17
Feb
2010

Profumo di investimenti

Sia perché il gap infrastrutturale italiano si fa più grande ogni giorno che passa. Sia perché da anni quella delle grandi opere è diventata una vera e propria ideologia. Sia perché, in un’ottica keynesiana o meno, gli investimenti infrastrutturali sono considerati una ghiotta occasione di sviluppo soprattutto in tempi di crisi. Sia, ultimissimamente, perché le recenti inchieste sugli appalti della protezione civile hanno fatto sorgere dubbi sull’opportunità di estendere il sistema dei commissariamenti oltre i casi di stretta emergenza. Fatto sta che la proposta di affidare a un commissario i principali porti italiani continua a far discutere.

A intervenire nel dibattito è oggi l’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo. E lo fa con un’intervista, molto misurata, rilasciata al Secolo XIX. Dalle pagine del principale quotidiano genovese il banchiere a capo del quarto istituto di credito europeo parla in generale dell’“opportunità” degli investimenti infrastrutturali portuali (perché “c’è tutta una filiera che si mette in moto”) e, in particolare, dell’interessamento del suo gruppo ai progetti di ammodernamento degli scali di Genova e Trieste (perché “in realtà si tratta di qualcosa di estremamente positivo per il Paese”). Ma –contrariamente a quanto si ci potrebbe aspettare- non prende apertamente posizione né a favore dell’ opzione del commissariamento né della riforma dell’ordinamento portuale (perché “la soluzione del problema non mi compete”). Il suo è un generico auspicio di trovarsi di fronte “una cabina di regìa forte, che dia regole e tempi chiari a tutti gli attori”.

Solo su due aspetti concreti gli pare opportuno sbilanciarsi: il finanziamento delle opere e le procedure da seguire per la loro realizzazione. Sul primo punto Profumo si esprime realisticamente nel senso della necessità di un coinvolgimento dei privati, mentre sul secondo a favore dell’adozione di “processi decisionali trasparenti, completi e il più rapidi possibili”.

Lo sbilanciamento non è casuale. Si tratta di due aspetti cruciali, dirimenti, che sono intimamente legati l’uno all’altro. Laddove è carente il primo è infatti carente anche il secondo, e viceversa. In altre parole: se ci sono incertezze sui tempi e confusione sulle procedure, difficilmente arrivano gli investimenti privati.

È da questa consapevolezza che bisogna partire per rivedere l’assetto del settore portuale. Se si ha ben chiaro questo non si può non prendere atto del bisogno di portare avanti la riforma della legge n. 84/1994. Al momento sul tavolo c’è solo la proposta di implementare l’autonomia finanziaria delle singole Autorità portuali, la quale eviterebbe che le risorse si disperdano dal centro in modo clientelare verso i tanti approdi italiani. Se poi arriverà una proposta organica di ripensamento dell’Autorità portuale nella direzione di una sua conversione da ente di programmazione e pianificazione in authority di regolazione tanto meglio. Entrambi i casi sarebbero preferibili all’intraprendere la scorciatoia pericolosa del commissariamento.

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1 Response

  1. Quello del commissariamento dei porti è un altro dei casi che rientrano nel torbido sistema che si sta portando avanti…
    Invece di migliorare le regole si cerca di bypassarle con gli ovvi rischi e distorsioni che poi si innescano. Se le regole non sono chiare vanno migliorate non soppresse

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