Problemi di coordinazione
Il blog di Boettke e di altri ‘austriaci’ della George Mason University ha cambiato nome: da Austrian Economists è diventato Coordination Problem. Mentre il titolo originale era facilmente riconducibile ad un corpus di dottrine con una ben precisa identità, il nuovo titolo, ispirato al libro di Gerald O’Driscoll “Economics as a coordination problem: the contributions of Friedrich A. Hayek”, non è altrettanto semplice da leggere.
Non mi intendo di marketing e non mi interesso di dibattiti nominalistici, però passare da un’etichetta riconoscibile ad una incomprensibile ai più è una mossa apparentemente strana e su cui quindi occorre riflettere.
Il post che spiega le ragioni della scelta si lamenta che il termine “austriaco” è diventato una palla al piede per il progresso delle idee della Scuola omonima, provocando confusione politica (immagino che il riferimento sia alla confusione con il libertarianism, e all’uso fattone da politici come Ron Paul).
Inoltre ci si lamenta delle innumerevoli (e spesso violente) dispute dottrinali di tipo identitario che indubbiamente hanno fatto sprecare una quantità enorme di tempo e di risorse, e che dall’esterno (e anche dall’uscio, come nel mio caso) danno spesso più l’idea di guerre settarie che non di dialogo teso allo sviluppo della conoscenza scientifica.
In quest’ottica, l’uso di un titolo “incomprensibile” ai non addetti ai lavori è forse più un vantaggio che altro: la Scuola austriaca deve reclutare economisti promettenti, e non blogger politicamente esaltati (io ovviamente mi colloco esattamente a metà strada), con tanto di codazzo imbarazzante (antisemiti, complottisti, signoraggisti…).
Un’altra ragione del cambiamento del titolo è probabilmente la convinzione, che in parte condivido, che il paragidma new-classico non sia più forte come un tempo e che l’economia BRICE, Bounded rationality, Rule following, Information, Cognition & Evolution (Koppl) sarà sempre più importante nel futuro, e su queste cose gli austriaci hanno molto da dire. Qui c’è però un pitfall: passare dal banditore walrasiano agli animal spirits non sarebbe un trionfo degli austriaci, ma dei (post)keynesiani, come mostrato ad esempio dall’articolo di De Grauwe da me discusso tempo fa. In ogni caso, c’è molto del buono in queste teorie, e personalmente ho apprezzato molto alcuni paper di Robert Axtell sull’analisi computazionale dei mercati e sui modelli ad agenti eterogenei: era economia misesiana espressa in linguaggio informatico.
Per il resto, il post rende chiaro che le posizioni austriache in senso dottrinale rimangono comunque al centro degli interessi degli autori del blog, e quindi si tratta di una ricollocazione di marketing e non certo di una rivoluzione di teoria economica: si tratta di comunicare meglio determinate idee, oltre che svilupparle (e qui il lavoro da fare è ancora enorme, visto che, secondo me, di progressi in campo macroeconomico, all’interno della Scuola austriaca, se ne vedono pochini da decenni, con la sola eccezione di Roger Garrison).
Gli eventi degli ultimi due anni potrebbero spianare la strada alla Scuola austriaca: mentre i new-keynesiani portavano l’economia al disastro, e i new-classici non dicevano nulla perché non avevano gli strumenti teorici per capire cosa stesse succedendo, che qualcosa di orribile dovesse accadere lo si poteva capire leggendo libri del 1912 come la “Teoria della moneta” di Mises… non è possibile essere teoricamente irrilevanti se alla fine in pratica si ha sempre ragione.
Anche se la crisi molto probabilmente produrrà un rafforzamento delle cause stesse della crisi, cioè della discrezionalità new-keynesiana, una serie di nuove opportunità teoriche potrebbero dischiudersi. Dal collasso della macroeconomia contemporanea, che deve a Keynes più di quanto una scienza rispettabile dovrebbe, potrebbe risorgere un modo più realistico e profondo per vedere il processo di mercato. Ma per fare ciò, non si potranno non rivalutare le teorie di Menger, Mises e Hayek.
Non sarebbe il primo treno che gli austriaci perdono, però: negli anni ’30 il mondo impazzì e dette ascolto ad un ciarlatano dalle idee imbarazzanti, negli anni ’70 reagì al ciarlatano incartandosi però in una concezione “perfettistica”, in senso ricossiano, dei mercati, che merita l’aspro commento di Roger Garrison “L’economia new-classica si è impelagata nella costruzione di modelli la cui sterilità è insuperata”.
Forse la sconfitta dottrinale degli anni ’70 fu dovuta al settarismo della Scuola, particolarmente forte nei seguaci di Murray Rothbard, a cui si devono in prospettiva la maggior parte delle brutte abitudini della Scuola, e forse cambiare strategia di marketing oggi potrà fare in modo che non si rimarrà intellettualmente indifesi di fronte agli apprendisti stregoni keynesiani e alle loro pseudosoluzioni dalle conseguenze di lungo termine disastrose.
L’economista Axel Leijonhufvud disse che la Scuola austriaca ha difeso un corpus di dottrine tutto sommato valido che altrimenti sarebbe stato dimenticato, ma l’ha difeso con toni spesso settari che hanno danneggiato la credibilità delle dottrine stesse. E’ sicuramente auspicabile risolvere i problemi di settarismo della Scuola austriaca, e l’importante è solo non buttare il bambino con l’acqua sporca. E’ forse ora che la Scuola austriaca rientri nel mainstream, invece di impazzare tra blogger semialfabetizzati e ristagnare senza progressi nell’ortodossia settaria: ammesso che ce ne sia mai stato, non c’è più bisogno ora di rinchiudersi in una setta.
Per motivi giornalistici ho fatto delle semplificazioni: non tutti i neo-keynesiani sono per la discrezionalità, e non tutti i new-classici credono che le politiche economiche discrezionali siano innocue in quanto neutrali (si pensi ad esempio alla teoria della time inconsistency, probabilmente la più grande scoperta teorica degli ultimi decenni). Le mie sono quindi almeno in parte forzature, e questa è un’ottima cosa: l’innesto di idee austriache nell’ortodossia teorica non potrà che essere meno traumatico. In effetti non credo che sia necessaria una “revolution in economics affairs”: del resto fino agli anni ’30 la Scuola austriaca è stata parte integrante della teoria economica standard, e una volta che gli errori intellettuali della macroeconomia keynesiana, del positivismo friedmaniano e del perfettismo new-classico saranno ricusati, la frattura si sarà ricomposta (con pressoché totale trionfo delle tesi di Mises e Hayek, a mio parere).
L’economia sta abbandonando il binario morto keynesiano (Garrison) o si sta impelagando ancora di più in esso? Le conseguenze economiche dell’attuale crisi dipenderanno molto dalla capacità degli austriaci di innestarsi nel dibattito accademico di qualità e arricchirlo. Viviamo in un’epoca molto interessante, e altrettanto pericolosa.
“l’uso di un titolo “incomprensibile” ai non addetti ai lavori è forse più un vantaggio che altro”
Devo ammettere di essere un elitista e uno snob. 😀
Mi chiedo se ora il “Review of Austrian Economics” si chiamerà “Review of Coordination Problems”, cosa che potrebbe farmi pensare ad una versione accademica di Failblog. 😀
Non siamo tutti economisti, noi lettori di Chicago Blog: qualche spiegazione in più non guasterebbe, anzi accrescerebbe l’utilità dell’intervento.
Buon anno.
Non essendo un economista – Luciano Pontiroli ha ragione – provo a esprimere una personale impressione dall’esterno: la scuola austriaca ha prodotto un condensato molto complesso di filosofia, psicologia, sociologia, economia in una chiave prettamente umanistica. Non parla di tecnicismi ma – addirittura – dell’azione umana.
Quindi difficile da divulgare se non in alcuni esponenti contemporanei come Jesus Huerta de Soto, che infatti insegna, ha il dono della spiegazione esaustiva. Al contrario dei modellizzatori e diagrammisti che richiedono poca cultura, un po’ di matematica e poca attenzione generale.
Ormai il pubblico – anche quello qualificato – ha perso il gusto della curiosità intellettuale, dello scavare nella profondità delle idee con spirito critico, basta sentire le reazioni entusiastiche ad un pastrocchio confusionario di Stiglitz sul Sole di oggi.
Non so come si possa fare il giusto marketing: esattamente come sarebbe più che necessario per l’ormai sconosciuto termine “liberalismo”.
@luciano pontiroli
Il post è già lungo di suo e non volevo ammorbare i lettori con uno ancora più lungo. Purtroppo ho avuto problemi di “focus”, e dati gli argomenti in gioco la cosa è diventata subito molto complessa.
Potrei provare a fare una serie di post più focalizzati, ma monopolizzerei Chicago-Blog. Oppure potrei commentare un punto non chiaro specifico, ma mi rendo conto che il post di punti non chiari ne contiene diversi.
Dovendo dividere il post per temi direi che ho parlato di:
1. I problemi sociologici della Scuola austriaca: settarismo e guerre di religione sull’ortodossia.
2. Il ruolo di Rothbard nella propagazione (ottima cosa) e a volte nella distorsione delle idee della Scuola austriaca.
3. Le possibili linee di sviluppo delle teorie austriache: cosa è insoddisfacente, cosa sarebbe utile fare.
4. Cosa è il paradigma neoclassico, cosa è la rivoluzione keynesiana, e cosa è il positivismo metodologico di Friedman (gli elementi della frattura tra Scuola austriaca e mainstream tra gli anni ’30 e gli anni ’70).
5. Quali sono i rapporti tra le nuove scuole (bounded rationality, computational economics, behavioural economics) e la Scuola austriaca.
6. Le conseguenze delle teorie austriache per la politica economica e le differenze con la visione neokeynesiana e quella newclassica: di questo ho parlato nei precedenti post, abbastanza di recente.
7. Cosa è la time inconsistency e perché è importante anche per gli austriaci.
8. Cosa non mi piace degli animal spirits, e perché non li considero un passo avanti rispetto all’economia neoclassica
A parte 6 e 8, che ho trattato in diversi post, linkati in fondo, gli altri temi sono importanti, lunghi, e trattati da me in maniera molto criptica. Credo che un paio li espanderò in un altro articolo. Se ci sono richieste specifiche, posso scrivere una cosa specifica.
Grazie per il commento.
PS Recenti articoli su punti 6 e 8:
http://www.chicago-blog.it/2009/12/23/a-natale-sono-tutti-piu-buoni/
http://www.chicago-blog.it/2009/12/20/trentanni-di-follia/
http://www.chicago-blog.it/2009/12/17/premiato-per-bancarotta/
http://www.chicago-blog.it/2009/11/10/di-angeli-e-amebe/
Volevo inoltre aggiungere che non sono un economista, sono un ingegnere (PhD), e ho un master di primo livello in Economics. Ho anche scritto un eccezionale, bellissimo, stupefacente e fantasmagorico (come no…:-D) paper di economia per il Mises Seminar del 2009. Per fortuna ne so più di quanto il mio CV mostri, ma comunque non mi sento un economista (ancora :-D).
@microalfa
Il termine liberalismo in effetti ha fatto una pessima fine, anche peggiore del termine “austriaco”. Tutto sommato, anche se spesso a definirsi austriaci sono blogger che hanno letto trenta pagine degli austriaci e ne hanno capite un paio, nessun comunista si definisce “austriaco”. La stessa cosa non si può dire di chi si definisce “liberal”… 🙂
La Scuola austriaca ha una capacità di spiegare le basi del pensiero economico superiore ad un libro di microeconomia (e a maggior ragione macro: la macroeconomia non è economia :-D), e questa è un’ottima cosa. Leggere e capire anche solo le basi del pensiero di Mises fornisce effettivamente le basi per capire un mucchio di cose, mentre lo stesso non si può dire della lettura di “Economia” di Samuelson e Nordhaus, tanto per fare un esempio, che è un pout pourri senza né capo né coda di idee confuse e forse anche non del tutto coerenti.
In ogni caso, una Scuola di economia, e questo alla GMU lo sanno bene e io concordo pienamente, non deve rivolgersi al layman, all’uomo di strada che vuole essere informato sui problemi della società (e che ha forse il diritto di non essere seppellito di equazioni differenziali al primo tentativo di comprendere certi fenomeni… che non necessitano affatto di queste cose). Una Scuola di economia deve rivolgersi agli economisti, cioè agli accademici, ai ricercatori e ai professori che creeranno il pensiero economico di domani.
Per tornare poi al layman, io sono convinto, come dico scherzosamente nel primo commento, che i dettagli di ogni scienza avanzata sono naturalmente al di fuori della portata dell’uomo di strada, proprio perché richiedono anni e anni di studio. Uno dei difetti della Scuola austriaca è che la mancanza di equazioni convince migliaia di giovanotti che le teorie austriache sono semplici, col risultato che il termine “austriaco” è usato 9 volte su 10 a sproposito, e per difendere tesi che Mises potrebbe rivoltarsi nella tomba.
E’ quindi importante (più di quanto traspare nell’articolo) spiegare i fondamenti dell’economia a tutti coloro che vogliono conoscerli, e qui la Scuola austriaca ha un vantaggio comparato perché è un approccio di buonsenso, ma è nel lungo termine ancora più importante diffondere certe idee tra chi le idee le crea.
Ci sarebbe molto da scrivere e da obiettare sullo scritto di Paolo. L’unica cosa su cui sono d’accordo è la sostituzione del titolo del blog di Boettke con quello stolto di “coordination problem” che sembra tratto dal lessico dell’economia interventista che vuole coordinare, pianificare, stabilizzare ecc. ecc. Naturalmente Hayek e O’Driscoll con quel termine intendevano ben altra cosa.
Gli eventi degli ultimi due anni non rafforzeranno l’economia austriaca ma la macroeconomia che sta diventando sempre più un inqualificabile e pericoloso pasticcio per l’umanità intera. Basta leggere le cronache economiche di questi tempi e quello che i capi di governi di tutti i paesi ed economisti “governativi” vanno proponendo con i vari stimoli, tassi di interesse a zero ecc. Il trionfo dell’antieconomia.
Non c’è bisogno di leggere Mises o Hayek per capire l’assurdità di queste politiche, basterebbe ristudiare Ricardo e John Stuart Mill i quali definirono gli stimoli monetari una autentica frode. Perchè gli ecomisti austriaci sono stati ignorati? Roger Garrison una volta disse che un economista di estrazione austriaca ha ben poche probabilità di fare una carriera accademica. Il motivo è semplice: gli austriaci sono antistatalisti e non scrivono per ingraziarsi i politici ai quali del progresso della scienza economica non interessa proprio niente. La fortuna di Keynes e dei keynesiani è stata invece quella di ingraziarsi politici e lettori con affermazioni del tipo “ lavoro per tutti”,,la sicurezza sociale la libertà dai bisogni, la prosperità perenne, perché come scrisse Keynes “non ci sono intrinseci motivi per la scarsità del capitale”. Che musica per gli orecchi dei politici! Il keynesianesimo con i suoi dettami: non risparmiate! indebitatevi! spendete! conquistò il mondo ed oscurò Hayek.
Su quale treno doveveno salire gli austriaci? Non hanno perso nessun treno. E se lo hanno perso ci hanno guadagnato perché quel treno doveva portare le economie nel baratro. Non sono per niente d’accordo che i toni spesso settari hanno danneggiato la credibilità delle dottrine stesse. Gli Austriaci hanno sempre reagito con fermezza alle idiozie di chi crede che l’economia funzioni come una pizzeria. Ad es. Il flusso circolare del reddito e la teoria della domanda và bene per una pizzeria, non per un sistema economico. Essa infatti porta a credere che la produzione dei beni di consumo possa aumentare o diminuire spendendo di più o di meno. Come se non esistessero i beni capitali la cui produzione richiede mesi ed anni e che quindi i beni di consumo possano essere prodotti immediatamente. Quando non si è ancora digerita la teoria del capitale dei classici ancor prima degli approfondimenti di Hayek, se non si è capita ancora la differenza tra denaro credito e capitale a che servono tutti i papers, le estetizzazioni, le sofisticazioni e le modellistiche da propinare agli studenti? Perché questo è il vero scandalo: che nelle facoltà di economia si insegnano le fregnacce keynesiane ignorando l’economia austriaca cioè l’unico corpo dottrinale che è stato in grado di prevedere tutte le crisi economiche del XX secolo e quella attuale.
Se Paul Krugman, il Nobel dell’economia più ignorante del mondo, avesse studiato l’economia austriaca, pur rifiutandola, si sarebbe risparmiato almeno la magra figura di accostare Hayek a Joseph Schumpeter, pensando che quest’ultimo sia un esponente della scuola di Vienna.
Leggere per credere http://www.slate.com/id/9593
@gerardo coco
Credo che lei abbia sbagliato santo, mi chiamo Pietro e non Paolo. 🙂
Hayek e O’Driscoll col termine “coordination problem” intendevano esattamente la stessa cosa che intendono Boettke e soci, fino a prova contraria. Mi sembra infondato dire che intendevano qualcos’altro, magari solo perché “coordination failure” è un tipo di modello keynesiano a equilibri multipli che è uscito fuori negli ultimi dieci anni, in assenza di alcun riscontro testuale, e, anzi, nonostante l’esplicito riferimento di Boettke al testo di O’Driscoll.
“Perchè gli ecomisti austriaci sono stati ignorati?”
I motivi sono moltissimi: in parte è colpa degli austriaci stessi, in parte no. Eliminare la componente endogena dell’insuccesso austriaco mi sembra un’ottima strategia, e da questo punto di vista c’è molto da fare. Sicuramente c’è un bias interventista nella politica economica che è intrinseco alle dinamiche politiche, e sicuramente una teoria che anche uno stolto può capire come quella keynesiana ha un vantaggio comparato in una democrazia di massa rispetto ad una teoria più complessa. Ma continuare ad insistere sulla componente esogena degli insuccessi austriaci, quando molto si può fare per eliminare i problemi interni, non serve a nulla: è solo un piangersi addosso. Gli austriaci hanno ai margini più potenziale nel cambiare sé stessi che il mondo, e la prima cosa è necessaria per la seconda. Scriverò un post a riguardo ASAP.
Solo un breve appunto.
Condivido, caro Pietro, che sapendo poco o nulla di un argomento qualsiasi il confronto dialettico diventi sterile. Tuttavia qui si sta parlando di economia non di fisica quantistica, economia che oltre a non essere una scienza esatta è anche praticata sul campo quotidianamente da tutti.
Dare un taglio professionale e recintato al blog, quindi terreno esclusivo per rari esperti, mi sembrerebbe poco fertile: restando pur sempre ognuno nella propria veste, tu di esperto da cui apprendere e io da layman che ovviamente pone domande ingenue. Appunto per imparare.
Un saluto.
@microalfa
Non intendo questo, è che se un argomento è complesso non si può renderlo semplice, al più si può focalizzare l’attenzione su alcuni dettagli per renderli più chiari. Quindi ripeto: se mi si dice di dettagliare una cosa lo faccio, ma dovrei occupare tutto Chicago-Blog per due settimane per dettagliare tutto, e non mi va di monopolizzare il sito.
Un saluto.
Dal mio modesto punto di vista , ritengo che se è giusto e opportuno sviluppare una discussione quanto più vasta ed aperta possibile sui problemi economici, debba venir messo in evidenza anche un livello di approfondimento e di discussione quanto più elevato ed accademico possibile, perché sinceramente è solo a certi livelli che si può sperare di ottenere dei significativi risultati, teorici o applicati che siano, da poter semplificare ad uso di una platea quanto più vasta possibile; e la platea deve esser cosciente che lo studio dell’economia, da qualsiasi scuola si parta, non è banale e alla portata di tutti (il rischio si è concretizzato con molta evidenza per la scuola austriaca, dove in forza di come è stata presentata chiunque, compreso tale Pietro Monsurrò 🙂 , si erige a luminare per aver letto due o tre pagine su mises.org e aver letto che la matematica è inutile e che il nemico è la Federal Reserve).
“Coordination Problem” è un ottimo modo di tornare al valore primo della teoria austriaca superando quel focus imperante sulla (quantità di) moneta che può essere veicolo di rottura della coordinazione.
Leona’, sei l’unica persona al mondo che dice che quando spiego le cose le faccio troppo semplici. In genere si lamentano tutti del contrario, compresi i miei studenti all’università. 🙂