Maratona Pnrr. Pubblica amministrazione: assunzioni tante, riforme poche
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Uno dei temi più presenti nel dibattito pubblico è la riforma della Pubblica Amministrazione. Non sorprende, allora, che il PNRR individui proprio in essa la prima da realizzare al fine di conseguire «innovazioni strutturali dell’ordinamento, idonee a migliorare l’equità, l’efficienza e la competitività e, con esse, il clima economico del Paese». Tuttavia, come si è osservato trasversalmente a proposito dei vari capitoli del PNRR, anche nelle pagine dedicate alla riforma del P.A. la sensazione che si ricava è quella della fissazione di importanti obiettivi, cui si accompagna poca chiarezza su come conseguirli.
Il PNRR non prevede alcun ridimensionamento della macchina amministrativa (se ne evidenzia un sottodimensionamento rispetto alla media dei paesi OSCE), puntando invece sul turnover generazionale come opportunità per «ringiovanire il volto della PA» e ridefinirne le competenze. Tuttavia, come è già stato messo in evidenza, non c’è dubbio che il settore pubblico debba essere svecchiato, ma l’introduzione di nuove professionalità dovrebbe essere la conseguenza della sua riforma, non il punto di partenza. Opportuna, a tal proposito, appare la scelta di introdurre tassonomie nuove dei descrittori delle competenze, capaci di superare le classificazioni oggi troppo astratte e sintetiche e di creare un «insieme di descrittori di competenze (incluse le soft skills) da utilizzare per comporre i diversi profili professionali, integrate nella piattaforma unica per il reclutamento».
L’aspetto centrale del PNRR è ovviamente il percorso che esso intende seguire per rendere effettivo il preannunciato turnover. Qui, purtroppo, si incontra il grado di incertezza e vaghezza maggiore. Se, da una parte, è condivisibile la denuncia della lentezza nella gestione delle procedure concorsuali («il tempo che intercorre tra la pubblicazione del bando per un concorso pubblico e le procedure di assunzione può richiedere fino a quattro anni»), dall’altra i rimedi proposti (potenziare i sistemi di preselezione; svolgimento delle prove anche a distanza; progettare sistemi veloci ed efficaci di reclutamento delle persone, differenziati rispetto ai profili da assumere…) sono così generici da risultare non apprezzabili. L’unica cosa certa, sembrerebbe, è proprio l’intenzione di procedere in tempi rapidi a un numero notevole di assunzioni, a ogni livello di governo pubblico, senza procedere preliminarmente per una valutazione della effettiva richiesta di forza lavoro, che passa anche attraverso una valutazione e massimizzazione della produttività attuale.
Sempre sul piano del reclutamento, di particolare interesse è la proposta di promuovere programmi di assunzione dedicati a soggetti dotati di elevate qualifiche (dottorati, master, esperienza internazionale), da selezionare anche a seguito di accordi con Università, centri di alta formazione e ordini professionali. Purtroppo, manca anche qui la possibilità di valutare concretamente in che modo questi percorsi verranno strutturati, a quali ruoli i giovani così assunti verranno destinati e, soprattutto, in che modo questa sorta di «chiamata diretta, sia pur mediata» risulterà compatibile con il principio costituzionale dell’accesso per concorso alla P.A. e, più generale, come potrà evitare i rischi dello spoil-system.
Volgendo lo sguardo al piano del funzionamento della P.A., non si riscontra maggiore chiarezza. Per il PNRR, l’azione di riforma passa attraversano la liberalizzazione, la semplificazione, la “reingegnerizzazione”, l’uniformazione e la digitalizzazione delle procedure. Alcune di queste parole chiave sono abbastanza note, e anche i provvedimenti ad esse collegate sono già stati impiegati nel passato, al punto che la loro (stanca) riproposizione potrebbe condurre a esiti per certi versi paradossali. Per fare solo un esempio, si pensi al fatto che nel PNRR viene annunciata un’estensione dell’ambito di efficacia del «silenzio assenso», il quale però – si legge ora sui giornali – dovrebbe essere accompagnato da una apposita “certificazione”! Si tratterebbe di una illogicità giuridica (il silenzio assenso è trattato espressamente dalla legge come un non provvedimento), che finirebbe per svuotare di significato l’istituto stesso. Tuttavia, è fondata la preoccupazione che anima questa ipotesi, essendo essa rappresentata dal rischio che dietro il beneficio riconosciuto dalla P.A. si celi solo una inerzia colpevole e ingiustificata del funzionario, e che pertanto la stessa P.A., una volta riscontrata una violazione di legge, agisca in autotutela (cfr. art. 2 co. 8-bis l. 241/1990, come modificato da ultimo nel luglio 2020), così vanificando l’affidamento del privato. Fronteggiare questo problema – e molti altri ad esso analoghi – con soluzioni raffazzonate e d’occasione è però quanto di più inadeguato possa esserci.
Il Governo e il Parlamento dovrebbero cogliere l’occasione del PNRR per versare vino nuovo in otri nuovi: a giudicare da quanto si è letto fin qui, il rischio è invece quello di ritrovarsi soltanto con del vino non ancora divenuto aceto e di riversarlo in otri che, evidentemente consumati, sono ormai sul punto di cedere.