#PropertyIsFreedom: perché difendere la proprietà privata
La nostra Costituzione stabilisce che la proprietà privata “è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Si tratta, come noto, di una definizione radicalmente diversa da quella di origine napoleonica (che individuava nella proprietà un diritto assoluto, circoscrivibile soltanto dal rispetto del principio di legalità e del rule of law).
Se la previsione di limiti determinati dalla legge determina già di per sé una compressione del diritto di proprietà, è tuttavia il riferimento alla funzione sociale a costituire la base della maggior parte degli ostacoli che si frappongono al suo pieno esercizio. Ciò, se non altro, nella misura in cui la dottrina maggioritaria interpreta la funzione sociale come “la ragione stessa per la quale il diritto di proprietà è stato attribuito a un certo soggetto” e intravede di conseguenza nella funzionalizzazione della proprietà un principio generale della materia, che deve operare sempre, anche in assenza di espliciti richiami legislativi.
Nell’impossibilità di discernere nettamente cause e conseguenze, è evidente che a tale filone dottrinale si accompagni, nel nostro Paese, una tendenza culturale a diffidare dell’importanza – economica, ma non solo – della certezza del diritto che una piena tutela della proprietà privata assicurerebbe. Non è un caso, in questo senso, che due fra i più importanti indicatori di libertà economica al mondo (Economic Freedom of the World Report e Index of Economic Freedom) assegnino all’Italia punteggi molto bassi per quanto concerne tutela della proprietà e rispetto del principio di legalità.
Negli ultimi anni, in questo senso, è emerso nel dibattito pubblico un nuovo diritto sociale, denominato “diritto alla casa”, che secondo diverse pronunce giurisprudenziali dovrebbe essere considerato alla stregua di un diritto costituzionale, pur non essendovi menzionato espressamente. Tale dibattito, alimentato dal riemergere di una nuova “questione abitativa”, ha condotto la giurisprudenza a configurare il “diritto alla casa” sullo stesso piano del diritto di proprietà, facendo leva sulla funzionalizzazione di quest’ultimo per arrivare a interrogarsi su quale fosse il corretto bilanciamento fra i due.
Non può sorprendere che oggi, in Italia, il diritto di proprietà sia minacciato da più parti. Le ragioni sono scritte nella Costituzione e nei giornali scientifici recenti e meno recenti, ma si trovano anche nelle chiacchiere al bar e nei dibattiti sui blog. Purtroppo, questa pericolosa tendenza comporta altrettanto notevoli conseguenze sul piano applicativo. Il governo in carica, pochi mesi fa, ha depenalizzato il reato di occupazione abusiva e i tribunali non perdono occasione per convalidare espropri sine titulo e occupazioni in nome del “diritto alla casa”.
L’argomento economico/utilitaristico dovrebbe essere sufficiente per difendere la proprietà, ma non basta. Bisogna tornare a interessarsi delle ragioni sociali, e quindi giuridiche, e di quelle etiche che rendono la difesa del diritto di proprietà una questione prioritaria e mai scontata.
Twitter: @glmannheimer