti più elevati, offre un rendimento attorno
al 5 per cento. Attualmente i buoni del Tesoro vengono acquistati a un interesse prossimo o superiore
al 6 per cento, quindi conviene scambiare azioni Eni con minori emissioni di debito. Questo senza includere l’effetto pro-crescita riconducibile alle privatizzazioni.”
e poi “uscire dall’euro” riguardo a questo la ubs (banca svizzera) ha da poco effettuato uno studio sugli effetti che potrebbe avere sul nostro paese questa prospettiva :
http://www.banknoise.com/2011/09/lanalisi-di-ubs-sui-costi-di-uscita-dalleuro.html
ossia una svalutazione immediata del 50% del pil! con un danno stimato che si attesta circa sui 12000 euro a cranio solo nel primo anno e dai 3 ai 4 mila negli anni successivi..
ergo la cosa è davvero poco fattibile converrebbe di gran lunga liberalizzare e privatizzare , vendere immobili , aumentare l’età pensionabile , cancellare le province , fare tagli consistenti nell’ambito della sanità e infine cominciare a pensare ad una seria razionalizzazione dei dipendenti pubblici utlizzando il sistema del blocco del turn-over
Perchè non applica lo stesso discorso a Finmeccanica?
Troverà (almeno per il core business del gruppo) conclusioni ben diverse.
Privatizzare finmeccanica vorrebbe dire creare un monopolio bilaterale, con un pacco di monopolistic rents al fortunato privato che riuscirà ad accaparrarsi la società.
@de gaspari
“Non vale l’argomento per cui al Tesoro “conviene” mantenere partecipazioni almeno nelle imprese
strutturalmente in utile. Eni, una delle aziende dai rendimenti più elevati, offre un rendimento attorno al 5 per cento. Attualmente i buoni del Tesoro vengono acquistati a un interesse prossimo o superiore al 6 per cento, quindi conviene scambiare azioni Eni con minori emissioni di debito. Questo
senza includere l’effetto pro-crescita riconducibile alle privatizzazioni.”
Lei dimentica dei particolari non trascurabili. I buoni del Tesoro vengono acquistati OGGI al 6% e certo PRIMA non avevano tale rendimento. Inoltre la manovra viene fatta proprio per convincere i mercati ad accettare rendimenti più bassi quindi, se andasse a buon fine, smembrare e cedere ENI sarebbe solo un grazioso regalo a chi specula per comprare gli assets italiani per un tozzo di pane e priverebbe l’Italia del potere sovrano di determinare le politiche e le strategie di approvvigionamento diversificato delle risorse energetiche, attualmente sempre più scarse e appetibili. Basti vedere come Francesi e Inglesi ci hanno sfrattato dalla Libia.