Provocazione natalizia: esistono sussidi buoni?
La risposta breve è no, non esistono sussidi buoni. La risposta lunga e complessa è che, in alcuni casi, un sussidio può essere un second best, nell’impossibilità di risolvere i problemi per vie dirette. Come nel caso delle interconnessioni energetiche.
Lo spunto per affrontare questo tema mi viene da un bell’articolo di Federico Rendina sul Sole 24 Ore di oggi, che parla dell’opportunità per l’Italia di diventare un hub energetico – sia nel gas, sia nell’elettrico – per l’Europa meridionale. Rendina spiega che il nostro paese, per posizione geografica, ha una serie di vantaggi “naturali”. La realizzazione di nuovi gasdotti o elettrodotti, ricorda Rendina, è sostenuta anche dalla Bers (la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo), che eroga circa 2,5 miliardi di euro all’anno per progetti nel Mediterraneo di cui circa 600 milioni potenzialmente su infrastrutture energetiche. Al di là della valutazione sui singoli progetti (e tenendoci ben lontani dal “gioco del pollo” tra South Stream e Nabucco), ci sono in questa riflessione due aspetti importanti.
Uno riguarda la funzione che un paese può esercitare in quanto “hub”. Qualcuno, quando si è discusso di questi temi (anche per le sollecitazioni dell’ex presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis, ricordate dallo stesso Rendina) tende a liquidare la questione con uno sbuffo di “orgoglio nazionale”, come se conquistare la posizione di snodo cruciale per gli approvvigionamenti energetici europei fosse dequalificante. In realtà, si tratta di una grande opportunità di liberalizzazione, concorrenza e crescita.
Il secondo aspetto ha a che vedere con la natura delle infrastrutture che dovrebbero essere prese in considerazione per un sussidio. Su questo aspetto, credo sia opportuno adottare una definizione molto restrittiva – sicuramente più di quella della Bers (che implicitamente Federico condivide). Il fatto è che costruire infrastrutture di adduzione è possibile e non vi sono particolari ostacoli, in generali. Infatti, specie se si guarda a livello europeo, esistono numerose infrastrutture controllate da soggetti diversi. In prospettiva ne serviranno di più (specie se davvero paesi come la Germania abbandoneranno il nucleare) ma non c’è particolare ostacolo teorico alla loro realizzazione.
Dove invece l’Europa è deficitaria (sia nell’elettrico, sia nel gas) è nelle interconnessioni. Le interconnessioni fisiche sono fondamentali perché consentono di mettere in comunicazione mercati che oggi non lo sono, o lo sono solamente per una quota marginale dell’energia da essi domandata. La domanda rilevante è: perché le interconnessioni sono insufficienti? Se si guardano i differenziali di prezzo, al netto delle imposte e degli oneri tariffari, non sembra esservi una specifica ragione di mercato. Se il mercato europeo fosse realmente integrato, dovremmo vedere prezzi convergenti (ciò che non vediamo neppure a livello nazionale, date le troppe strozzature che ancora restano!). Poiché ciò non accade, deve esserci una ragione. Dubito essa consista nel costo delle infrastrutture stesse: per l’elettricità e il gas, il costo dell’infrastruttura è relativamente piccolo rispetto al valore del bene scambiato. La mia risposta “scolastica” è che i paesi europei sono poco interconnessi a causa di una serie di ostacoli “politici” dovuti al fatto che, nella maggior parte di essi, il mercato vede la presenza di un soggetto dominante di proprietà pubblica, che riesce a mantenere “isolato” il “suo” mercato allo scopo di estrarvi una rendita monopolistica, più o meno grande.
A parità di scelte normative e regolatorie, interconnessioni più fitte “allargherebbero” le dimensioni del mercato, superandone l’attuale balcanizzazione e trasformando quella che oggi è poco più della somma di vari mercati nazionali o regionali, in un unico mercato interno. Questo, senza bisogno di altri provvedimenti (pure necessari), avrebbe l’effetto di mettere in modo meccanismi competitivi oggi sconosciuti. Non solo: aumenterebbe anche la sicurezza del sistema, rendendo le reti più “magliate” e meglio connesse, e scongiurando il pericolo (come avvenne alcuni anni fa con la crisi del gas russo-ucraina) che alcuni paesi restino “a secco”, mentre altri neppure si accorgono degli shock. Più è ampio il sistema, più è facile “spalmare” gli shock e assorbirli senza effetti negativi o con effetti negativi piccoli e tollerabili. Questo vale anche per i mercati relativamente aperti (come, in Italia, quello elettrico) ma è essenziale per quelli poco o per nulla concorrenziali (come l’elettrico francese o il gas italiano).
La mia conclusione, dunque, è che i sussidi sono sempre sbagliati, ma se proprio vanno erogati, sarebbe opportuno farlo a favore di interconnessioni interne all’Unione europea. Questo anche perché sarebbe un modo di controbilanciare il “potere politico” dei monopolisti nazionali, riducendone non tanto l’influenza sui governi, quanto l’effettiva capacità di controllare il mercato. Ciò non esimerebbe dall’intraprendere altre misure di apertura e liberalizzazione, ma certo le renderebbe più facili e farebbe crollare una delle grandi barriere “oggettive” che attualmente impediscono all’Europa di chiamare se stessa un mercato unico.
Quindi, la risposta alla domanda contenuta nel titolo è questa: non esistono sussidi buoni, ma esistono sussidi meno buoni di altri, ed esistono sussidi che, pur essendo in sé discutibili, possono controbilanciare altre cose ancora meno buone. Per citare Barbalbero,
Io non sto dalla parte di nessuno perché nessuno è del tutto dalla mia parte; ci sono però, beninteso, casi in cui io sono del tutto dalla parte opposta.
Se parliamo di monopolisti pubblici, bé, io sto del tutto dalla parte opposta. Perfino se questo implica accettare una piccola dose di sussidi.
Buon Natale a tutti!
Essere un “hub” energetico vorrebbe dire che le infrastrutture Italiane (linee di iterconnessione elettrica, gasdoti, rigassificatori, stoccaggi etc.) dovrebbero essere esuberanti rispetto alle necessità nazionali, in modo da permetterne che una parte della loro capacità possa essere messa a disposizione di altri paesi, naturalmente dietro compenso. La realtà è purtroppo molto diversa: le infrastrutture energetiche italiane sono insufficienti per le esigenze nazionali, e ogni iniziativa per costruirne di nuove si scontra con violentissime resistenze (la costruzione della linea Matera-Santa Sofia ha richiesto quasi diciassette anni). La prospettiva dell’Italia “hub” energetico europeo mi sembra lontanissima
Riguardo al gas, trovo decisivo ciò che scrivi riguardo al fatto che la capacità fisica d’interconnessione è già più che sufficiente ma bloccata dal fatto che non è mai stata fatta una capacity release ai danni di Eni. L’UE, che ha fatto vendere a Eni la proprietà del TAG ma non cedere i diritti di passaggio, ha dimostrato a mio parere notevole debolezza su questo. Ciao! Mic
Merry Crisis and Happy New Fear
cercando di ridere per non piangere
vi invito a dare una occhiata nel mio blog
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al post
“La famiglia italiana dopo la manovra Salva Italia”.