Quer pasticciaccio brutto dell’obbligo di Pos
È entrato in vigore il 30 giugno l’art. 15, co. 4 del decreto-legge 179/2012, nel termine rimodulato dall’art. 9, co. 15-bis del decreto-legge 150/2013 e con l’estensione specificata dal decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014. Si tratta – per intenderci sin d’ora con la meno imprecisa delle molte definizioni approssimative – dell’obbligo a carico di commercianti, professionisti e artigiani di munirsi di Pos al fine di poter ricevere pagamenti con carta di credito o debito per importi superiori al limite di 30 euro. Per dare una valutazione del provvedimento occorre procedere per esclusione, indicando anzitutto cosa la norma non prevede.
In primo luogo, non vi è alcun obbligo per il cliente di pagare con moneta elettronica, un equivoco che è stato colpevolmente cavalcato da gran parte dei mezzi di informazione. In questo paese l’articolazione dei poteri pubblici è senz’altro materia magmatica, ma non tanto da conferire competenza legislativa alle redazioni. Pertanto, a dispetto della propaganda contraria, il vincolo all’utilizzo del contante rimane fissato nella soglia di 1000 euro.
In secondo luogo, la stessa qualificazione di un obbligo a carico degli esercenti appare controversa, perché la norma non prevede alcuna sanzione per la sua violazione. Ora, se si tratta di un giudizio opinabile dal punto di vista teorico-generale, almeno ove si disputi la validità dell’equazione kelseniana tra obbligo e sanzione, è tuttavia evidente che, dal punto di vista pratico, una norma siffatta perde molto del proprio potenziale cogente.
In questo senso, è degna di merito l’interpretazione avanzata dal consiglio nazionale forense, e avallata dal ministero dell’economia in risposta ad una recente interrogazione parlamentare, che ricostruisce nella predisposizione della strumentazione necessaria a ricevere la moneta elettronica non tanto un obbligo giuridico, quanto piuttosto un onere, onere che rileverebbe nei casi in cui fosse il cliente a richiedere la possibilità di utilizzare una carta di pagamento per saldare il proprio debito. L’inadempimento di quest’onere darebbe, quindi, luogo alla fattispecie della mora del creditore (art. 1206 ss. cod. civ.) – che, come ovvio, non estingue l’obbligazione del debitore e, trattandosi di obbligazioni pecuniarie, avrà l’unico effetto di esonerarlo dal corrispondere gli interessi per il ritardo dovuto all’inosservanza dell’esercente.
Sin qui la ricostruzione positiva; ma occorre interrogarsi anche sulla ratio della norma e sulla sua attitudine a raggiungere gli effetti sperati. Il malinteso tra obbligo di pagamento e obbligo (od onere) di accettare il pagamento, denunciato più sopra, è rivelatore: la disposizione s’inserisce in un crescente clima di disfavore per il denaro contante, principalmente alimentato dal desiderio di dare visibilità, a fini fiscali, a quelle transazioni che oggi possono sfuggire ai radar dell’Agenzia delle Entrate. Siamo certo di fronte a una misura monca, ma una misura monca il cui intento fondamentale sembra essere quello di aprire la strada a interventi più radicali.
Difficilmente l’obbligo di munirsi di Pos avrà, di per sé, un impatto significativo sull’evasione tributaria, perché dalla mera facoltà di pagare con moneta elettronica non discende la convenienza di farlo. L’esercente che proponeva di regolare la transazione in via informale ci proverà ancora; il consumatore sensibile all’offerta l’accoglierà ancora. La generalizzata diffusione del Pos non basterebbe ad alterare la catena dei loro incentivi.
A ben vedere, anzi, si potrebbe immaginare l’effetto contrario. Bisogna mettere nel conto i maggiori costi in cui gli operatori più ligi alla legge incorreranno – sul punto si è accesa la consueta battaglia dei numeri: si parla di 1200 euro l’anno per la Cgia e di 1700 euro l’anno per Confesercenti, mentre le stime delle associazioni dei consumatori sono più contenute. Queste maggiori spese dovranno essere recuperate in qualche modo: ove possibile, scaricandole sui consumatori, con un adeguamento che riguarderà, però, i prezzi in generale, non certo il conto dei soli clienti che opteranno per il pagamento elettronico.
In ogni caso, dunque, l’estensione dell’obbligo renderà relativamente più conveniente il regolamento in nero, specialmente nei casi in cui già oggi la prassi privilegia metodi di pagamento diversi dalla carta di credito o debito e che, pur non imponendo costi aggiuntivi, garantiscono la tracciabilità – si pensi al bonifico bancario. Per chiarire, l’incasso con bonifico o con contanti è tipicamente al netto e, dunque, indifferente per il creditore – semmai si può sostenere che i contanti abbiano oneri di gestione superiori. Viceversa, la carta di pagamento è, da questo punto di vista, un metodo inferiore.
Ciò non significa che non vi siano importanti ragioni d’immediatezza e universalità che raccomandino la diffusione della moneta elettronica, ma solo che questa dovrebbe essere spinta dalle forze di mercato e non da un irrigidimento forzoso della domanda in vista di obiettivi del tutto slegati, come quello del recupero d’imponibile.
E per le associazioni? Per quanto ho interpretato io non dovrebbe essere obbligatorio nemmeno in caso di attività commerciale. Il DM parla specificatamente di imprese e professionisti, però le interpretazioni più diffuse sono comunque a favore dell’onere (chiamiamolo con il suo nome) anche per il no profit.
Che ne pensa?
Leggo: “Ciò non significa che non vi siano importanti ragioni d’immediatezza e universalità che raccomandino la diffusione della moneta elettronica, ma solo che questa dovrebbe essere spinta dalle forze di mercato…” e dico: ah ! ah ! ah ! Gl’ italiani VOGLIONO toccare le banconote, perché esse solo danno la sensazione della ricchezza, non certo (per loro) un numero scritto in avere di un estratto conto. Per cui: usciamo dalla favola che si possa abbandonare quella cosa da trogloditi che si chiama denaro in biglietti semplicemente col mercato e chiediamoci se, ad esempio, non sarebbe ora di chiudere almeno la metà di 14.000 (ripeto: quattordicimila) uffici postali, di portare ad almeno 5 euro di costo cadauna le operazioni in contanti che colà si svolgano, COMPRESE LE RISCOSSIONI DI PENSIONI SOCIALI: il contante è un lusso, e come tutti i lussi si deve pagare. Poi tappeti d’ oro per gli assegni, piena girabilità sempre e comunque, e massacro di chi li usa per fare il furbo, emettendo i “cabriolet”. Ah, magari rendere meno necessario il “nero”.
@ Alberto. No profit? Vogliamo chiamare anche quello col suo nome? No Lex, o No Tax, per esempio?
Per essere perfetta a quella legge manca solo questo periodo: “a decorrere dalla pubblicazione della presente legge, tutti i pagamenti relativi a transazioni in nero vanno fatte con POS o bonifici bancari”.
E’ solo l’ennesimo capitolo della retorica dell’evasione fiscale, per farci dimenticare come vengono utilizzati i nostri soldi e farci digerire ulteriori tasse.
@giuseppe Purtroppo è vero che esiste una buona percentuale (quantificabile?) di finto no profit – A me piace definirlo ne-approfit. Tuttavia non possiamo cassare tutto il movimento altrimenti staremmo al palo. Pensiamo allo sport – è la mia specialità, faccio da consulente per le ASD, o almeno ci provo – senza le centinaia di migliaia di associazioni che operano anche in territori disagiati l’offerta starebbe a zero. A scuola? due ore a settimana, e poi?
Non voglio fare del benaltrismo (!), giusto punire chi se ne approfitta, ma bisogna tutelare chi opera correttamente, o almeno ci prova, dicendogli chiaramente cosa può e cosa non può fare; cosa deve o cosa non deve fare.
Questa del POS è solo l’ultima delle situazioni in cui le associazioni sono lasciate a metà del guado. averlo o non averlo? Io nel dubbio ho consigliato di dotarsene a chi fa attività commerciale anche per mere questioni di comodità. ( http://news.associare.it/?p=299 Se non si possono inserire link cancellate pure)
@ Alberto Ho fatto l’Allenatore di Pallavolo (per hobby) per moltissimi anni (non dico quanti)
So come funziona la storia dellle fatture, che è arrivata ad un livello ignobile. ( e lo sa anche il Fisco )
Ci sono ancora tante Associazioni pulite, ma anche a livello dilettantistico molti Presidenti ormai lo fanno per soldi (altrimenti chi glielo fa fare mettersi in un impiccio del genere?)
Voglio dire: non si potrebbe trovare un sistema meno ipocrita pre far sopravvivere l’Associazionismo?
Egregi,
questo è il livello di ipocrisia della nostra politica. Cosa vuoi commentare.
Andate anche a vedere cosa stanno combinando con l’anatocismo, ci provano costantemente, e tutto in sordina, meno male che ancora qualche
politico serio esiste.
Saluti
RG
@giuseppe Su questo sono pienamente in sintonia. A chiunque voglia ascoltarmi, a qualsiasi livello, ripeto la solita tiritera da tempo. Il mio cavallo di battaglia sono i famosi compensi/rimborsi sportivi che, teoricamente, sono a disposizione di qualunque atleta, tecnico, amministrativo di ASD o SSD, ma che da un lato vengono usati in situazioni improprie – eufemismo – e dall’altro, quando ci sono i controlli, vengo contestati a priori, anche quando sono pienamente regolari. Senza contare che per chi prende quei soldi non è previsto alcun piano previdenziale e deve fare tutto in proprio. Quanta emersione ci sarebbe se permettessimo alle migliaia di istruttori di palestra, per fare un esempio, di mettersi veramente in regola, invece di vivere in continua incertezza? Altro che POS