#PropertyIsFreedom: a cosa serve la proprietà privata
C’è una bellissima foto, di metà ‘900 o giù di lì, che ritrae il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti. Da una parte c’é Nogales (Sonora, Messico); dall’altra la gemella Nogales (Arizona, USA). Da una parte ci sono perlopiù baracche malandate; dall’altra signorili edifici in mattoni. Da una parte un carretto che trasporta legname; dall’altra ordinate fila di automobili. Cos’ha reso Nogales (Arizona, USA) così diversa da Nogales (Sonora, Messico)?
È questa la domanda da cui prende le mosse un grandioso saggio di due economisti, Daron Acemoglu e James Robinson, significativamente intitolato “Why Nations Fail”. Perché alcune società hanno successo e altre no? L’esempio delle due Nogales è indicativo (come lo sarebbe quello delle due Coree) perché nessuno potrebbe tirare in ballo ragioni legate alla geografia, alle risorse naturali o ai tratti culturali dei loro abitanti (se non in senso molto lato).
Secondo Acemoglu e Robinson, ciò che distingue le società e determina la loro evoluzione sono invece le istituzioni. Verso il successo, se sono istituzioni inclusive, cioè se premiano innovazione, imprenditorialità e pluralità politica; verso l’insuccesso, se sono istituzioni estrattive, cioè se il loro obiettivo primario è il mantenimento del potere, e quindi si rinchiudono in politiche protezioniste o illiberali, caricando di tasse e vincoli i propri cittadini e spremendone le migliori energie per fini personali o destinati al benessere di una ristretta élite. Nogales (Arizona, USA) ha avuto la fortuna di dipendere da istituzioni che le hanno permesso di prosperare; Nogales (Sonora, Messico), viceversa, è stata preda di istituzioni estrattive, che le hanno impedito di farlo, per molto tempo.
Si può essere d’accordo o meno con la tesi di Acemoglu e Robinson, ma un dato merita di essere sottolineato. In tutti gli esempi storici di società che hanno abbracciato istituzioni inclusive, a partire dalla Glorious Revolution sino ad oggi, c’è un elemento costante: la tutela della proprietà privata, intesa sia in senso negativo (cioè come astensione dei poteri pubblici da interventi diretti sulla proprietà) sia in senso positivo (intesa come tutela dello Stato dalle aggressioni alla proprietà commesse da privati verso altri privati).
Senza una tutela rigorosa della proprietà, il sistema dei prezzi, la migliore spia possibile per comprendere le esigenze e i bisogni delle persone, viene modificato unilateralmente dai poteri pubblici e finisce per andare in tilt, dando luogo a bolle finanziarie, espropriazioni di massa e rapine fiscali. Non solo. Senza una tutela rigorosa della proprietà, diviene impossibile valutare correttamente gli incentivi e i disincentivi, i premi e le punizioni che offrono le diverse opportunità economiche. A Nogales (Sonora, Messico), fino a non molto tempo fa, più dell’80% dei guadagni di ciascuno finiva nelle casse dello Stato. Né vi era alcun tipo di tutela contro espropriazioni e occupazioni abusive. Sostanzialmente, vigeva la legge del più forte. Che incentivo poteva avere un imprenditore a innovare o investire? O un lavoratore a migliorare la propria produttività?
Un grande liberale del diciannovesimo secolo, Antonio Rosmini, descrisse la proprietà come una “sfera attorno alla persona”: un fortino di libertà sottratto al potere, da difendere dinanzi ad ogni pretesa di dominio. In fondo, la proprietà non è altro che la forma più efficace di tutela delle minoranze: la “sfera” protegge la più piccola minoranza che ci sia, cioè l’individuo, dall’invadenza (talvolta tirannica) della maggioranza, perlomeno nei suoi affari privati. E non è forse la tutela delle minoranze ciò che rende tanto speciali le nostre democrazie? Ecco perché la proprietà privata non è soltanto l’ingrediente basilare del progresso economico, ma soprattutto il cardine di qualunque società che voglia definirsi libera.
Twitter: @glmannheimer
Due sono i piani di sollecitazione proposti da @glmannheimer. Sul piano della proprietà concordo ampiamente. Senza la disponibilità dei mezzi (proprietà) non si capisce su cosa si eserciterebbe la proprietà. La tesi è ispirata dall’economista Marx che però mi pare stravolgesse il significato economico-razionale inserendovi una variabile emotiva che lo ha spinto in un errrore metodologico: secondo Marx infatti la proprietà riguarda solo i ricchi (capitalisti). La storia reale ha dimostrato che non è così e che anzi senza proprietà individuale l’uomo non ha alcuna libertà di decidere alcunchè.
Il secondo piano è quello delle istituzioni, sul quale invece tendo a non concordare. Le “istituzioni” sono l’organizzazione della società. Come è ben noto l’organizzazione è il mezzo per focalizzare le energie (i comportamenti) dei singoli. Il che, di primo acchito, sembrerebbe sostenenre la tesi delle istituzioni che “guidano”. Faccio notare che questa logica implica che vi sia un “progettista” che avrebbe “inventato” le “istituzioni” in funzione di uno specifico scopo. Come bene sappiamo questa tesi non può essere oggetto di eleborazioni eseguite con le metodologie standard, cioè adottabili da tutti e dette generalmente “scientifiche”. Seguendo un diverso ragionamento possiamo invece ragionevolmente affermare che l’evoluzione implica l’indefinizione “dell’obietttivo” che è evolutivamente cangiante. Al cambiare dell’obiettivo dovrebbero cambiare anche le istituzioni. L'”ingrediente magico” non può piovere dal cielo, ma dal magmatico movimento delle emozioni e delle aspirazioni dei molti. Ciò accade dove gli umano “decidono” che è per loro più confacente non avere un capo in alto ai cui ordini ubbidire, ma di mettersi d’accordo fra pari con capi passeggeri, transitori, frequentemente sostituiti. Quando questo accade? Nessuno lo sa, ma probabilmente quanto il capitale di cui dispongono presenta opportunità di impiego che richiede la cooperazione volontaria di altri umani. La cooperazione volontaria. Non l’esecuzione automatica, ne l’esecuzione degli oridini dall’alto.
Secondo il mio modesto punto di vista, esiste un rapporto bidirezionale fra individui ed istituzioni: è vero che le istituzioni plasmano i cittadini, ma sono i cittadini che plasmano e presidiano le istituzioni.
La Rivoluzione americana è stata voluta dal popolo e ha forgiato delle istituzioni che hanno permesso agli USA di essere la prima patria della Libertà individuale ed economica. Dopodiché le istituzioni hanno contribuito a far crescere l’economia e a garantire le libertà individuali, almeno fino all’amministrazione Obama che sta cercando di imporre agli Stati Uniti un modello di big government di ispirazione europea.
Una seconda riflessione riguarda il concetto di proprietà e di libertà. I concetti di proprietà e di libertà riferiti a se stessi sono innati nell’uomo, mentre non sono così scontati quelli di proprietà e libertà altrui. Se il ladro ruba in casa ad una qualsiasi persona sindacalizzata o di sinistra, questi si ribella e denuncia il furto della “sua proprietà”. Al contrario, considera la proprietà altrui come un “furto”, un male a cui porre rimedio con politiche di esproprio.
Identica reazione quando paga le tasse. Le sue sono sempre troppe, gli altri sono evasori da espropriare.
La propaganda dei movimenti di sinistra e di quelli pauperisti (vedi Papa Francesco) fa leva proprio su questa asimmetria fra la percezione della propria e dell’altrui libertà/proprietà (libertà e proprietà sono due concetti inscindibili) per spingere le persone ad accettare il trasferimento della ricchezza in poche mani, quelle dei boiardi della nuova aristocrazia: non è affatto un’esagerazione affermare che il medioevo è ancora fra noi.
Altre buone spiegazioni di tale fenomeno ce le spiega molto bene l’economista venezuelano Hernando De Soto nel suo celebre saggio IL MISERO DEL CAPITALE http://www.liberalcafe.it/4319/esteri/il-mistero-del-capitale.html , un’opera certamente non recente, ma sempre oltremodo attuale…
ERRATA CORRIGE: IL MISTERO DEL CAPITALE http://www.liberalcafe.it/4319/esteri/il-mistero-del-capitale.html
Francesco, sintetizzando al massimo: comunisti coi soldi degli altri 😉
@Andrea D., 18 settembre 2015,
perfettamente centrato!
Questa semplice osservazione spiega perché è psicologicamente difficile essere liberali, ma è facile essere comunisti, sebbene le conseguenze si paghino poi con interessi e metodi da usuraio criminale.
Buongiorno, il suo articolo è interessante perché ricorda a tutti noi una delle basi su cui si sono sviluppate le società contemporanee. Tuttavia questo articolo non affronta minimamente un dei problemi principali della nostra società . Che cosa succede quando “una proprietà privata” diventa troppo grande e mina lo sviluppo di altre proprietà private? In altri termini: come risolve la società liberale ben costituita l’accumulo di ricchezza e beni in soggetti che impropriamente limitano altri?
@Stefano Cianchi: la traduzione italiana di “institutions” confonde e purtroppo in un post non avevo spazio per descrivere meglio la tesi di Acemoglu e Robinson, ma se legge il libro avrà una percezione chiara del fatto che la loro importanza non sia in senso “verticale”, cioè come guida illuminata dall’alto al basso della piramide sociale da parte del “progettista”, bensì come insieme di circostanze che spingono, come ha spiegato perfettamente Lei nell’ultima parte del commento, a una decisione comune di… Non avere un sovrano se non transitorio e limitato.
@Guido: dipende da cosa intende per “impropriamente”. La tutela della proprietà privata include la capacità dei poteri pubblici di far sì che anche i privati la rispettino.
E’ importante comprendere come vi siano due tipi differenti di società rispetto alle istituzioni: quella USA (al tempo della Rivoluzione), ossia del LIBERALISMO CLASSICO, e quella Europea, ossia la SOCIALDEMOCRAZIA (nei secoli la società USA si sta trasformando in una social-democrazia, ma nelle zone rurali rimane in vigore “l’organizzazione” della società iniziale, del Liberalismo Classico).
Mentre nelle Town di provincia USA è ancora oggi adottato il tipo di organizzazione sociale tipico della tradizione millenaria dell’uomo (del Villaggio), nella Social-democrazia si è rivoluzionato il sistema tradizionale per creare un nuovo sistema basato sulle Istituzioni.
Ma nel sistema “tradizionale” dell’uomo le “Istituzioni” come sono intese oggi non esistono: ovvero non vi sono nel “governo” delle questioni “pubbliche” delle Istituzioni, ma le persone “governate” sono esse stesse le istituzioni.
Solo in questo modo si possono affrontare con cognizione di causa le questioni relative ai bisogni delle persone. O, come nel Diritto anglosassone, valutare in modo “corretto” (per la comunità) se una persona ha infranto le leggi.
Il Sistema delle Istituzioni composte da “professionisti” che decidono per il bene degli altri, a guardare la storia, non ha mai funzionato (anche il caso della Social-demcorazia svedese è un disastroso tentativo di “distribuire” le ricchezze accumulate dalla Nazione nella precedente era del Liberalismo classico). Nel momento in cui le persone lasciano che altri (i governanti) gestiscano i loro “affari”, si ingenera un processo che porta ad un “allargamento” sempre maggiore della quota di potere (libertà d’azione) dei governanti, e ad una sempre maggior povertà delle persone.
[più in dettaglio in “Oltre la Social-demcorazia”] : http://www.lucabottazzi.com/lib/libblog/irdbdocslibforum-sezioni/testi-di-l-b/%5D