Quattro domande a Padoan su Ue, tasse, spesa e Sud
In questi giorni il ministro dell’Economia Padoan dichiara molto. Ed è proprio per questo, chiarezza per chiarezza, che gli si possono rivolgere alcune considerazioni. Non per disconoscere a lui, al governo di cui fa parte e al premier Renzi la volontà molte riforme da fare finalmente presto. Ma per capire meglio quel che non è affatto chiaro.
Primo: l’Europa e le sue regole. E’ un fatto ed è un bene, che l’Italia in questo 2014 non sia più nelle condizioni di “chiedere col capello in mano” a Berlino e Parigi, come avveniva invece nella terribile estate 2011. Tuttavia non è per eccesso di tigna e pignoleria, che sarebbe stato preferibile poter contare su un documento preciso e su proposte chiare, per capire quale sarà la posizione italiana nel semestre di presidenza europea che comincia tra pochi giorni. In che cosa consisterà di preciso, la richiesta di valutazione delle riforme fatte, e per ottenere quale effetto, sulla valutazione dei tempi dei modi per il raggiungimento dell’azzeramento del deficit strutturale, quell’obiettivo al quale Bruxelles ha appena accolto la richiesta del governo Renzi di farlo slittare di un anno rispetto al previsto? Sappiamo bene che il negoziato europeo è tema delicato. I governi dei paesi eurodeboli – come noi restiamo – devono evitare di apparire proni a reiterate richieste di rigore tedesco. E i tedeschi devono stare attenti a non sottovalutare il voto europeo e la frana governativa avvenuta in Francia. Tuttavia resta il fatto che, sulla nuova “metrica della crescita” europea, a oggi ciò che il governo ci chiede è di prestare fiducia. Condendo questa richiesta con molte – troppe parole – sul “cambia verso” che dovrebbe imoboccare l’Europa. Anche stamane FT parla di “tre profondi cambiamenti alle regole” chiesti dall’Italia in Europa: sarebbe troppo cheidere di che cosa si tratta di preciso? Sperare è bene, ma allo stato attuale sono i numeri a dire che l’attesa di crescita del Pil italiano dei fori internazionali resta inferiore al più 0,8% previsto e ribadito dal governo per quest’anno. Su quale crescita aggiuntiva dovrebbe farci lo scontro l’Europa, se il primo trimestre 2014 al momento proietta sul Pil dell’anno un tendenziale del meno 0,2%?
Secondo: le tasse. Il ministro ha detto e ripetuto che è venuto il momento di abbassarle. Ora non dobbiamo essere noi a ricordare al ministro Padoan quanto è previsto dal DEF che ha presentato con il governo Renzi, in aprile. Lo facciamo per i lettori. Secondo le tabelle governative il totale delle entrate pubbliche passa da 752 miliardi nel 2013 a 767 nel 2014, a 785 nel 2015, a 803 nel 2016, a 823 nel 2017. Cioè aumentano di 71 miliardi di euro, mentre la spesa pubblica salirebbe da 799 miliardi del 2013 a 838 nel 2017. Settanta miliardi di euro di entrate in più in 4 anni, a fronte di 39 miliardi di euro di spese in più: purtroppo il raggiungimento graduale dell’azzeramento del deficit pubblico si continua a realizzare programmaticamente assai più alzando le entrate che tagliando la spesa (anzi, la spesa continua a crescere, sia pur molto meno velocemente che negli anni ruggenti precedenti a Monti). Sono questi numeri, a dire che bisogna cambiare marcia. E sono i numeri di questo governo, al quale va naturalmente riconosciuto che ha ereditato la situazione che ha ereditato, non l’ha creata lui. La pressione fiscale resta però inchiodata al 44% del PIl e al 57-58% per chi le tasse le tasse le paga, e con questa pretesa pubblica l’economia crescerà molto meno del possibile.
Terzo: la spesa. Tutti sappiamo che l’unica alternativa a provvedimenti fiscali che si limitano a dare a qualcuno per levare a qualcun altro sono i tagli di spesa. E’ un fatto che quelli sin qui disposti per il 2014 dal governo arrivano a mala pena a 3 miliardi, dei quali i 700 milioni attesi dalle regioni sono ancora tutti da definire. Ed è un fatto – confermato da Bankitalia – che pur prendendo per buoni i 17 miliardi di tagli di spesa promessi dal governo per il 2015, essi praticamente sono già da considerare assorbiti per la conferma “strutturale” del bonus da 80 euro concesso ai lavoratori dipendenti sotto i 25mila euro lordi di reddito, nonché per la sua estensione promessa dal governo a pensionati, incapienti e autonomi, nonché ancora per il finanziamento degli oneri sociali che andranno in scadenza. Spazio per altri sgravi, attualmente non ce n’è. Aspetteremo la legge di stabilità, certamente. Ma non era meglio muoversi subito e con più energia, sui tagli di spesa? Attualmente, è difficile dare torto a chi, come il professor Luca Ricolfi, scrive che se questo è il quadro allora meglio pensare a sgravi che alzano di più il Pil nel breve, cioè l’abbassamento di IRAP e IRES alle imprese, piuttosto che sostegni al reddito che in maggior parte devono ricostituire il tanto reddito perso, e non possono per questo tradursi in consumi. Ovviamente, la cosa migliore sarebbe avere sia il bonus sia gli sgravi alle imprese: ma per questo bisogna tagliare di più la spesa. Senza dimenticare che la Commissione europea ci ha ricordato che aspetta anch’essa altri 9 miliardi di miglioramento del saldo per il 2015, perché altrimenti i conti del deficit promesso non tornano.
Quarto: il Sud, dimenticatio dai più. L’appello venuto da Padoan a una miglior efficienza e qualità delle Autonomie, regioni e comuni, è giusto ed essenziale. Ma è altrettanto vero che finora stenta a vedersi, una strategia per il recupero dei tremendi gap accumulati dal Sud nella crisi: di bassissima partecipazione al mercato del lavoro di giovani, donne e over 55enni, di desertificazione d’impresa, di restrizione di credito. Il governo è stato efficace nel riorientare un po’ di miliardi di fondi europei che sarebbero altrimenti stati perduti. Ma ora occorre una scelta strategica che veda il governo, le regioni e le maggiori città del Sud stilare una serie ristretta di priorità per i fondi 2015-2021, con un meccanismo che di anno in anno faccia scattare allocazioni sussidiarie e prioritarie per evitare di restare indietro. Noi non possiamo offrire al Sud il cambio alla pari che la Repubblica Federale Tedesca con il lungimirante Kohl garantì alla Germania Est all’atto dell’unificazione, zittendo la Bundesbank che era contraria. Ma al Mezzogiorno dobbiamo costruire non la possibilità, ma la necessità di potersi battere alla pari, per il miglior utilizzo di risorse scarse. A oggi, ci sa dire il ministro qual è la risposta del governo di fronte ai conti di Napoli, sui quali il sindaco ha detto chiaro che la bocciatura della Corte dei Conti non può costituire un sentiero praticabile? Finora, Roma e il governo hanno fatto finta di niente. Va bene, c’è stata la campagna elettorale europea. Ma ora è finita, e servono risposte concrete.
la spesa continua a crescere, sia pur molto meno velocemente che negli anni ruggenti precedenti a Monti : COSA?????????? Dal 1° gennaio 2012 ad oggi il debito pubblico è aumentato di 255 miliardi !!!!!!!!
Stimatissimo Oscar, si parla tanto di ridurre la pressione fiscale facendo soltanto leva sull’abbassamento delle aliquote di imposta. Nessuno parla della base imponibile, che è il vero problema della ormai schizofrenica politica fiscale.
Abbiamo un livello di aliquote tutto sommato in linea con la media europea ma, paradossalmente, una base imponibile infinitamente più grande di tutte le nazioni europee. Il trucco sta nella indeducibilità ed indetraibilita di molti voci di spese che pur facendo parte di costi aziendali diventano fiscalmente indeducibili.
Questo è il grave e grande problema delle PMI.
Spero condivida questa miserevole riflessione.
Victor Di Maria
Finchè non si farà chiarezza sulla genesi dell’attuale crisi economica, non si potranno prendere quelle misure necessarie a disinnescare la recessione in atto. Ridurre la spesa pubblica se contemporaneamente non si abbassa la pressione fiscale non serve a far aumentare il PIL. Ridurre la spesa pubblica se contemporaneamente non si rimuovono le cause che hanno generato la recessione, e non sono certo quelle legate alla crisi finanziaria del 2007, crisi che ha rappresentato la manifestazione della crisi economica, non le cause, serve a ben poco. Se le aziende sono 15 anni che chiudono i battenti, vogliamo chiederci perché hanno chiuso? Stiamo ancora sperando di riconvertire il sistema industriale italiano da manifatturiero ad alta tecnologia? Stiamo ancora sperando di avere le produzioni legate alle esportazioni sufficienti per mantenere l’intero Paese? Possibile che nessuno voglia parlare dell’insostenibilità di una globalizzazione senza freni ad uso e consumo della Germania e di pochi altri? Se la Germania cresce mentre noi sprofondiamo da anni in una recessione incontenibile, possibile che a nessuno sia venuto in mente che la nostra recessione è funzionale per la crescita della Germania? Se noi chiudiamo le frontiere con l’Asia i cinesi a chi vendono i loro prodotti? Ma soprattutto, in quel momento, i tedeschi a chi vendono i loro macchinari? Da queste semplici risposte si capisce come è organizzato il gioco: i tedeschi vendono ai cinesi i macchinari con cui i cinesi realizzano i prodotti da vendere in Italia e nel resto del mondo. Se poi teniamo conto che i prodotti cinesi sostituiscono prodotti equivalenti europei di valore molto superiore, si capisce l’enorme danno che subisce il nostro PIL. Quindi finchè non si torna a crescere produttivamente, e dubito si possa fare senza freni alla globalizzazione in atto, ridurre la spesa pubblica serve a poco, serve a ridurre il buco nelle finanze statali, ma non a risollevare il Paese.
Egregio Giannino,
non sono in grado di dire quale sia la ricetta più adatta per una ripresa, né quali possono essere state le cause della crisi, se non affidarmi ad analisi e commenti di persone assai più provvedute di me al riguardo. Mi limito a sottolineare quanto viene detto nel commento di Coburn, ma soprattutto che purtroppo anche questo governo sta ripercorrendo la vecchia strada delle “balle” (mi perdoni la grossolanità dell’argomentare): non si può declamare “coram populo” che le tasse vanno abbassate per farsi belli e poi programmare quello che lei ha riferito. Nel solo mese di Aprile 2014 (non anni fa!) il debito è aumentato di 26 (!) miliardi. Come famiglie ed imprese abbiamo ridotto in questi anni le spese anche del 40%, mentre Comuni, Regioni etc continuano invece ad aumentare la spesa. Non c’è alcun provvedimento sulle municipalizzate (tanto care al partito di Renzi), né sulle spese sanitarie delle Regioni. Qui urgono provvedimenti drastici, importanti e veloci ed invece si fa melina, facendosi belli dei 150 milioni di tagli alla RAI. Sacrosanti, ma una goccia nel mare. Temo che di fronte al disastro dei conti anche questo “nuovo” userà il solito vecchio arnese di nuove tasse per tutti.
Mi sembra ormai evidente che l’Italia si avvia sempre più verso l’amara realtà dei fatti e la conseguente resa dei conti.
Una realtà dei fatti che l’opinione pubblica di questo paese intravede avvicinarsi all’orizzonte e della quale preferisce ancora non parlarne.
Il nostro paese ormai non ha più altra scelta : bisogna ridurre la spesa pubblica.
Ridurre la spesa pubblica significa ahimè un sacco di brutte cose come ad esempio (solo per citarne alcune) :
– licenziare dipendenti della PA ormai in esubero, anche se tali provvedimenti finiranno purtroppo con il colpire maggiormente quelle aree del paese dove si è sempre fatto ricorso all’assunzione nel pubblico impiego come ammortizzatore sociale.
– ridurre le pensioni, a cominciare da quelle d’oro e quelle dei baby-pensionati (gente che ha smesso di lavorare a 40/50 anni). Purtroppo il vecchio sistema pensionistico retributivo del quale moltissimi italiani hanno beneficiato in passato, nel futuro si dimostrerà insostenibile per le casse dell’INPS.
-riforma del lavoro con maggiore flessibilità in uscita, tale riforma tuttavia dovrà avere effetto retroattivo (includere anche i contratti precedenti e non solo quelli stipulati dall’entrata in vigore della riforma in poi) altrimenti continuerà a persistere lo squilibrio tra lavoratori con nuovi contratti a tutele ridotte e lavoratori con vecchi contratti privilegiati a super-tutela sindacale. Questo ovviamente provocherà da una parte un contraccolpo terribile, poichè molte aziende si libereranno di personale inadeguato che ad oggi non possono licenziare in quanto iper-garantito., ma dall’altro consentirà a molti nuovi lavoratori di entrare nel mercato del lavoro a mò di ricambio.
– Procedere con le liberalizzazioni in molti settori oggi a regime protetto, anche se questo comporterà proteste feroci e conseguente perdita di asset patrimoniali per chi aveva investito denaro al fine di acquisire il privilegio di poter entrare in tali categorie (es. i tassisti che hanno acquistato la licenza pagandola fior di quattrini).
– Fine della cassa integrazione, la quale ormai serve solo a mantenere in vita aziende decotte. Anche in questo caso assisteremo come contraccolpo ad un inevitabile aumento della disoccupazione. Aumento il quale tuttavia oggi viene solo tenuto mascherato da tale ammortizzatore sociale inadeguato ai tempi moderni.
– fine di incentivi e sussidi di ogni genere alle imprese private, le quali devono imparare a camminare sulle proprie gambe
Bene,l’Italia non è più nelle condizioni di “chiedere col cappello in mano” come nella “terribile estate 2011”.Quindi la posizione italiana nel semestre di presidenza europea sarà di “chiedere col cappello in mano” nella radiosa estate del 2014.Si insiste sui tagli che non ci saranno mai ma bisogna pur passare il tempo.Condivido il commento di Gaetano ma la soluzione dobbiamo trovarla da soli,non sperare che qualcuno la trovi per noi.La risposta del governo di fronte ai conti di Napoli?Cà nisciun è fess.
Ci stiamo avvicinando a grandi passi alla patrimoniale? Imposta tanto voluta da una sinistra che non vede l’ora di punire il profitto. Il giorno in cui anche tutti gli imprenditori vorranno esercitare il loro diritto di essere parte integrante della p.a. chi pagherà le imposte?
Manu , hai perfettamente ragione.
A questo punto tutti vogliamo entrare nella PA e godere dei privilegi dei quali questa imponente casta (quella degli impiegati pubblici) gode.
Il fratello (operaio) di un mio amico recentemente ha sùbito un trasferimento del suo posto di lavoro da Milano a Firenze.
La ditta nella quale lavora ha chiuso la sede di Milano e ha detto a tutti i dipendenti che se volevano continuare a lavorare dovevano andare in quella di Firenze…altrimenti a casa. La domenica sera saluta la famiglia e si mette in viaggio per la bella città toscana, da dove fa ritorno il venerdi sera. Ovviamente spese di viaggio e affitto della casa sono a carico suo e dei suoi colleghi i quali, come lui, hanno dovuto accettare giocoforza la situazione.
Una mattina facevo colazione al bar.
Accanto a me c’erano dipendenti pubblici dei vicini uffici comunali, anche loro intenti a fare colazione.
Li sentivo Commentare con toni aspri la notizia sul giornale riguardo la riforma Renzi sulla PA.
Sostenevano che il trasferimento di 50km (inizialmente se non sbaglio dovevano essere 100) previsto per i dipendenti della PA è una ingiustizia…e che i sindacati dovrebbero fare la voce grossa per ottenere almeno un indennizzo di spese viaggio e alloggio per gli “sfortunati” colleghi ai quali capiterà di essere oggetto di tali trasferimenti.
Essendo una persona a modo ho evitato di prenderli a maleparole.
Dopotutto mi rendo conto che questa è gente che vive in una isola felice, inconsapevole di cosa accade al di fuori di essa.
Gli orari di lavoro degli uffici comunali dove questi signori lavorano sono i seguenti : aperti solo al mattino, rimangono aperti soltanto due pomeriggi alla settimana, nel fine settimana ovviamente sono rigorosamente chiusi (fatta eccezione per un inutile ufficio informazioni al cittadino aperto il sabato mattina).