Prezzi, inflazione… e concorrenza?
Spesso, parlando dell’attuale recessione e della politica monetaria adottata per venirne fuori, mi sono trovato a parlare di andamento dei prezzi, di pericoli di inflazione, e del ruolo calmieratore della Cina. Per la verità, all’inizio di tutta la storia lanciai pure veri e propri allarmi di elevata inflazione a venire, intesa come rialzi dei prezzi al consumo. Tutto sommato questo non si è avverato, e se accadesse tra un paio di anni non varrebbe, ritengo, a validare l’anzidetta profezia (prima o poi tutto accade, quindi i vaticini reiterati ad aeternum sono solo un ottimo espediente per darsi ragione prima o poi…). Un errore di questa profezia è stato non capire che già si era in inflazione, perché i prezzi avrebbero dovuto scendere grazie ai vari shock produttivi (informatica, internet, Cina), e quindi la loro relativa stabilità vale effettivamente come perdita di potere d’acquisto; come si dice tra le leggi di Murphy “se ci sei, non ci puoi andare”.
Nella vita di tutti i giorni però qualcuno giustamente mi chiede perché un’azienda italiana si sposta in Cina e il bene non scende comunque di prezzo; la sola risposta “monetaria” a questi non basta, e ho pensato che dovrei vagliare altri aspetti.
L’inflazione è in senso proprio la crescita dell’aggregato, che a parità di produzione disponibile implica perdita netta di valore reale della singola unità monetaria. Cioè se la moneta aumenta di un 10% e i beni in vendita restano gli stessi, dopo la dovuta serie di scambi si ottiene un “equilibrio” con i prezzi saliti del 10% (la moneta perde valore reale per un 10%). Se intervengono shock produttivi positivi, per cui si produce un 8% in più di beni con lo stesso ammontare di investimenti (la tecnologia permette di produrre in modo più efficiente, oppure si trovano fattori produttivi a prezzo più basso), a parità di moneta i prezzi scenderanno di un 8%; d’altra parte qualcosa deve accadere perché la maggior produzione venga assorbita, e questo implica un incremento del valore reale della moneta. Se mettiamo insieme una crescita della moneta per un 10% e uno shock produttivo del valore di un 8%, a saldo i prezzi saliranno di un 2%: nel gergo comune si ha una “bassa inflazione”, in realtà si è avuta una inflazione del 10% che si è più che mangiata i vantaggi del progresso tecnologico o dell’apertura di nuovi mercati. Questa è la mia più semplice visione.
La contestazione della costanza del prezzo di vendita di un bene dall’esser prodotto in Italia all’esser prodotto, ad esempio, in Cina, può essere ricondotta a quanto appena detto: si può produrre a costi inferiori, ma di fronte a un medium monetario inflazionato questo vantaggio viene compensato e il prezzo resta fermo. Questa spiegazione può non bastare a qualcuno, e forse c’è altro che trascende l’aspetto monetario.
Possiamo ammettere che l’imprenditore si sposti perché ora ha la possibilità di produrre fuori dall’Italia a un costo più basso. Aspettandosi di vendere sempre allo stesso prezzo, il suo personale profitto aumenta; per l’Italia e i suoi consumatori non cambierebbe nulla (ammesso e non concesso che i disoccupati così creati in Italia vengano prontamente riassorbiti in altra impresa, che è un altro ordine di problema). Ma come ci si può aspettare che il mercato italiano continui ad assorbire questa produzione allo stesso prezzo? Occorre ipotizzare ad esempio che la domanda italiana di quel bene sia perfettamente elastica al punto che qualsiasi incremento di produzione venga assorbito praticamente allo stesso prezzo iniziale. In tal senso, la provenienza del prodotto non rileva per il consumatore, e comanda il valore relativo del bene rispetto a tutti gli altri (supposti in questo caso invariati). Oppure si può ipotizzare che al mercato italiano venga destinata sempre la stessa offerta, replicando quindi la situazione di partenza e con essa i prezzi (l’eventuale maggior produzione magari viene indirizzata su altri, nuovi, mercati). In questi due casi l’imprenditore semplicemente guadagna di più per unità di prodotto.
La cosa che disturba è che non c’è alcun trasferimento dei vantaggi di costo verso il consumatore. C’è in effetti una violazione del paradigma del libero mercato e della concorrenza perfetta, ma addirittura si viola pure il paradigma della concorrenza monopolistica!
In concorrenza perfetta si avranno nuovi imprenditori che vorranno sfruttare la manna del nuovo mercato (o della nuova tecnologia) che alza i livelli di profitto, questo crea quindi nuovi operatori, offerta aggiuntiva che può esercitare concorrenza proponendo un prezzo compreso da quello precedente di mercato e il più basso livello di costo ora possibile, ed è proprio questo che scatena un processo concorrenziale che porta i prezzi giù al minor livello possibile per consentire la minima remunerazione consona all’attività imprenditoriale in esame. A quel punto non ci saranno più nuovi imprenditori, ma i prezzi verranno tenuti giù per la “minaccia” di nuovi imprenditori pronti a entrare se lo spazio di maggior profitto si ricostituisse attraverso un rialzo dei prezzi.
In concorrenza monopolistica si ha la possibilità di un pricing della produzione in relazione ad un mark-up del costo di produzione: grazie alla rigidità della domanda, il prezzo di vendita può essere fissato come costo di produzione maggiorato di una certa percentuale. Entro certi limiti il mercato resta stabile; in particolare, uno shock positivo sui costi di produzione tira giù con se il listino di vendita. In entrambi i casi il prezzo del bene prodotto in Cina deve scendere; ma sappiamo che così non è accaduto, pertanto, salvo considerazioni monetarie, le teorie esposte sono sbagliate, oppure semplicemente sono teorie che non si riferiscono alla realtà in esame.
Già, in effetti a cosa è coerente la fattispecie in esame? Io avrei una risposta: monopolio legale. In caso di monopolio economico, in cui l’impresa è l’unica in grado di produrre un certo bene o almeno di produrlo con certi livelli di economicità, lo spostamento in Cina permette un incremento netto di profitto, giacché la produzione di minimo costo medio potrebbe restare la stessa e, a parità di schema di domanda, anche il prezzo resterebbe lo stesso. Ma nel caso di monopolio economico deve darsi anche che tale maggior profitto non sia tale da creare spazio per l’inserimento di nuovi competitor (si tratta in pratica di risultato estremo della concorrenza perfetta), altrimenti i prezzi dovrebbero scendere. Se invece veramente si ha di fronte l’unica impresa al mondo a fare un certo prodotto, si può solo abdicare qualsiasi rimostranza alla decisione imprenditoriale di definire la quantità di produzione ed accettare il prezzo che ne viene fuori, sperando che in Cina la struttura dei costi comporti un “costo medio minimo” per un livello di produzione maggiore. I casi di tale esclusiva economica mi pare siano quasi nulli, e non credo riferibili alla produzione di beni di consumo.
In caso di monopolio legale invece si può prescindere da qualsiasi problematica concorrenziale e di costo: in forza di legge quell’impresa è l’unica, e fa il prezzo che le pare. Chiuso. Se il prezzo è, come è in ambito austriaco, una composizione con pari valore delle varie “opinioni” di domanda e offerta di tutti gli operatori, un monopolio legale è una sorta di dittatura in cui non è manifestabile un “dissenso del prezzo”.
La domanda è spontanea: stiamo parlando di un bene per cui è “necessario” un monopolio legale? Poniamo che si stia parlando di beni di consumo non voluttuari ma quasi, per cui un monopolio legale non ha giustificazione politica, ad esempio le calze da donna. Sia che si parli di concorrenza perfetta, che di concorrenza monopolistica, fino addirittura al caso del monopolio economico, il prezzo della calza è atteso ridursi. Solo il caso del monopolio legale è coerente con una esperienza di prezzo stabile nonostante la delocalizzazione produttiva. Ma noi sappiamo che non esiste monopolio legale sulle calze da donna, così come in generale sui beni di consumo… o no? Il mio dubbio è questo: lo sappiamo o no? Veramente non c’è un monopolio legale, o qualcosa ad esso assimilabile? E cosa può ritenervisi assimilabile?
Se abbiamo un mercato fatto da pochi operatori, anche se questi facessero cartello su livelli di prezzo “elevati” rispetto alla struttura di costo, dovremmo aspettarci l’ingresso di nuovi competitor a rompere lo stallo. Ed è qui l’inghippo: esiste davvero la possibilità di nuovi ingressi? Sì, perché ciò che distingue veramente una situazione concorrenziale da una monopolistica è la contendibilità del mercato, l’apertura a nuovi operatori, fosse anche solamente la pressione data dalla concorrenza potenziale; il monopolio legale non ha questa possibilità. E se un mercato ha barriere all’entrata particolarmente forti, fatte di autorizzazioni discrezionali o costose, di tempi biblici, di normative complicate e invasive, di pianificazioni territoriali… può dirsi veramente un mercato contendibile? Tale regime può dirsi concorrenziale o piuttosto di sostanziale monopolio legale ottenuto non con una licenza esclusiva ad una impresa bensì con un complesso di inibizioni alla presenza di concorrenti?
Io chiudo qui questa analisi di un ipotetico mercato di beni di consumo. Lascio a chi legge di valutare la rilevanza dell’argomento monetario contro l’argomento imprenditoriale, così come lascio a chi legge di valutare la propria esperienza quotidiana di spesa assieme alle critiche da più parti esposte sulla libertà d’impresa in Italia, collegandole a quanto esposto sopra. Poi fateci sapere.
E’ buono l’intervento monetarista che lascia uno spunto di riflessione. Ahimè le cose non stanno così! Il ciclo economico come il ciclo delle donne è molto difficile che si ripresenti sempre lo stesso giorno e allo stesso modo. E’ influenzato da tanti fattori fisici e ambientali pertanto per una sua analisi in un mondo globale va tenuto conto dei flussi internazionali (SOLDINI e un po meno MERCI). Nessuno si è reso conto che la politica monetaria non viene fatta dalle autorità locali bensì dalle grandi banche di investimento. Dopo un affermazione del genere il lettore medio abbandona l’annuncio giudicandolo troppo di parte, eppure la spiegazione è semplice! Immaginiamo che una bancaUSA “X” (senza far nomi) va in un paese “Y” (esportatore) in un momento dove nel suo paese le cose non vanno alla grande. Ci investe tanti soldiniinini ricavandoci il 10-15% annuo [in usa ricaverebbe il 4-5%] il cambio di questo paese “Y” è semi-fisso :). Il paese Y è esportatore e si ritrova un flusso di entrata di denari (ovviamente minuscolo—> sarcasmo). La situazione è divertente.. il vecchio curry trade con il cambio che non si apprezza. Una quantità immane di debito estero dei paesi che acquistano i prodotti del paese Y. Le delocalizzazioni in Cina hanno portato a un aumento dei profitti delle imprese sul territorio cinese i quali non sono stati mitigati da apprezzamenti del cambio. La distribuzione del reddito cinese ne è la testimonianza. Ineffetti nella distribuzione del reddito la componente PROFITTI E’ DI GRAN LUNGA superiore alla componente salari. concludo: la vita dell’uomo è troppo corta per esser razionale la scelta di fare politica che miri al benessere della società anche dopo propria morte.. MARCO RAZIUS
E’ da carpire il fatto che immettendo dindi in un paese straniero da parte della bancaUSA essa funge da banca centrale per quel paese creando una bolla speculativa nei classici settori tra cui l’immobiliare. Questo è il nuovo metodo per fare le guerre! COme? bhe se queste banche riportano i soldi nel loro paese inducono i DEFAULT! … potrebbe esser la stessa cosa quella che succede a livello interno nell’area euro visto che queste cavolo di bolle speculative colpiscono sempre zone ben specifiche e nn l’area nel suo complesso! Di quanto sono calate le case in Spagna? nel primo mese della crisi dei subprime ?.. potrebbe essere un idea? — > un modo come un altro per invadere
@ Marco : mi spiace ma la tua analisi è come minimo incompleta. Riduci e accorpi tutti i flussi internazionali a investimenti bancari in obbligazioni statali. Però la cosa è più complicata. Innanzitutto in paesi poveri manifatturieri come la Cina sono stati investiti capitali non in titoli di stato , ma in imprese fisiche. E chi ha investito questi capitali non sono banche , ma imprese manifatturiere . Questo ha portato a incrementi dei profitti per esse ( le imprese ) , ma anche aumenti notevoli del reddito reale dei lavoratori. I dati sono incontrovertibili. Inoltre sono i cinesi a comprare i titoli di stato americani e non l’inverso. I flussi invece verso i titoli di stato si sono avuti nei paesi che sono semplicemente stati incapaci di controllare la spesa pubblica. Per una banca tedesca che compra bond greci ad esempio, c’è un governo greco ( e non un’azienda con lavoratori ) , che emette questo bond , emesso per finanziare per l’appunto spese statali eccessive. Per quanto riguarda le bolle speculative queste colpiscono lì dove è minore se non negativo il differenziale tra aumento dei prezzi generali ( inflazione ) e costo del denaro stabilito dalla banca centrale. Ed è quest’ultima che in effetti crea le bolle , tenendo troppo basso il tasso di interesse favorendo così una artificiale espansione bancaria , che si indirizza per forza di cose nei settori che al momento iniziale hanno il miglior rapporto prezzo/rischio come era l’immobiliare in Spagna nei primi anni 2000 quando la bolla si è gonfiata, o la stessa irlanda , dove addirittura il costo del denaro è stato per anni negativo di un punto percentuale. E le banche finanziatrici non erano e non sono estere , ma quelle del paese stesso . Infatti ad essere in difficoltà guarda caso sono le banche spagnole ed irlandesi. Stessa cosa è successa anche negli USA e con le banche americane ( e con resonsabilità FED ).
@MassimoF.
@MassimoF. hai ragione sul fatto che la mia analisi è incompleta perchè servirebbero un centinaio di pagine per spiegare meglio la situazione. Volevo far capire che i flussi internazionali delle banche commerciali giocano un ruolo inportante! Non ho parlato di investimenti in obbligazioni. Il problema è il seguente.. quando un paese si apre al commercio estero incontra molti problemi.. inanzitutto ha il problema della bilancia commerciale (positiva o negativa). In una situazione normale la bilancia commerciale ha un impatto sul cambio aumentando la forza della valuta nazionale se la bilancia comm è positiva (exp>imp) e diminuendo la forza della valuta nazionale se la bilancia è negativa(imp>exp). nel lungo periodo una tale situazione porta a un nuovo equilibrio prossimo a zero della bilancia stessa. Questa situazione non è verificata nella realtà come dimostrano i dati empirici(non saprei come postarti il tutto)!! Perchè? I disavanzi commerciali (USA) vengono piu che compensati dal flusso di moneta proveninente dalla Cina che acquista T-Bond. La situazione è chiara : delocalizzo le imprese (nella delocalizzazione parte delle imprese sono costruite con debito denominato in euro/dollari e finanziato da banche comm USA/EUR—> le banche commerciali fanno politica espansiva nei paesi in via di svilup) il credito che viene concesso dalla banche dei paes in via di svilup (la cina non sepre puo essere considerata tale) in parte, è finanziato dalle banche americane/fondi USA che investono in quei paesi. Spero di esser stato un po piu chiaro.. il tempo è nemico ma voleva essere uno spunto di riflessione! Dico questo per dire come la speculazione porti problemi a tutto il mercato.. ineffetti le analisi tecniche che vengono usate per gli investimenti nel set finanz servono per una gestione infraday o cmq di brevissimo periodo. Le mia analisi fondamentale intermarket ( AZZARDO :] )mi suggerisce che la crisi valutaria è GIà scoppiata in quanto il cambio EUR/USD non rispecchia più logiche reali ma è preda della speculazione internazionale da PIU DI UN TRIMESTRE. In una situazione del genere il timore di fallimenti area EUR sta creando le condizioni per amplificare la bolla. Ancora una volta le speculazioni stanno facendo allontanare la finanza dai dati reali dell’economia. p.s. La galoppata del DAX è sostenuta dal fatto che aumentando i CDS sugli stati sovrani EUR (speculaz) i maggior introiti entreranno nelle sacche delle banche .DE :] —> Interessi sui debiti sovrani —> si pagano a banche tecnicamente insolventi ma salvate con l’aiuto di debito sovrano —-> le quali più il paese viene screditato e piu guadagnano. Purtroppo non è una storiella e non posso chiuderla col vissero tutti felici e contenti perchè qualcuno piangerà 🙂 un saluto a tutti
Siamo in un paese retrogrado: moralmente, intellettualmente e dunque ben vengano queste riflessioni.
Da noi chi salva Alitalia e i suoi becchini si dichiara “liberista”.
Gli aiuti agli investitori stranieri vengono dati solo se vengono a produrre in Italia, in Francia ed e tutto dire si danno anche alle filiali commerciali delle piccole medie aziende italiane, perche capiscono che e dalla concorrenza che viene lo stimolo per migliorare sopratutto il loro sistema produttivo (se mi leggesse Tremonti gli verrebbe la febbre).
Il programma Italia per l’imprenditoria italiana era precluso alle attivita commerciali (gli amici potevano comunque usufruirne chiamandoli “servizi”) e questo ha a che vedere coi proclami di meritocrazia e cola “mafia” che non sempre e seria come quella esaltata nelle videoproduzioni Mediaset dove si uccide e si muore, ma piu semplicemente come sa bene il premier che ce lo ricorda sulla base della sua esperienza Milanese “si costruisce (o si intraprende) correndo con l’assegno in bocca” Eolico Docet.
Strano che un governo “LIBERALE” non abbia fatto una liberalizzazione
non abbia imposto una scissione delle reti dai produttori (tranne ENEL)
Abbia riconsolidato gli ordini (farmacie, avvocati)
Con tutti gli aerei ed auto di stato e le missioni nessuno che tragga esperienza dai paesi evoluti?
Certo e che se i riferimenti sono la tenda beduina o il Cremlino abbiamo ben poche speranze per un futuro migliore, visto che al contrario di questi sotto i nostri piedi c’e solo terra.