Quantitative Easing: funziona davvero?
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Vladimir Salerio.
Con la fine del mandato di Mario Draghi alla presidenza della BCE e delle politiche di Quantitative Easing da egli fortemente volute (salvo recenti annunci…), è il momento propizio per tracciare un breve bilancio circa la loro efficacia.
Ho analizzato la questione ponendomi principalmente due domande: Il QE è stato efficace? Il QE potrebbe aver avuto effetti inaspettati?
Secondo me la risposta alla prima domanda è negativa, e le ragioni sono molteplici.
Il fatto che il QE non sia stato in grado di provocare effetti di crescita apprezzabili sull’economia europea nel suo complesso, e in particolare su quei paesi che maggiormente ne avrebbero avuto bisogno (come il nostro), mi sembra piuttosto self-evident. L’inefficacia del QE come politica monetaria è dovuta principalmente alla sua stessa natura fortemente espansiva: infatti, come Krugman (1998) insegna, una variazione della base monetaria avrà effetto sulla spesa nominale degli agenti solo se essi la riterranno permanente; ed ovviamente qualunque agente economico razionale darà per scontato che il massiccio aumento della base monetaria dovuto al QE verrà in seguito riassorbito dalla Banca Centrale (come effettivamente avvenuto in Giappone nel 2006).
Tuttavia, almeno un effetto del QE sull’eurozona c’è stato: l’acquisto massiccio di titoli a lungo termine, sia pubblici che privati, sui mercati secondarii è la causa principale dell’aumento artificiale della domanda aggregata per questi ultimi, il che ha causato una diminuzione dei loro rendimenti. Dato che i programmi di acquisto di titoli della BCE, e specialmente l’Asset Purchase Programme (APP), che può essere considerato come l’unica misura strettamente definibile come QE attuata dalla BCE; hanno riguardato anche i titoli di stato di paesi periferici della zona euro, si può dire che il principale effetto a livello macroeconomico del QE sia stato permettere a questi paesi, grazie alla domanda per i loro titoli artificialmente alta, di prendere a prestito danaro a basso costo.
In una situazione simile, un decisore politico di larghe vedute, specialmente in un paese a bassa crescita e ad elevato debito pubblico, approfitterebbe della favorevole congiuntura di finanza pubblica per attuare delle riforme di natura strutturale che possano accrescere la produttività e la competitività dell’economia nazionale.
Inutile dire che la classe politica italiana, negli anni in questione, ha preferito far finta di nulla, sprecando questa possibilità per offrire invece sussidi ed elargizioni di natura più o meno “populista”, come il reddito di cittadinanza o gli “80 euro”. Al contrario, in nazioni come Irlanda, Spagna o persino Grecia le riforme in questione sono state attuate, e non è un caso che ad oggi tutti questi paesi stiano crescendo, e che siano tutti ritenuti debitori più affidabili dello stato italiano. Da qui possiamo trarre un’importante lezione: non è il QE o in generale la politica monetaria di per sé ad assicurare la ripresa economica, ma piuttosto la ferrea volontà politica di esorcizzare quelli che sono i “peccati originali” di un sistema-paese. Solitamente essi sono bassa produttività, inefficienza della spesa pubblica, dirigismo, alta tassazione, incertezza del diritto… Insomma, tutti problemi che prima della crisi dei debiti sovrani in molti paesi europei erano semplicemente ignorati, e in Italia lo sono tuttora.
Alla seconda domanda invece è più difficile rispondere. Per quanto io pensi, basandomi su alcuni elementi di teoria economica, che esistano effettivamente degli “effetti collaterali” del Quantitative Easing, essi si manifesterebbero solo nel medio/lungo periodo, e perciò non sono immediatamente osservabili.
Come già sappiamo, il QE prevede una massiccia espansione della base monetaria, e contestualmente l’acquisto di grandi quantità di titoli a lungo termine. Ovviamente da ciò si avrebbero principalmente, a livello teorico, due conseguenze: l’inflazione e il rialzo artificiale dei prezzi di alcuni titoli sui mercati finanziari.
Per quanto riguarda l’inflazione, va notato che nei casi reali in cui il QE è stato applicato, fra cui l’eurozona, essa non si sia effettivamente osservata, o quasi: anche questo è dovuto alla percezione del QE come misura temporanea da parte degli agenti economici.
La seconda conseguenza è più sottile. Infatti, se è vero che nell’immediato i massicci acquisti di titoli aiutino a “placare” i mercati finanziarii in periodi di forte incertezza; essi nel medio periodo avranno lo spiacevole effetto di far aumentare il prezzo degli asset oltre il loro livello “naturale”.
Ricordando che il prezzo di un titolo può essere considerato come una proxy della rischiosità dello stesso, è evidente la possibilità che, a causa di ciò, vi sia una errata percezione del rischio sistemico da parte degli agenti economici, e che di conseguenza essi prendano decisioni di investimento subottimali. Da ciò potrebbero nascere persino delle vere e proprie bolle speculative.
Ovviamente, qualora il QE dovesse riguardare soprattutto titoli di stato, come nel caso dell’eurozona, si avrà anche la potenziale conseguenza esposta pochi paragrafi or sono facendo l’esempio dell’Italia.
In generale, comunque, i possibili effetti negativi di una politica di Quantitative Easing altro non sono che una versione in grande di quelli elencati da Rothbard in The Case Against The Fed (1994) circa l’emissione di moneta: e cioè inflazione, redistribuzione e incertezza.
Le conseguenze dell’inflazione sono cosa nota, vorrei solo ricordare che essa può essere vista a tutti gli effetti come una sorta di tassa patrimoniale implicita. La redistribuzione è dovuta soprattutto al fatto che il primo soggetto a disporre della moneta di nuova creazione altro non è che la Banca Centrale stessa, che la userà per acquistare certi tipi di asset, facendone aumentare il prezzo – e quindi diminuire il rendimento – per tutti gli altri agenti. Infine, per Rothbard, l’incertezza è semplicemente un effetto dei primi due fattori, che danneggiano il risparmio privato e la percezione dei diritti di proprietà.
Insomma, la mia opinione è che il Quantitative Easing voluto fortemente da Draghi abbia avuto effetti molto più limitati rispetto a quelli inizialmente attesi, complice anche il fatto che si tratta di una politica monetaria di invenzione relativamente recente e su cui, fino a qualche anno fa, esisteva solo poca letteratura scientifica: l’unico vero effetto osservabile è stato quello di “rassicurare” i mercati in periodi di sfiducia, ed anche qui, come si è visto, con luci ed ombre.