22
Mag
2009

Quattro domande sul rapporto Caio

Ora che del rapporto Caio sappiamo tutto, sebbene continui a sfuggirci il motivo di tanta segretezza, è il momento dell’analisi. La mia impressione è che il rapporto sia una buona risposta a domande cattive: proviamo, dunque, a porre le domande giuste.

1) Siamo convinti che spetti al governo il compito di determinare l’ammontare di connettività desiderabile nel nostro paese?

La risposta è un chiaro no. Vi sono certamente delle azioni che i pubblici poteri possono intraprendere per agevolare (rectius: non ostacolare) il raggiungimento del livello ottimale: rientrano in questa categoria la predisposizione di un quadro regolamentare certo ed equo e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Ma – come per ogni altro bene – sono la domanda e l’offerta a dover determinare la quantità. La banda larga non sfugge alle leggi dell’economia.

2) Questo vale anche per il digital divide?

Sì. Le zone di digital divide sono banalmente le aree in cui è (ancora) anti-economico portare l’accesso in banda larga. Non si tratta, come molti sembrano pensare, di una market failure ma piuttosto di una market feature: quando il gioco non vale la candela, si passa la mano. Ora, è legittimo sostenere che il digital divide vada combattuto, ma l’argomento va posto per quello che è: una richiesta di redistribuzione a beneficio di individui ai quali – brutalmente – non ha ordinato il dottore di vivere in aree digitaldivise.

3) Come la mettiamo con le reti di nuova generazione?

La risposta è giocoforza la medesima. L’ottimo Stefano Quintarelli rilancia oggi uno studio del regolatore spagnolo che dimostrerebbe l’impossibilità per il mercato di portare le NGN ad oltre metà dei sudditi di Juan Carlos: da ciò consguirebbe la necessità dell’intervento pubblico. Si tratta però di un non sequitur: ad esempio, il mercato non ha ancora trovato il modo per fornire a ciascun maschio maggiorenne un jet privato, e nessuno si sogna di richiedere l’intervento del governo a correzione di tale stortura. Se le stime della CMT fossero corrette ne seguirebbe unicamente che quello della rete di nuova generazione è un progetto prematuro ed, allo stato attuale delle tecnologie e dei processi, insostenibile. Va appena ricordato che non sono le stime a fare la storia dell’economia, ma le concrete operazioni degli agenti economici.

4) Posto che la politica ha deciso di piantare (almeno) una bandierina su internet, si possono individuare strategie d’intervento più o meno dannose?

Mi pare che non si tratti di una questione di poco conto. Se un esborso pubblico dev’esserci, è necessario che esso sia il meno distorsivo possibile. Un finanziamento diretto agli operatori violerebbe questa condizione, attribuendo allo stato un ruolo imprenditoriale che – storicamente – esso ha dimostrato di saper interpretare con esiti tragici. Inoltre, si imporrebbe un notevole sforzo di vigilanza successiva. Perché, allora, non riflettere sulla possibilità di un broadband voucher assegnato direttamente ai cittadini e spendibile presso qualsiasi operatore e senza distinzioni di tecnologia? Si tratterebbe d’un’opzione assai più efficace e rispettosa dei principi di un mercato che la bramosia della classe politica potrebbe seriamente compromettere.

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5 Responses

  1. Rino P.

    Avevo dato uno sguardo al rapporto Caio quando lo avete citato giorni addietro. E avevo svolto in parte le vostre considerazioni.

    Non mi sento di condividere però l’osservazione 2). Nessuno ci ha prescritto dove vivere, ma neanche si può pensare di trasferire armi e bagagli in una zona fornita dal digitale solo per il gusto di avere il digitale. Per come è scritta, l’obiezione sembra far ricadere sul cliente le scelte degli operatori (giustificatissime).

    Non ho un’obiezione alternativa da proporre. Mi piacerebbe però saperne di piu’.

    Cortesi saluti digitati.

  2. Massimiliano Trovato

    Gentile Rino, grazie per il suo commento. Cercherò di spiegarmi meglio.
    L’individuazione del luogo di residenza presuppone, come ogni altra scelta, che vengano soppesati costi (inclusi i costi opportunità) e benefici. Per alcuni, la mancanza di un collegamento internet ad alta velocità non si può neppure considerare un costo. Per altri, lo è, ma è comunque inferiore ai benefici – per dire – di uno splendido isolamento o di certi paesaggi montani o del radicamento degli affetti.
    Il rischio, per come la vedo, è duplice: da un lato, si tratterebbe di redistribuire risorse verso cittadini che non sono stati condannati da un destino cinico e baro ma hanno semplicemente fatto delle scelte; inoltre, c’è l’eventualità concreta che tali risorse vadano sprecate, perché i destinatari hanno dimostrato un interesse limitato verso la connettività a banda larga. In entrambi i casi, mi pare un utilizzo disinvolto del denaro dei contribuenti.

  3. massimo

    Il costo di un collegamento internet ad alta velocità in zone remote tende a scendere: ci sono providers che offrono un collegamento via satellite con una piccola parabola ad un costo marginalmente più elevato di quello fisso.

    Mi sembra che questione sia l’assenza del problema piuttosto che la ricerca di una soluzione adeguata.

  4. Alessio

    Buongiorno,
    una domanda a proposito: quanto deve essere ampia la banda larga? Tanto parlare sulla banda per l’utenza domestica si basa sull’assunto che i contenuti multimediali hd la faranno da padrone (senza considerare che il fatturato associato è basso e i margini probabilmente negativi, se contassimo la quota parte di impatti infrastrutturali sul servizio) e quindi ne serve parecchia per un servizio altamente fungibile vista l’offerta satellitare. Per il business, la connettività è così fondamentale? Per il popolo delle partite iva e per le piccole e medi imprese, quanta banda serve? Quali sono i servizi veicolabili attraverso internet di interesse delle imprese? Mi auguro che il pubblico investa soldi non nell’infrastruttura ma nei servizi online al cittadino e alle imprese (banalmente, perché non posso consegnare direttamente il 730 online senza passare da un caf o ottenere un certificato via posta elettronica?), l’accesso a questi servizi potrebbe rendere sostenibile l’investimento infrastrutturale da parte dei privati o delle aziende. Per il digital divide le soluzioni tecnologiche scalabili ci sono. La realtà è che mancano i servizi appetibili, quelli per i quali un utente è disposto a pagare e dubito che la televisione possa alimentare questo processo.

  5. Ivan

    Il mio primo abbonamento ad Internet risale al 1994, si viaggiava con modem a 33.6KBaud, dopo un anno sono passato ad un modem a 64KBaud e sembrava una scheggia, finalmente si caricavano velocemente le pagine in http 1.0 e i newsgroup. Poi sono arrivate le immagini con buona risoluzione in tutti i siti, le animazioni e poi ancora i filmati e grafica sempre più avanzata e il modem cominciava a scoppiare, nel frattempo gli utenti sono cresciuti e la banda disponibile si andava sempre più riducendo. Adesso anche per accedere dignitosamente a dei siti non troppo pesanti servono almeno 640K, che diventano un po’ pochini nel momento in cui si vuole anche scaricare documentazione tecnica in pdf o filmati un po’ lunghi. Quindi ritengo corretta la stima di Caio di dover garantire almeno 2Mbit di banda in download, perche come sempre accade con la tecnologia (specie informatica), non sappiamo ancora cosa avremo a disposizione domani. Si badi che non si tratta solo di entertainment, ma anche di servizi b2b. Magari non sarà la Tv HD, più probabilmente la videoconferenza, il telelavoro, il co-engineering on-line o chissà cos’altro. Insomma la banda larga serve eccome, in parallelo si svilupperanno i servizi; altrimenti sarebbe come volersi concentrare molto sulle automobili lasciando in secondo piano lo sviluppo della rete viaria. Ah, già, ma questo è già successo… Saluti

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