Quattro lezioni del “socialista” Kristol
Di Irving Kristol hanno già parlato Oscar Giannino e Pasquale Annichino, e a quanto da loro scritto vorrei limitarmi ad aggiungere poche cose. Sono del partito che ritiene che la cosa migliore di Kristol fosse la moglie, Gertrude Himmelfarb, grandissima storica. Penso anche (come LucaF nei suoi diversi commenti) che l’influenza di Kristol sul movimento conservatore americano sia stata, dal punto di vista delle idee, almeno in parte deleteria: basti ricordare il suo celeberrimo articolo a favore di un “conservative welfare state” (che incorniciava idealmente il “big government conservatism”, su cui non si raccomanderà mai sufficientemente questo bel libro di Michael Tanner). Tuttavia, le cose non sono così semplici. Più socialista di noi liberisti, Kristol lo era infinitamente meno del resto del mondo. Leggere per esempio questi consigli ai conservatori britannici allo sbando:
So I would urge Britain’s conservatives to put aside bankers’ economics, otherwise known as “prudent household economics”. The nation is not a household. In the modern world the nation has to be committed to economic growth in a way a household cannot be. To achieve such economic growth, a cut in tax rates–10% is a good number to begin with but the prospect of further cuts must be kept in mind–is the beginning of economic wisdom. Economic initiatives must be encouraged for economic growth to happen.
Vorrei però sottolineare qualcos’altro. Cioè che Kristol è un esempio per tutti noi, nel suo essere stato – limpidamente – un grande stratega nella battaglia delle idee. La strepitosa influenza di un gruppo d’intellettuali davvero sparuto come i neoconservatori è un monumento alle sue capacità. Ha detto bene Joe Lieberman:
Irving Kristol was an inventive entrepreneur of ideas who was boundless in his wit, creativity, and insight. Irving understood that ideas have consequences – and his immense influence was the result of his unique ability to shape the American political landscape with the power of creative thought.
Quali lezioni portare a casa, dalla vita e dall’approccio di Kristol? Secondo me, quattro:
1. non accontentarsi delle “idee”, ma cercare di calarle il più possibile nel reale, traendone delle “soluzioni”;
2. non sottovalutare l’importanza dell’agone giornalistico (ricordava giustamente Oscar Giannino come Kristol sia stato un imprenditore intellettuale assolutamente e decisamente “non accademico”);
3. avere un po’ di “spirito della fronteria” e cercare di colonizzare con le proprie ricerche aree di studio importanti ma nuove, “arrivando prima” dei competitor intellettuali. Pensate all’influenza degli studi di James Q. Wilson e Charles Murray, germogliati nella serra “kristoliana”;
4. ricordare sempre che l’organizzazione è importante tanto quanto l’elaborazione.
… dimentichi la quinta lezione, altrettanto importante e chissà se addirittura prioritaria come condizione alle altre quattro, visto che era così anche per Milton Friedman …. trovarsi la moglie giusta e non mollarla mai!
Ringrazio Mingardi addirittura per la citazione nel suo articolo, certamente più che la teoretica kristoliana nei contenuti e nelle forme, di tale pensatore bisognerebbe cogliere l’aspetto divulgativo come modus operandi (non necessariamente da copiare, da parte liberista e libertaria come spiegherò nel commento) nonostante la visione corporativista neocon, sfiori l’assurdo economico, come da lei giustamente fatto notare tra istanze sostanzialmente inconciliabili (spese pubbliche welfariste, atavica avversione marxista nei confronti delle banche, quali luoghi di racolta dei capitali).
Certamente lo sviluppo del filone neocon in America (fenomeno mai come oggi bipartisan non solo in Usa!), è significativo non solamente di una capacità di divulgazione personale e di scommessa personale da parti di tali intellettuali, nel cercare sponde e terze vie in altri partiti rispetto a quelli di partenza.
Il problema si pone però quando tali pensatori, vogliono realizzare e concretizzare le loro teorie, al di là del limite del dato possibile, o addirittura in totale mancanza di cultura economica.
La sindrome del filosofo platonico, riordinatore del mondo dall’alto, è forma mentis che sempre mal si accompagna dall’ambito progettuale a quello politico nel dato pratico.
Tali pensatori avranno certamente costituito una forte presenza entro la cultura americana tout court (non solamente sul piano GOP), ma ciò è derivato non solamente dalle loro singole capacità imprenditoriali di direttori o giornalisti, quanto piuttosto anche e soprattutto dalla loro capacità di vendersi bene, rendendosi appetibili nei confronti dei palazzi del potere di Washington D.C alla casta in caso di sua referente necessità.
La politica necessita di cortigiani, in particolare di quelli che non sollevano mai critiche sull’operato del politico e che anzi ne favoriscano o suffragano la sua forte presenza ed estensione di potere.
I Neocon in questo sono stati ideali, anche per certa politica conservatrice americana, mediante il finanziamento e sostegno (pubblico non soltanto privato) di progetti e linee editoriali, di partito o d’area, le quali hanno permesso entro un processo a cerchi concentrici di emanare tale filone ideologico settario e minoritario verso una dimensione sempre più mainstream e di far fare a tali esponenti lucrative carriere personali grazie al sostegno dato ai politici a loro connessi.
Inizialmente entro i media di parte, poi a seguire nelle associazioni e riviste a livello nazionale sino all’anticamera dello studio ovale.
Ovviamente se il merito è presente in tale strutturazione e progettualità culturale, neocon da parte della tenacia editoriale e dalla forte convinzione da parte dei singoli personaggi, dall’altro bisogna ribadire come tale fenomeno sia stato fortemente sopravvalutato in termini di pubblica ricezione di massa, fenomenologia politica e di partito, anche nelle ultime elezioni presidenziali americane (alla pari di altri fenomeni di nicchia quali i teocon e i cristiani rinati) da tutti i media, entro un processo di autoalimentazione ideologica del proprio mito e della propria autocelebrazione (rivelatosi dannosa e controproducente alla urne).
Come si è visto gli americani e in particolare gli elettori della Right Nation non sono culturalmente nè rappresentativamente maggioranza neoconservatrice, ma semmai Old Right.
Anzi fenomeni come Ron Paul e i Tea Party, non si spiegherebbero in questi mesi, alla luce di un legame indissolubile e identificativo tra l’elettorato GOP solo e unicamente con i Neocon (passati nel frattempo al servizio, militare, di Obama), promosso retoricamente dagli stessi loro media (ripresi anche qua da noi in Italia pedissequamente).
Il credo politico Neocon e le proposte social-conservatives da loro promosse, sono fortemente condizionanti e limitanti in termini di fiducia, consenso e crescita di appeal da parte del GOP tra i suoi stessi potenziali elettori (oggi poi stiamo assistendo al rigetto su quasi tutti i fronti di tale forma mentis ideologica).
In Italia analogie e considerazioni di tali tipo non mancano ovviamente nel centrodestra PDL (cattosocial-socialista) dove a fronte di una forte richiesta di riforme liberali e liberiste da parte dell’elettorato, promesse ogni volta da Berlusconi, si è invece assistito una volta al potere al consolidato connubbio nella detenzione e gestione delle riforme ministeriali e delle politiche economiche, a personaggi aventi storie e percorsi di vita identitari e culturali, analoghi a quelli dei neocon americani.
Tale minoranza politica di potere, non ha portato avanti alcuna riforma necessaria in termini deregolativi, ma gestendo statalisticamente la cosa pubblica, ha sia messo in perenne e silente minoranza-interna la componente conservatrice fiscale-liberale, liberista libertaria ma ha anche progressivamente egemonizzato e condizionato ulteriormente un mondo nostrano dei media, che come giustamente fatto rilevare da Mingardi e Giannino (in precedenti articoli su questo sito, in relazione ai Tea party e la loro ricezione attraverso le news italiane), non brillava certamente di luce liberista e libertaria neppure in precedenza.
Ma non si può certo credere di poter vedere da parte di una simil classe politica nostrana la promozione di idee liberiste e libertarie, come sta avvenendo oggi negli Usa (da noi entrambi i due contenitori sono statalisti, non c’è opposizione politica a rappresentanza del campo antistatalista, salvo casi come quelli apolitici di Facco e del ML).
Cosa si può dire in conclusione, certamente che la politica gioca sia negli Usa che in Italia ancora un forte ruolo, come blocco oligarchico selettivo e selezionatore di brand, trend e mode di costume, anche culturale-intellettuale da diffondere e veicolare tra la gente.
Ma a differenza del rapporto GOP-Neocon, pensare che in Italia un rapporto PDL (neppure paragonabile al GOP, in particolare a quello attuale americano) con il mondo d’area economico liberale liberista libertario possa svilupparsi verso un incremento di quest’ultimo nella sua presenza culturale attuale e virtuosa di correlazione biunivoca, è errore metodologico e politologico pagato duramente ancor oggi dall’elettorato liberale dal ’94 a oggi.
In tale arco di tempo, non soltanto non si è potuta realizzare alcuna rivoluzione liberale, ma le componenti lib-lib-lib e riformatrici politiche (e i loro principali esponenti) di centrodestra, sono divenute sempre più marginali e suddite di un rapporto non bidirezionato tra voti apportati e contenuti effettivamente realizzati.
In sostanza i liberali sono rimasti attaccati ad un’immagine di Berlusconi non in concreto appagante, nella sua concreta messa in opera sul piano pratico di attività di governo.
Ricoprendo il ruolo di intendenti e di suggeritori inascoltati entro la corte di un Principe settecentesco poco illuminato e poco disponibile alle critiche e a differenti visioni stanno progressivamente riducendosi al lumicino.
Ciò deriva ovviamente dal fatto che alla politica italiana anche di centrodestra a livello partitico e di componenti parlamentari, è infastidita tradizionalmente all’ascolto di una promozione di tesi liberiste e miniarchiche, nei confronti dell’operato dello Stato e sul ruolo dell’ambito legislativo.
Al politico interessa solo il suo tornaconto e il mantenimento di una “attiva” comoda immagine decisionista.
La ricezione di alternative controcorrenti oggettivamente serie e innovatrici, fanno fatica ad affermarsi, in particolare a fronte di due blocchi partitici sempre più similari e soci d’affari pubblici.
In America a differenza dell’Italia c’è da dire che a fronte di tali sacche di servitù intellettuale selezionata statalmente, r-esiste una dinamica e libera società aperta, dinamica sul fronte della propria autodifesa e rivendicazione spontanea nei confronti dei torti posti dal Governo a livello di tasse e spese. Grazie poi a forme di detasssazione liberiste, di fiscalità favorevoli all’investimento culturale, filantropico individuale privato, associazioni, think tank e centri di ricerca possono operare mediante loro fund raising autonomi e regole gestionali proprie, con una sensibilizzazione a livello civile e culturale tra la gente senza la necessità di ricevere un sostegno pubblico o favori politici.
Operanti solamente attraverso la fiducia conquistata sul campo e sul mercato dall’autorevolezza dei contenuti e della loro componente umana.
In Italia a parte il lodevole quanto raro (se non unico caso) vostro dell’IBL, lo Stato e il tessuto sociale e culturale (nonchè politico), impedisce e condiziona ancora la cultura e la promozione-divulgazione di idee libere in tutti i campi.
Lo Stato proibisce implicitamente di fatto sul nascere la possibilità di ricevere finanziamenti da parte dei privati, favorendo anche attraverso leggi e normative assurde (es: 5*1000 ai partiti) qualsiasi la possibilità di veder sorgere ed espandersi coraggiosamente e anno dopo anno forme di libera ricerca e pensiero, sia nell’ambito delle scienze economiche, sia in quelle high tech o biotech.
Settori che non solo permetterebbero di limitare in ambito economico la corruzione e il potere burocratico vessatorio sulle spalle dei contribuenti, ma favorirebbero economicamente, un pluralismo e una competizione interna atta incrementare la prosperità e il benessere nel nostro Paese; grazie a innumerevoli ricadute aggregate indirette sulla qualità della vita dei singoli italiani, in termini occupazionali e di salute.
Il punto di partenza risulta sempre essere quello economico e del mercato entro una battaglia culturale liberale classica liberista e libertaria.
Nei Neocon invece la componente di mercato è marginale, per loro ma anche come meccanismo sociale strutturato generale, dato che il punto di partenza resta per loro politico, inteso come statalista, ergo non fautore di libertà economiche umane.
In Italia si potrebbe ridurre il tutto all’atavica riproposizione della questione crociana-einaudiana tra liberalismo politico (statalista giuspositivo) e liberismo economico (free markets giusnegativo).
Dove ovviamente gran parte dell’attuale classe dirigente politica di centodestra conservatrice reazionaria andrebbe categorizzata entro la prima opzione, a fronte di tenaci componenti liberiste costituenti la seconda e vera forma intrinseca di autentico liberalismo in quanto economicamente classico e anarcocapitalista.
Cordiali saluti da LucaF.
consiglio a luca: quando sono così corposi e densi, i commenti è meglio metterli sul blog in forma di post aggiuntivi richiamando i testi a cui si fa riferimento e ai quali si replica, perchè altrimenti si rischia di privare molti dell’interessante lettura: ad aprire i commenti è una minoranza dei visitatori!
@ Giannino:
Effettivamente mi sono dilungato un pò troppo, cercherò d’ora in poi di contenermi e di inserire brevi commenti.
Farò come lei mi suggerisce: inserirò link-risposta dal mio blog ai commenti presenti nel vostro sito.
Cordiali saluti da LucaF.
ma guarda che ho detto il contrario: quando sono così mettili in questo blog come post. era l’esatto opposto di una critica. così ci arricchisci meglio! e naturalmente mettili anche sul tuo, ci mancherebbe
@Giannino
Scusi ancora Giannino, sono certamente io quello che non ha compreso le potenzialità della piattaforma di questo sito.
Quindi ricapitolando per metterli come post evidenziati, devo cliccare prima del commento sull’opzione Rispondi o Cita giusto?.
Oppure ha a che fare con il forum (di cui ad esser sincero ignoro il suo funzionamento in merito a questo sito)?.
Attendo sua paziente risposta nei miei confronti.
Saluti LucaF.