12
Lug
2012

Privatizzazione Acea? “A volte riuscivo a credere a sei cose impossibili anche prima di colazione”

La “privatizzazione” di Acea: continua a slittare il voto per vendere il 21% delle quote e costituire poi una holding con tutte le controllate del comune, che gli consentirebbe così di mantenere comunque il controllo su tale società.

Alla base di tale decisione, c’è sempre la necessità di ridurre il debito, che oggi ha superato i 12,5 miliardi di euro. In questi casi, la possibile soluzione che da risultati più immediati è rappresentata delle privatizzazioni, per cui il comune ha deciso di partire da Acea, quella potenzialmente più redditizia tra le sue controllate. Tuttavia, nonostante gli ostacoli che vengono frapposti, non si tratta di vera privatizzazione, se con questa parola si intende la cessione di aziende pubbliche a privati.

Due sono le ragioni per cui si è ancora lontani dal poter parlare di privatizzazione della società e, in particolare, dell’acqua (l’aspetto più contestato a causa della forte presenza di Acea nel business idrico): la prima, è che il Comune manterrà comunque una quota di controllo pari al 30%. Ciò significa che gli introiti si riducono (minore è la percentuale ceduta, minore è l’incasso) e che diminuiscono anche i recuperi di efficienza assicurati da chi si pone la ricerca del profitto come obiettivo, in quanto il vero “padrone” dell’azienda rimarrà il comune. Per altro, resta il vincolo di non poter acquistare azioni cedute per chi possiede una quota maggiore del 2% del capitale di Acea: il comune continua così a detenere la maggioranza e, per quanto numerosi possano essere gli altri compratori, resteranno sempre minuscoli al confronto. Inoltre si impedisce ai privati che già hanno delle quote, come Caltagirone (15,5%) e Gaz de France (11,1%), di crescere se lo volessero. Il che, presumibilmente, a vantaggio del secondo motivo per cui non si può parlare di cessione di azienda pubblica: persiste infatti la clausola che vede la Cassa Depositi e Prestiti come la privilegiata a cui vendere le quote. Non solo si sceglie il compratore, lo si sceglie anche formalmente di natura privata, ma nei fatti pubblico: basti pensare che i risparmi postali con cui si finanzia sono garantiti dallo Stato (la garanzia pubblica è tra le tre grandi sicurezze che vanta la CDP) e che il 70% della Cassa è del ministero del Tesoro, mentre il resto delle fondazioni bancarie.

Il tanto contestato emendamento, quindi, non contiene nulla che faccia pensare a una maggiore autonomia dal potere statale. Piuttosto, si continua a rimandare una decisione dagli intenti giusti ma dalla sostanza sbagliata, che tuttavia si persiste nel non correggere: non serve infatti a far cassa nonostante l’emergenza del debito, nè è utile a slegare gli obiettivi aziendali da quelli politici. Prima di gridare no alla privatizzazione dell’acqua, gli oppositori dovrebbero contestare queste arzigogolate operazioni che cambiano tutto per non cambiare nulla. Pur di garantirsi una rendita monopolistica, la soluzione del comune resta infatti inefficace rispetto al problema da risolvere.

 

4 Responses

  1. Stefano Nobile

    A queste condizioni il Comune di Roma intende avere la botte piena, la moglie ubriaca e l’uva in vigna.
    Si attacchino al tram.

  2. Mike

    Gattopardismo allo stato puro, altro che privatizzazione! E intanto la nave, lentamente ma inesorabilmente, affonda …..

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