Quel ridicolo, demenziale sciopero del calcio
Alla fine la trattativa tra Lega Calcio e Associalciatori è ripresa a oltranza, dopo il richiamo dell’Alta Corte del Coni. E un accordo a non rompere pare, in extremis, definito. Ma bisogna dirlo comunque. E’ stata l’idea stessa dell’Associazione dei calciatori italiani che è sul punto di esser ritirata, aver proclamato cioè per domenica sciopero negli stadi, a rappresentare un’amara fotografia dei tempi in cui viviamo. Non si possono usare mezzi termini. Il solo averla procalamata e minacciata esprime una grande mancanza di senso della misura. E di consapevolezza. Laddove senso della misura e consapevolezza non vanno commisurati alla condizione del giocatore professionista di calcio, ma rapportati invece alla condizione generale del Paese, e a come concretamente se la passano ogni giorno milioni e milioni di cittadini e lavoratori italiani. In quattro parole: uno schiaffo alla miseria.
Bisogna per forza immaginare che si tratti di un eccesso a cui l’Assocalciatori è giunta dopo mesi di braccio di ferro, visto che già a settembre scorso la situazione era al punto odierno e un primo sciopero fu evitato in extremis. Solo che in questi mesi, evidentemente, si è persa di vista l’Italia, si è smarrito il senso profondo delle cose, quello che tutte le collega in una diversa scala di valori e proporzioni. Si stenta a credere che, se davvero raccolti in una grande assemblea, i calciatori italiani, che ogni domenica sono esposti agli incoraggiamenti e agli applausi ma anche ai fischi dei tifosi, davvero avrebbero potuto condividere e votare una simile decisione. Non dico l’avvocato Campana ma loro che calcano i campi, quanto meno, dovrebbero sapere che una simile decisione li esporrebbe non solo a sacrosanta protesta, ma a un vero e proprio dileggio. A una rottura profonda con il cuore, la testa e la pancia dell’Italia.
Assocalciatori ha ripetuto che ila questione dei fuori rosa – ancora una volta accantonata, a stare alle indiscrezioni – configura un diritto essenziale, sul quale non si tratta. Ma una rapida cernita alla gerarchia dei diritti individuali e collettivi del lavoro italiano, come sanciti dal diritto e dalla giurisprudenza, difficilmente troverebbe un giurista disposto a sostenere davvero che allenarsi obbligatoriamente con l’intera squadra, e non con un programma differenziato deciso dalla società sportiva, configuri per il giocatore professionista un diritto costituzionale inalienabile. Si può comprendere che i giocatori la pensino diversamente, di fronte alla valutazione di un tecnico e della società di non considerarli più tendenzialmente prima e sistematicamente poi in prima rosa, e di avviarli infine a cessione. Ma è pazzesco essere anche solo sfiorati, dall’idea di poter accostare come analoga questa situazione del professionista del pallone al licenziato da uno stabilimento.
E’ invece proprio questa, la convinzione che i calciatori hanno diffuso intorno a sé, con il loro sciopero minacciato. Nessuno nel loro mondo associativo si è posto una mano sulla coscienza, pensando al milione di italiani espulsi in due anni dal mondo del lavoro per effetto della crisi, e al milione e duecentomila che già non trovavano lavoro prima della discesa di 6 punti del Pil? E per quanto i calciatori non guadagnino proprio tutti i pacchi di milioni di euro l’anno che sono appannaggio dei più grandi campioni, possibile che non ricordino che il reddito medio degli italiani annuo sta intorno ai 20 mila, e sotto in molte aree del Paese?
Si dirà: quando si tratta del proprio contratto, ogni categoria pensa al suo. Giusto. Ma l’apporto a una squadra di un calciatore non si misura coi tempi scanditi e i volumi metrici delle produzioni in reparto, né le pause e i recuperi sono quelli di un operaio o di un impiegato. Soprattutto se pensiamo poi alle tante anomalie che nei decenni hanno caratterizzato il calcio nella sua dimensione societaria, e che gravano ancora sulla sostenibilità di moltissimi club, per via delle debolezze del loro conto economico consolidato, dell’aver chiuso un occhio a criteri di redazione dei bilanci patrimoniali fuori dal codice civile, dell’aver consentito quotazioni in Borsa in assenza di asset materiali.
Tener conto di tutto questo, è il minimo che si possa chiedere ai calciatori italiani. E’ un bene per loro innanzitutto, che lo sciopero sia revocato. La prossima volta che dovessero ritenere di essere a un punto di rottura con i club, pensino a forme di protesta del tutto diverse. Organizzino incontri gratuiti per i disoccupati, per esempio. Tre maxi amichevoli, una per i colpiti dall’alluvione in Veneto, una per i terremotati dell’Aquila, una per le vittime della mafia e della ndrangheta. Facciano capire a tutti che si battono per quel che è giusto e con spirito solidale, ma senza dimenticare mai che cosa l’Italia di oggi coi suoi problemi gravi, rispetto ai loro.
Nel gennaio del 411 avanti cristo Atene fu attraversata da una febbre improvvisa, allorché Aristofane alle feste Lenee rappresentò una sua commedia. Si intitolava Lisistrata, e metteva in scena lo sciopero delle ateniesi e spartane, contro la guerra del Peloponneso combattuta per anni dai mariti. Era uno sciopero particolare: il primo sciopero del sesso. Eppure, la commedia fu un grande successo: proponeva uno sciopero mai visto, ma per uscire da una terribile guerra. La lezione è questa: quanto più si sta in alto nella piramide sociale, tanto più uno sciopero sembra ai più che stanno in basso solo quel che si riduce a essere. Uno schiaffo alla miseria.
Pienamente d’accordo. Si ha l’impressione che gli interpreti della giostra pallonara si prendano un pò troppo sul serio. Di questi atteggiamenti intransigenti ci sarebbe bisogno in ben altre situazioni (es. cori razzisti contro Balotelli o “colpi di mano” degli ultras tipo Juve-Parma della scorsa stagione) ma a quanto pare nessuno di loro ha il coraggio di uscire dal gregge…
buongiorno dott. giannino,
le sue considerazioni circa l’autogoal dei calciatori, se avessero posto in atto il cosiddetto sciopero (parrebbe ad oggi in via di cancellazione) sono da me condivise, tuttavia non traggono dalle medesime considerazioni di merito, sebbene infine conducano alle medesime conclusioni.
Considerazioni di merito: mi pare un pò irrealistico pensare che siano i calciatori in attività, il grosso dei quali tra i venti ed i trent’anni e perciò senza preparazione sufficiente dal punto di vista della cultura giuridico-economica e senza esperienza di vita, possano essere gli ideatori di questa forma di protesta. se fossero loro, comprendendo che la faccia che finisce in prima pagina è la loro stessa, non si esporrebbero in questa forma.
allo stesso modo non ritengo che, sebbene i calciatori in attività godano degli effetti sugli stipendi dell’evoluzione (ormai ventennale) delle associazioni sportive in società, finanche di capitali, che ha trasformato lo sport italiano, ed in particolare il calcio, in una industria anziché in un mezzo di educazione, siano essi i reali beneficiari di lungo periodo di questa impostazione.
Diciamo, e mi interessa il suo parere, che sono gli ex-calciatori che, magari inizialmente motivati da una sincera ambizione di essere parte della crescita dello sport, hanno mal concepito il ruolo (forse proprio non capito il ruolo) del calciatore-dipendente in un sistema che, manovrando tanto denaro, avrebbe necessariamente esposto lo sport a sistemi industriali, non certo ambienti privi conseguenze.
ed invece io riterrei che lo sport dovrebbe essere una palestra di vita, dei giovani per i giovani, un ambiente relativamente privo di conseguenze dove verificare il proprio apprendimento al vivere, e formare quindi uomini pronti a dare qualcosa alla società civile, dal loro punto di vista.
Mi pare che si sia lontani parecchio, semmai questa impostazione sia da ritenersi corretta, da tutto ciò.
Ma se si ritenesse corretta, credo sia ingeneroso, o demagogico, assecondare l’idea della responsabilità dei calciatori in attività per quanto sta succedendo. affiancati a forze più grandi, ne verranno fuori malissimo: essi stessi casuali protagonisti del periodo di guerra, la categoria in generale, e lo sport in definitiva, per le ragioni che ho tentato di spiegare.
Infine sulle conseguenze: se si fosse tempo per salvare qualcosa, la strada è certamente quella da lei indicata. Siano lungimiranti i calciatori, e saggi, e che qualcuno ben li guidi, nell’adottare forme di manifestazione del dissenso e del consenso più consapevoli della realtà, si avvicinino alla società civile, escano dalla torre d’avorio (e d’oro), riducano il proprio interesse economico e la rendita di posizione (che in ogni caso verrà loro infine ridotta), ma la rendano il prezzo pagato per una contropartita più importante che potrebbe essere un, seppur parziale, reindirizzamento dello sport nell’alveo della palestra, via dall’agone.
cordialmente
fabio franconieri
Caro Giannino, fino a pochi giorni fa ero proprio nel PALLONE ma ora non piu’, ohhh, finalmente, grazie alla RAI o meglio dire ai “talk shows” che ci ha recentemente e puntualmente offerto, HO FINALMENTE CAPITO, che:
1) la NDRANGHETA, LA MAFIA E LA CAMORRA hanno preso armi e bagagli e si sono trasferite al Nord liberando completamente il Sud.
2)il problema dei RIFIUTI a Napoli, Palermo, ecc. e’ colpa del Nord che spedisce la’ le proprie schifezze.
3) chi investe in fabbriche al Sud lo fa solo per inquinare l’ambiente, sfruttare i lavoratori e ottenere sovvenzioni dallo Stato.
A questo punto mi “sorge spontanea una questione”: che peccato che il Sud non abbia votato Lega Nord quando questa voleva la “SECESSIONE”, oggi il Sud potrebbe essere un paradiso, finalmente affrancato da quei caproni del Nord.
La speranza e’ l’ultima a morire.
Ascoltate il video messaggio di Natale estratto da ” Se Gesu’ fosse Tremonti… ”
sul blog: http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
Serenita’
Anton
Da lavoratore nel mondo del calcio, quindi da persona che se domenica non si gioca non percepisce parte del suo stipendio (faccio sicurezza in uno stadio) vorrei dissentire, almeno in parte. I giornali – daccordo con lega e figc – hanno cercato di far passare l’idea dello sciopero dei milionari per attaccare la credibilità di una associazione che sta scomoda ai potenti del calcio.
E’ l’unico sistema per impedire di far uscire la verità: i giocatori vogliono prevenire situazioni alla Jimenez – costretto dal detentore del suo cartellino ad allenarsi alla ternana in lega pro – e vogliono avere certezze sulle cure mediche.
Perché non fare una proposta di maggior livello? Invece di inquadrare i calciatori come dipendenti dello spettacolo, perché non iscriverli direttamente nel grande mondo della partita iva e delle aziende personali? risolveremmo un sacco di problemi, anche lavorativi, no?
Giannino, lei grande sostenitore di detassazione in tutti i settori economici, non ritiene sarebbe utile detassare le retribuzioni dei professionisti dello sport nel nostro paese? Questo darebbe grande sostegno al mondo degli sport minori dove solo chi riesce ad entrare in squadre sportive delle forze armate può dedicarsi all’agonismo con relativa serenità(un’anomalia tutta italiana). In un anno di crisi anche per il mondo del calcio tra mondiali fallimentari e la probabile sparizione di un posto in Champions League, l’ombra del fallimento sul Bologna calcio, una norma del genere aiuterebbe i bilanci delle grandi società di calcio e non solo dove il monte stipendi è a livelli astronomici perchè i calciatori calcolano i loro guadagni netti, e permetterebbe di liberare risorse per tornare ad attrarre campioni da Spagna e Inghilterra. Che ne pensa?
Giannino mi delude, analisi stranamente populista….
Intanto, dall’altra parte dell’oceano probabilmente salteranno un intera stagione di football.
http://www.preventnfllockout.com/
Saluti