Quanto fumo inutile su Vivendi-Mediaset. Ma la Consob dov’è?
Nella vicenda in corso tra la Vivendi di Bollorè e la Mediaset di Fininvest-Berlusconi bisognerebbe evitare polveroni inutili, in cui in Italia eccelliamo ogni volta che un gruppo estero mette nel mirino gruppi italiani. Distinguiamo almeno tre piani, allora, e stiamo ai fatti. Primo: è vero che l’Italia delle imprese è terra libera di preda per affamati gruppi stranieri? Secondo: c’è un senso industriale nelle operazioni di Bollorè in Italia, o è pura e spregiudicata guerra di corsa? Terzo: ha un senso mobilitare la politica e chissà quale suo diritto di veto, oppure nella vicenda in corso ci sono, bastano e avanzano banali ed elementari regole di mercato, al cui rispetto chiamare tutti i contendenti?
Cominciamo dalla prima questione. Lasciamo parlare i numeri. Mi spiace molto per le autorevolissime testate d’informazione che ogni volta riattaccano la tiritera dell’Italia d’impresa alla mercè di barbari stranieri che vengono qui a banchettare espropriandoci, ma pare proprio che le cose non stiano così. Se andiamo alla banca dati Reprint-Politecnico di Milano-ICE – dati ohimé aggiornati solo a fine 2014, quando ci daremo un sistema di statistiche nazionali più aggiornate sarà sempre troppo tardi – i dati sconfessano le geremiadi. Le imprese estere controllate da imprese italiane erano 20418 nel 2008 e sono salite a 23.433 a inizio 2015. Con un numero di addetti all’estero salito da un milione e 80mila unità a un milione e 170mila. E con un fatturato all’estero accresciutosi da 373 a 417 miliardi di euro. Le imprese italiane controllate da società straniere al contrario erano 9340 nel 2008 e sono salite a inizio 2015 a 10.148 unità, con addetti complessivi tra Italia e mondo passati da 822mila a 828mila unità, e un fatturato sceso da 422 a 417miliardi (soprattutto all’estero). Teniamo a mente questi dati: è vero che moltissimi marchi della moda o alimentari del nostro made in Italy sono passati in mani straniere, ma nessuno qui fa altrettanta attenzione alle centinaia di acquisizioni italiane all’estero annuali nella manifattura, meccanica, componentistica, engineering, energia, o a quelli di Luxottica negli USA. Abbiamo il problema opposto, semmai: lo stock di investimenti diretti esteri in Italia è pari a un terzo di quelli in Francia e a meno di un quinto di quelli nel Regno Unito: dovremmo puntare ad accrescerli, non ad allontanarli con barriere autarchico-nazionaliste.
Seconda questione. Mentre qui piagnucoliamo per tentare di difendere ossessivamente il duopolio tv Rai-Mediaset per altro da anni superato per fatturato da Sky e dalla sua offerta non generalista, il mondo da anni accelera verso grandi integrazioni di players globali. Ieri la 21st Century Fox di Murdoch ha comunicato di aver raggiunto un’intesa con il management di Sky per aggiudicarsene il pieno controllo, rilevandone il 60% che ancora non possiede con un deal da 14,6 miliardi di dollari. L’obiettivo è dar vita a un gigante transconcontientale a cui sommare i 22 milioni e oltre di clienti di Sky in Italia, Regno Unito, Irlanda, Austria e Germania, e unendo a Fox i diritti della Premier League britannica e di serie tv di successo mondiale come Game of Thrones. E’ la risposta di Murdoch alla sfida globale di Netflix. Mentre grandi telcos americane come AT&T hanno rilevato nel 2016 grandi gruppi leader nei contenuti e nelle library cinematografiche come Time Warner. Negli USA il 100% del mercato delle pay-tv è verticalmente integrato tra operatori tv e TLC. In Francia il 37%, in Germania il 29%. Solo in Italia restiamo con il 100% del mercato tv in mano solo a operatori televisivi: siamo fuori dalla storia. Netflix, Apple e Amazon hanno già il 67% del mercato globale dei video online a pagamento. Se anche Youtube entra nel settore dei contenuti video premium, oltre il 90% del mondo avrà player globali solo americani, che profilano i clienti e sanno tutto delle loro abitudini di consumo, cosa che conta molto più di quanti si limitano a pagare un abbonamento. Viene di qui l’interesse per un progetto che unisca Canal+ francese e la forza di advertising del gruppo Havas e di Vivendi, cioè di Bollorè, con Mediaset forte di Telecinco in Spagna, per un eventuale player europeo: capace anche di offerte integrate con Telecom Italia – di cui Bollorè è maggior azionista di riferimento – e magari con la Telefonica spagnola (Bolloré ne ha più volte parlato) e con la stessa telco francese Orange, in una prospettiva di cooperazione continentale.
Ma, certo, il problema è come farlo, con quali rapporti di forza societari, e con chi alla testa. Eccoci alla terza questione. Ieri Agcom ha già tirato un freno, dicendo che qualunque ipotesi che mettesse insieme Telecom Italia e Mediaset sotto guida francese si scontrerebbe con i limiti antitrust, valicati dalla eventuale somma delle due società sul mercato italiano. Ma il punto non è il mercato domestico, bensì quello europeo e mondiale. Il governo e i politici si sono subito protesi a dire che l’italianità di Mediaset va preservata. L’italianità porta titoli sui giornali, ma c’entra come i cavoli a merenda. L’unico punto di cui essere rigorosamente certi è che le regole di mercato siano rispettate. Mentre qui, da quel che sappiamo, a dire il vero è forte il sospetto in senso opposto. non sembra proprio.
Facciamo un passo indietro. Ad aprile scorso Vivendi e Mediaset realizzarono un’intesa perfettamente e bilateralmente chiusa e concordata. Vivendi accettava di rilevare Premium (la tv a pagamento di Mediaset che perde un mucchio di denaro, ma ha i diritti della Champions League e non solo) valutandola 760milioni, nel segno di un’alleanza industriale europea duplice, per una piattaforma tv a pagamento e per una grande factory di produzione di film, format di trasmissioni e serie tv, a garanzia della quale le due società si scambiavano anche ciascuna il 3,5% del proprio capitale. Scambio che sarebbe avvenuto a un reciproco valore dei rispettivi titoli che nell’accordo veniva riconosciuto e sottoscritto dalle due parti. A luglio, Bollorè cambia idea e annuncia di contestare il deal, proponendo invece di rilevare una quota pari solo al 20% di Premium e proponendo invece di acquisire un 15% del capitale di Mediaset tramite un bond convertibile. Scattano immediatamente le impugnative legali di Mediaset, il cui titolo però subisce da allora un fiero colpo in Borsa per il venir meno del deconsolidamento del debito e delle perdite di Premium, e per il declino della prospettiva di integrazione europea, scendendo da quasi 5 euro a 2,2 a fine novembre. Tre giorni fa, Vivendi annuncia di aver avviato acquisti di massa del titolo Mediaset sul mercato secondario, e di proporsi di salire oltre il 20% nel capitale della società, cosa nel frattempo avvenuta.
Qui scatta il grande enorme problema. Sul mercato britannico, l’equivalente della nostra Consob in poche ore avrebbe ammonito Vivendi. Più o meno dicendole questo: cara Vivendi, tu risulti a tutti gli effetti, fintantoché le impugnative legali non chiariranno il punto, legata a un deal perfettamente chiuso con Mediaset su Premium, nel quale concordavate anche reciprocamente il valore a cui scambiarvi un’analoga quota di capitale. Poiché per effetto del tuo annuncio di luglio il titolo Mediaset è drasticamente sceso, tu hai comprato i suoi titoli sul mercato secondario a un valore molto inferiore a quello che avevi convenuto, grazie alla manipolazione che il tuo annuncio ha avuto su quel titolo. Mentre, per difendersi, Fininvest ha accresciuto la propria quota in Mediaset comprandone anch’essa un 3 e rotti per cento sul mercato che si aggiunge al suo 35%, ma a un prezzo schizzato verso l’alto dopo la dichiarata intenzione di Vivendi di candidarsi a scalarla. A fronte del fortissimo sospetto di una manipolazione del prezzo Mediaset da parte di Vivendi – prima verso il basso a proprio vantaggio, e poi verso l’alto a svantaggio di Fininvest – cara Vivendi tu puoi comprare tutti i titoli Mediaset che vuoi, ma intanto come regolatore noi ti ammoniamo perché, sinché non si chiarisce chi ha ragione sul deal firmato ad aprile, e non si dissipa l‘ipotesi di manipolazione dei prezzi, a quelle azioni che stai comprando noi ci riserviamo di sterilizzare il diritto di voto. E quand’anche, cara Vivendi, ti presentassi in assemblea Mediaset e chiedessi amministratori di minoranza o costituissi minoranza di blocco, ricordati bene per l’articolo 2373 del codice civile italiano sul conflitto d’interesse i tuoi voti sarebbero impugnabili e nulli, perché il conflitto da Vivendi aperto sul deal relativo a Premium costituisce un danno oggettivo per Mediaset.
Ecco, fermiamoci qui. Basterebbe un regolatore dei mercati finanziari anglosassone e proteso in tempi immediati a richiamare il rispetto dei contratti tra privati e del codice civile, per ricollocare la vicenda in corso su binari della fair competition. Senza scomodare né l’autarchia della politica né i magistrati penali. E senza negare che è un grande interesse anche per Mediaset e per i players italiani, partecipare nel rispetto rigoroso delle norme all’eventuale costruzione di un grande soggetto europeo.
Quale ruolo dovrebbe avere la stampa ed in generale i media dell’informazione in un paese a democrazia capitalistica?
Il ruolo fondamentale è a mio avviso quello di contrappeso al potere. Essere un vero “cane da guardia” che non fa sconti a nessun potere (politico, economico, finanziario, giudiziario, informativo) per tutelare la verità e la comunità di cittadini normali che non possono altrimenti controllare l’operato dei suddetti poteri. Io oggi sono esterefatto nel vedere come una cosa banale come questa: ci mente al popolo perde totalmente credibilità e deve essere costretto ad allontanarsi dalla possibilità di gestire interessi del popolo.
E’ vergognoso che Renzi e la Boschi non vengano costantemente incalzati dai cd Media per chiedere che mantengano la parola data: ritirarsi dalla politica totalmente come più volte hanno affermato. E’ surreale che nessuno gli chieda conto di questo. Chi mente non è degno di rappresentarci. Punto!
Sempre lucido come uno specchio il nostro Oscar.