Quel che resta di Einaudi – di Alberto Giordano
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Alberto Giordano.
Chissà cosa penserebbe – e scriverebbe – Luigi Einaudi, scomparso giusto cinquant’anni fa, a proposito della crisi dei debiti sovrani e della finanza globale. La riterrebbe probabilmente conseguenza del malgoverno di classi politiche incapaci e scarsamente attente alla tutela della libertà economica, nonché spesso colluse con potenti interessi monopolistici. Quella santa alleanza tra big government e big business che combatté strenuamente per tutta la vita, tra l’ammirazione dei (pochi) amici e l’ostilità dei (numerosi) avversari.Eh già, perché il ‘vetero-liberale’ Einaudi (come venne talvolta definito) possedeva una dote che oggi scarseggia assai: l’indipendenza. Indipendenza che credo lo porterebbe a guardare con preoccupazione a una lunga serie di fenomeni sempre più diffusi all’interno del nostro sistema-paese, a partire dalla diminuzione della quota di risparmio privato – un’erosione fortunatamente più lenta rispetto ad altre nazioni, ma non per questo meno pericolosa. Per Einaudi, infatti, il risparmio rappresenta la causa prima del progresso e della libertà, dato che «il cosiddetto incivilimento è caratterizzato, dal punto di vista economico, dal prevalere del senso della previdenza, della preoccupazione dell’avvenire, dei calcoli per il futuro lontano, dell’egoismo di specie sul senso del presente, del godimento immediato, dell’egoismo individuale».
E a consentire che il risparmio trovi l’impiego migliore, ecco intervenire il mercato. Grazie al mercato, tra l’altro, non soltanto vengono soddisfatte le preferenze dei consumatori alle condizioni più favorevoli, cosa che Einaudi teneva in grande considerazione, ma si consente agli individui di accedere liberamente a qualsiasi professione essi desiderino intraprendere come strumento di autodeterminazione economica ed elevazione morale. D’altra parte, per Einaudi il liberalismo è «la dottrina di chi pone al di sopra di ogni altra meta il perfezionamento, la elevazione della persona umana; una dottrina morale, indipendente dalle contingenze di tempo e di luogo».
Tuttavia in Italia (ma non solo) la concorrenza è minacciata continuamente, oltre che dallo statalismo, da corporazioni, barriere, rendite di posizione e monopoli. Con questi ultimi Einaudi non fu mai tenero, e tanto meno lo sarebbe oggi: il monopolio rappresenta «la sola, la vera degenerazione dell’iniziativa privata», affermò in un intervento all’Assemblea Costituente, proponendo che «nella Costituzione sia sancito il principio che la legge non deve creare il monopolio e che quando i monopoli esistono, questi monopoli devono essere controllati», poiché la legge non può «farsi essa stessa strumento di creazione di monopoli».
Ma controllati da chi? Beh, la risposta non piacerà a molti, sebbene abbia accomunato illustri liberali d’ogni tempo: in quel «piccolo numero di imprese» – tra le quali il servizio di approvvigionamento idrico – nel quale i privati «estorcerebbero prezzi da monopolio ai consumatori», occorre «limitare l’azione della privata impresa ovvero sostituirla con l’azione diretta dello stato». Contraddizione? Incoerenza? Può darsi. Ma su questo, come su parecchi altri insegnamenti di Einaudi, sarebbe bene tornare a riflettere con serietà e senza pregiudizi.
Quando un monopolio si forma solo per merito della libera iniziativa privata, non c’è nulla di male. Se un’ azienda batte la concorrenza offrendo il miglior rapporto qualità/prezzo, sono proprio i consumatori a beneficiarne. Se però quell’ azienda cercherà di alzare i prezzi in maniera ingiustificata, contando solo sul fatto di essere monopolista, incoraggerà altri privati a farle concorrenza a un prezzo leggermente inferiore: per via iterativa, la concorrenza porterà il prezzo verso il livello ottimale.
Una trattazione a parte possono averla i “monopoli naturali”. Ma, anche in tal caso, la concorrenza può essere introdotta tramite gare di affidamento – come per la gestione del servizio idrico. L’ azione dello Stato non deve essere equivocata con la gestione statale: lo Stato deve stabilire un minimo di regolazione (quella veramente necessaria), lasciando la gestione ai privati che offrono il miglior rapporto qualità/prezzo.
Non dimentichiamo che Einaudi difettava di molti degli strumenti che noi oggi abbiamo per capire l’economia, e veniva da un periodo in cui il dibattito era stato pesantemente polarizzato dalla diatriba sui “trust” Americani a cavallo tra l’800 e il ‘900.
Detto questo di monopoli privati non ne vedo neanche uno, al massimo si tratta di soggetti privati che hanno acquisito privilegi legali a causa della connivenza politica, corporazioni, barriere, rendite di posizione ecc. in Italia vogliono semplicemente dire che una delle migliaia di leggi dello stato ha dato ad un soggetto o ad un insieme di soggetti la licenza di costituire il proprio monopolio in un settore.
Allo stesso modo le privatizzazioni sono state effettuate vendendo in blocco il monopolio pubblico in un settore, con annesso privilegio legale d’esclusività, passando semplicemente la gestione, invece che procedere ad una liberalizzazione del settore che avrebbe permesso una sana concorrenza e l’emergere di forze nuove.
Aggiungo che è bene ricordare che un monopolio privato è sempre preferibile ad uno pubblico per una mera questione di efficenza.
In conclusione prima di scagliarsi con i cattivi privati, con l’allusione finale al mercato idrico che non mi piace neanche un pò, bisognerebbe prima di tutto eliminare regolazioni, leggi e leggine che permettono l’instaurarsi di odiosi monopoli, poi magari ci sarà ancora spazio per un’ azione dell’antitrust, ma si tratterà di una percentuale infima dei casi. Purtroppo con uno stato così onnipresente è praticamente possibile creare un modello o effettuare una valutazione empirica ex ante a riguardo.
“Lo Stato ha solo tre doveri:
• difendere la società dalla violenza
• difendere l’individuo dall’ingiustizia o dall’oppressione di qualcun altro
• mantenere in efficienza opere ed istituzioni pubbliche che nessun singolo avrebbe mai interesse ad erigere o mantenere operanti”
Thomas Jefferson