Quand‘ie gratìs: iungeme tutt’! Di A. Sileo
Riceviamo da Antonio Sileo e volentieri pubblichiamo.
Come rispondere ad una domanda secca? Be’, come tutti dovrebbero sapere, le risposte possibili sono (solo) tre: sì, no e non so. Poi, si può essere d’accordo o meno sulla domanda in quanto tale e quindi non dare risposta alcuna. Ecco, secondo me, i due quesiti referendari sull’acqua chiamano in causa l’intera gamma delle risposte. Perché i soli due quesiti dell’acqua? Perché nella demagogica “semplificazione” che ne è stata fatta credo ci si sia distaccati davvero troppo dalle norme che si vorrebbero abrogare.
Nella raccolta delle firme e nei mesi successivi i tanti promotori del quesito si sono scatenati al grido dell’acqua bene comune e della privatizzazione. Io però questa cosa del bene comune non l’ho ben capita, sia sul piano giuridico che economico ero rimasto alle definizioni di beni pubblici e privati. Quando il premio Nobel Elinor Ostrom difende i «beni comuni», naturali e collettivi si riferisce a laghi, pascoli, boschi, ed in generale risorse ambientali difficilmente suddivisibili (per ragioni tecniche, giuridiche o ecologiche); non c’entrano niente con l’acqua che può essere usata per innaffiare il giardino, lavare l’auto o, al limite, riempirsi la piscina, non sempre di plastica.
Forse sarebbe stato meglio invocare l’acqua del comune e (quindi) senza prezzi o tariffe. I comitati per il sì hanno convinto (e sono anche costituiti da) tante persone in buona fede che meritano rispetto anche perché convinte di difendere un principio.
Ma con l’oggetto dei quesiti referendari ciò c’entra poco, si è detto che il voto è “per l’acqua pubblica”, si vota però anche per rifiuti, trasporti pubblici locali e anche manutenzione del verde pubblico e pulizia delle scuole; nelle norme che si vorrebbero abrogare (e che sicuramente sono migliorabili) mai viene messa in dubbio la proprietà pubblica dell’acqua e sua valenza di servizio universale, accessibile e garantito a tutti. L’introduzione della gara – in gioco nel primo quesito – è accusata di essere un grimaldello per la svendita ai privati ma la gara, al contrario, può essere il modo anche per le aziende pubbliche di mostrare le proprie qualità. Nulla è stato detto sulle tante possibilità che vengono date agli enti locali per mantenere (anche) la gestione pubblica e sul fatto che essi sono obbligati a produrre evidenza della fondatezza di tale scelta e a risponderne davanti ai cittadini.
Non voglio dilungarmi oltre, numerose sono le analisi intellettualmente oneste disponibili in rete e tante sono state già richiamate da Carlo Stagnaro (che da settimane ha lodevolmente indossato la muta), per la sintesi che la caratterizza, invito solo a leggere la petizione di Antonio Massarutto, della materia grande esperto e grazie al quale, ormai anni fa, ebbi modo di fare una ricerca proprio sulle “filiere povere”, acqua, rifiuti etc, della quale il ricordo (e la difficoltà) maggiore è proprio quello dell’opacità di molte gestioni e bilanci. Anche perché i costi di gestione vanno comunque pagati, e qui c’è il problema e l’equivoco più grosso del secondo quesito: viene chiesto di votare per abrogare il profitto (che peraltro è in linea con quello del resto d’Europa) contenuto nelle attuali tariffe ma non ci si dice in che modo i gestori o gli enti locali potrebbero procurarsi le risorse finanziarie necessarie per sostenere gli investimenti. Qui il rischio, grande e pernicioso, é che tutto venga finanziato con la finanza locale, ma con quali soldi? Pagare in base al reddito dichiarato e non al consumo oltre a incentivare gli sprechi – e l’acqua è un bene scarso – sarebbe davvero poco equo.
Ma qui mi fermo anche perché, più che i richiami all’economia dovrebbero (e sarebbero dovuti) bastare quelli alla saggezza popolare; a Matera, per esempio, si dice: Quand‘ie gratìs: iungeme tutt’! (poiché si tratta un bene elargito gratuitamente: cospargimi da capo a piedi!).
“I comitati per il sì hanno convinto (e sono anche costituiti da) tante persone in buona fede che meritano rispetto anche perché convinte di difendere un principio.”
Quindi brave persone che, in buona fede, provocano danni incalcolabili.
Pur essendo brave persone, e pur essendo in buona fede, una pedata dove non batte il sole se la meritano.
Perché sbagliare per ignoranza è una colpa.
gente che ha votato senza sapere cos votava questo avviene in tutti i referendum
L’espressione materana è simile a quella del mio paese, Martina Franca (TA), che così recita: cę jé nnóunę, allorę jēngmę tūttę !
Spero di fare cosa gradita riferendo quale sarebbe tradizionalmente l’origine dell’espressione.
Si racconta del tirchio il quale, sul letto di morte, quando il prete accenna a fargli l’estrema unzione con l’olio, si preoccupa di accertassi se debba pagare per quell’olio. Avuta rassicurazione che era gratis (‘nnóunę) invitò il prete ad ungerlo per intero.