Prezzi contro tasse 2 a 0
Volendo fare un’ipersintesi dei nostri sistemi economici sviluppati, basati sulla compresenza di economia di mercato e di economia di stato, possiamo osservare che essi impiegano una moltitudine di organizzazioni private e una molteplicità di organizzazioni pubbliche. Le prime hanno tre caratteristiche fondamentali:
- la proprietà privata;
- l’uso del sistema dei prezzi;
- la concorrenza.
Le seconde hanno caratteristiche fondamentali opposte: sono di proprietà pubblica, non usano i prezzi, non sono in concorrenza. Le prime producono beni e servizi per il mercato (per i consumatori e per altre organizzazioni); le seconde hanno una duplice finalità produttiva: da un lato atti amministrativi (autorizzazioni, concessioni, attestazioni), e questa è la loro ‘core mission’; dall’altro lato servizi per i cittadini (istruzione, sanità, previdenza, trasporti, ecc.). Poichè si può stimare che oltre due terzi di questi servizi siano a domanda individuale, anologamente ai beni e servizi offerti sul mercato dalle organizzazioni private, la domanda chiave è: perchè sono offerti da organizzazioni così distanti dai meccanismi di mercato? A questa domanda non c’è risposta normativa, perchè debba essere così, ma solo risposta positiva: è così perchè i governi nel tempo così hanno deciso che fosse. Ma ragioni normative nette non ve ne sono: maggiore efficienza produttiva, minori costi unitari, maggiore qualità rispetto a soluzioni di mercato? Si direbbe proprio di no. Maggiore efficienza allocativa? Potrebbe essere: produttori privati, tentati dallo sfruttare asimmetrie a loro favore, potrebbero portare il sistema a soluzioni non caratterizzate da efficienza paretiana. Ma in tal caso basta un’adeguata regolazione pubblica (come avviene, o dovrebbe avvenire, per le utilities in cui la concorrenza è problematica), non è necessaria la produzione pubblica.
Si perviene così all’ultima e unica giustificazione possibile che è quella dell’equità: si tratta di servizi essenziali di cui tutti hanno bisogno, anche i cittadini che non hanno redditi sufficienti per procurarseli sul mercato. Ma anche questa spiegazione non richiede necessariamente la produzione pubblica bensì la sola garanzia da parte del settore pubblico che tutti i cittadini possano beneficiare dei servizi in oggetto.
Si possono a questo punto tirare i fili del ragionamento: affinché tutti i cittadini possano procurarsi i servizi essenziali, ora prodotti e forniti dal settore pubblico in condizioni non di mercato, sono indispensabili due condizioni: che le organizzazioni che li producono e li offrono siano adeguatamente regolate in modo da non disporre di potere di mercato e da non sfruttare condizioni asimmetriche; che tutti i cittadini dispongano del reddito necessario per procurarseli.
Si tratta di due condizioni non difficili da realizzare: la prima, quella della regolazione economica, riguarda un’attività che è andata diffondendosi anche nei paesi europei e che si è perfezionata a seguito dei processi di privatizzazione delle utilities; la seconda è piuttosto semplice: basta che il reddito necessario per procurarsi quei servizi essenziali sia lasciato nelle tasche dei cittadini attraverso riduzioni equivalenti delle imposte sui redditi personali o vi sia inserito via trasferimenti pubblici in caso d’incapienza.
In tal modo nella fornitura di diversi servizi pubblici a domanda individuale le tasse sarebbero sostituite da prezzi e le organizzazioni produttrici dei servizi potrebbero essere messe in concorrenza, generando benefici evidenti per quanto riguarda l’efficienza nell’impiego delle risorse. Si tratta di una piccola rivoluzione copernicana che non necessita di mutare la natura pubblica delle organizzazioni produttrici: rimangano pure pubbliche ma si finanzino in funzione dei valori che producono e non, come avviene ora, dei fattori produttivi che consumano. Se non si riveleranno efficienti non riusciranno a coprire i costi con i ricavi e dovranno ristrutturarsi, migliorare le performance, e nel caso non vi riescano dovranno essere oggetto di procedure di accorpamento, liquidazione, ecc.
Questa è a mio avviso la via maestra per ridurre (notevolmente) la pressione fiscale senza accrescere il deficit e senza ridurre le prestazioni del settore pubblico: prezzi al posto delle tasse e concorrenza tra produttori. Una parte delle tasse verrebbe semplicemente abolita e sostituita da prezzi e tariffe commisurate ai servizi a domanda individuale che utilizziamo (premi assicurativi per i servizi previdenziali e sanitari, quote d’iscrizione alle istituzioni scolastiche e università, tariffe per l’uso delle strade pubbliche, ecc.). La nostra spesa per tali servizi non sarebbe necessariamente destinata a diminuire ma diverrebbe lo strumento attraverso i quale noi cittadini saremmo in grado di monitorare il valore di ciò che ci viene dato in cambio.
E’ esattamente quello che avviene quando facciamo la spesa: prima scegliamo i prodotti e li mettiamo nel nostro carrello, poi li paghiamo alla cassa e ce li portiamo a casa. Al supermercato di stato, invece, si paga prima di entrare e si paga anche se non si entra, i prodotti non li scegliamo noi ma sono funzionari pubblici a matterceli nel carrello e anche se all’uscita non ci sono le casse scopriamo sempre che il valore del carrello è nettamente inferiore ai soldi ai quali siamo stati obbligati a rinunciare. Rimettere le casse alla fine e non all’inizio del processo di scelta rappresenterebbe un piccola ma significativa rivoluzione.
Postilla: che i prezzi siano meglio delle tasse dal punto di vista dell’efficienza economica non vi sono dubbi, tuttavia vorrei sottolineare che sono preferibili anche dal punto di vista dell’equità, non essendo accettabile un valore delle prestazioni pubbliche sistematicamente inferiore a quello dei tributi prelevati. Si potrebbe quindi sostenere che i prezzi battono le tasse 2 a 0 e che pagare i prezzi è bellissimo (se c’è concorrenza o almeno una regolazione adeguata).
Non ci sono dubbi che il mercato è la via migliore per ottenere eleate efficienze locali, però oltre a concorrenza o regolazione adeguata sono indispensabili anche controlli efficaci e certezza della pena.
In assenza di queste ultime due condizioni è difficile affidarsi al mercato.
“vorrei sottolineare che sono preferibili anche dal punto di vista dell’equità”
infatti sappiamo tutti come l’alfabetizzazione e le vaccinazioni coprissero entrambe il 100% della popolazione quando non se ne occupava lo stato e i privati erano liberissimi di fare i prezzi che volevano per entrambe. LOL, che pagliaccio!
Condivisibile in linea di massima. Tuttavia verrebbe a saltare il principio di progressività, almeno che non si ammetta che chi ha di più si ammali più spesso, utilizzi di più le strade, vado più spesso a scuola etc…
Sig. Giovanni,
mi pare che la sua sia una “petitio principii”,volendo infatti indurre che siccome nel passato ,forse, medioevale del nostro paese (sarebbe meglio indicare il periodo storico ed il luogo cui ci si riferisce) l’istruzione e le cure mediche erano servizi erogati da un “sistema di mercato” (anche questo andrebbe argomentato), allora oggi, se lo fossero, come allora questi servizi renderebbero, nel volgere di qualche decennio, analfabeta ed afflitta da altissima mortalità infantile buona parte della popolazione italiana.
Credo siano comuni e corrette opinioni le seguenti:
1) Non è possibile un paragone, sic et simpliciter, tra la farmacologia, ad esempio, del 1800 e quella odierna e ciò indipendentemente dal “prezzo dei farmaci” e delle prestazioni (oggi con molto poco denaro si può fare quasi tutto, si pensi ai farmaci generici ed al costo industriale, la distribuzione moltiplica il prezzo, che hanno).
2) Ugualmente è irragionevole confrontare un sistema basato sul rapporto precettore-discente o sulla elitaria istituzione delle accademie scolastiche con quello di un sistema in cui la scuola diviene un ente-azienda privato/a e sottoposto/a a rigidi controlli di qualità e messa in concorrenza con altre scuole ugualmente controllate
3) Allo stesso modo è irragionevole confrontare un SSN (sistema san. Nazionale) in cui strutture private, fortemente regolamentate, competano tra di loro per qualità e prezzo delle prestazioni con gli “atti curativi” dei “medici” dei tempi della guerra dei cent’anni o delle guerre napoleoniche.
4) Un sistema che prevede un contributo per scuola e cure mediche per gli incapienti rende quasi non rilevante il “problema” dei prezzi
Con cordialità, saluto.
postille :
* la divisione tra pubblico e privato e molto più sfumata di quanto voglia dire la teoria: tutte le grandi aziende (es. da noi 1 x settore :BancaIntesa, Fiat, Telecom, per non parlare del Partito Azienda Mediaset) e le lobby in senso lato (es 1 x categoria : Notai, Lavoratori Dipendenti Privati, Lavoratori Pubblici, Artigiani, Confindustria) utilizzano molti metodi di pressione sul pubblico x ottenere favori e privilegi che distorcono la concorrenza ed il sistema dei prezzi, e che vanno ben al di là della logica 1 testa 1 libero voto…. ovvero… non è solo lo stato a distorcere il privato.. ma pure viceversa..
* l’efficienza “complessiva” è sicuramente superiore in un sistema fortemente liberista, ma le differenze di condizione tra chi sta bene e chi stà male si allargano nei sistemi “troppo” liberisti (of course i sistemi “troppo” statalisti sono ancora peggio xrchè disincentivano l’iniziativa)
* è vero che x es. con la tecnica dei buoni spesa si può coniugare un accesso di cittadinanza ai servizzi pubblici ed una rete di fornitori privati, però solo in determinati ambiti e con un sistema regolatorio e di controlli… se in sanità ricevo un rimborso x ogni polmone finirò x operare ai polmoni anche chi non ne ha bisogno, se una scuola promuove gli asini paganti xrchè pagano non và bene (e non dirmi che poi ci penserà il mercato a non assumerli, se quesgli asini ha pagato papà provvederà pure poi a farli assumere con i suoi giri di amicizie), se un sistema come quello della giustizia civile (escludo il penale x ovvie ragioni) non si scontrano due soggetti con pari potere (es. 2 aziende negli arbitrati) ma un soggetto molto più forte dell’altro allora le possibilità di corrruzione del giudice privato sono oggettivamente molto più alte di quelle di uno pubblico (e già così tutti sappiamo cosa succede nei tribunali fallimentari)..
@giovanni
Ma ha capito quello che ha letto? Prima di cedere all’irrefrenabile impulso di scrivere sulla tastiera la prima cosa che le passa per la testa si prenda qualche minuto per riflettere!
concordo sul ragionamento, ma sono sicura che noi italiani troveremmo subito il sistema di rubare anche qui. Ora i furbi evadono le tasse, dopo scroccheranno i servizi. Per quanto riguarda il nostro sistema fiscale mi accontenterei del quoziente familiare: due figlie in età scolare sono costosissime, e dobbiamo pagare anche le stesse tasse di quando eravamo soli!
Come il prof. Arrigo ben sa, ogni iniziativa privata si muove solo e soltanto guidata dalla possibilità di fare profitti. In un mondo di concorrenza perfetta, come lui auspica, i capitali vanno dove le prospettive di profitto sono più elevate.
Questo implica che (anche) nel settore della sanità, della scuola, dei servizi sociali, l’iniziativa privata vorrebbe dire ricerca del massimo profitto, attraverso la conquista delle quote più interessanti della domanda: quelle di chi può pagare di più per avere il meglio. Avremmo sanità per i ricchi, scuola per i ricchi, ecc. Anche perché, i ricchi sarebbero sempre più ricchi dato che lo Stato, secondo la filosofia dell’autore e di coloro che scrivono sul blog iniziando dal dott. Giannino, avrebbe abdicato alla sua funzione di redistrubutore dei redditi abolendo la progressività della tassazione.
Per i meno fortunati perché nati da famiglie di meno abbienti, perché condannati a stipendi reali sempre più contenuti….. pazienza, che si accontentino di qualche aiuto da filantropi o dalla chiesa, ecc, ecc.
Saro forse ingenuo, nonostante i miei cinquanta anni e passa, ma continuo a pensare che la strada che produce il meglio per la Collettività è farle funzionare le Istituzioni, renderle efficienti le Organizzazioni pubbliche che forniscono i servizi di base e che, con la loro opera, mettono, questo si in senso liberale, tutti nelle condizioni di giocarsi la vita partendo da una posizione (il più possibile) paritaria.
Ricordo infine a tutti i liberisti convinti la lezione dell’America, patria del liberismo sempre invocata (prima che Bush facesse la riforma della tassazione): non è per nascita che si ha il futuro assicurato (vedi tassazione sulle eredità), ma perché ogniuno mette a frutto, nel miglior modo possibile, i propri talenti.
Grazie dello spazio che mi è concesso e, ovviamente, accetto ben volentieri contraddittori su questo.
Riconosco che nell’economia la funzione pubblica è stata capace di produrre solo voragini come il nostro contatore, arrivato a 1TeraMln€, può facilmente testimoniare. Effettivamente credo che l’idea di uno stato più “controllante e regolatore” strutturato con pochi ministeri fondamentali e con agenzie funzionali possa rappresentare una soluzione all’involuzione sistemica del paese.
Purtroppo, questa via è ampiamente incompatibile con due fattori presenti nel nostro paese:
A) Il complesso delle norme giuridiche (Costituzionali – Civili – Penali – Procedurali) che traccia un’ idea di Stato, a mio modo di vedere, del tutto obsoleta e non compatibile con delle riforme funzionali di tale livello.
B) Il capitalismo italiano, la società civile ed i maggiori esponenti politici, hanno verso lo stato un rapporto degno di essere considerato un “Disturbo bipolare”: Infatti, se da un lato tutti si lamentano per le inefficienze, le spese eccessive, la mancanza di autorevolezza, la cattiva amministrazione, dall’altro lato TUTTI contribuiscono ed accrescono volontariamente l’entità di tali fenomeni cercando di “strappare” vantaggi per la propria parte sociale indipendentemente se ciò causerà danni ingenti alla collettività o se per fare questo sia necessario violare sistematicamente delle norme giuridiche.
In poche parole, i nostri problemi sociali e strutturali non permettono che una vera e propria fase di sviluppo possa partire dalle condizione attuali facendo dei semplici correttivi economici o delle operazioni di redistribuzione di risorse. Purtroppo una vera e propria svolta liberale è impensabile, infatti senza la modifica PROFONDA della normativa e della struttura statale ogni accenno di riforma che potrebbe essere introdotto avrà lo stesso effetto del gettare i chicchi di grano fra i rovi ;
“…Uscì il seminatore, prese una manciata [di semi] e li seminò.[…] Alcuni caddero fra i rovi e i rovi soffocarono i semi e i vermi li divorarono…”
Più chiaro di così.
Dato che la mia vita passata ha sempre visto lo Stato come grande Regolatore (vedi un esempio per tutti, l’INPS), mi domando come, nella realtà, si potrebbe passare a un sistema pensionistico esclusivamente privato. Nel quale, ovviamente, si tenesse anche conto degli incapienti. Subito si dovrebbe, forse, mettere in piedi un Ufficio per la verifica dei reali incapienti, con la nascita, immediatamente, di un’altra burocrazia.
Sono abituato ai trasporti pubblici, gestiti dalle Ferrovie dello Stato. Qeull’Azienda è oggi in pareggio, ma, se si vuol viaggiare, anche su Eurostar, bisogna munirsi di pannolone, poiché, ormai è noto anche al Ministro Tremonti, i servizi igienici sono troppo sepsso inavvicinabili.
Stiamo vivendo un momento storico nel mediterraneo. E due cose mi colpiscono. due fatti molto diversi tra di loro.
Il primo e che dopo molti anni non vedo più bruciare bandiere americane o Israeliane nelle piazze del medioriente e il problema palestinese sembra non essere piu la madre di tutti i problemi di quei luoghi ( che non lo fosse neppure prima !?!).
Il secondo fatto è meno “storico”, nel senso che ho seguito gli interventi dell’opposizione sul comportamento tenuto dal governo nei rapporti con la Libia. Rimango stupito di come si possano dire sciocchezze in nome del contrasto dell’avversario politico.
Bersani avrebbe sicuramente fatto meglio avrebbe evitato di chiudere inutili accordi commerciali, andando ad approvigionarsi di petrolio e gas naturale magari presso la civilissima Svizzera…..
Vi ringrazio e vi saluto
concordo 1000%.. purtroppo sono parole SACROSANTE 🙁
Si legge nei commenti uno strano paralogismo: il capitalismo va dove si fanno i soldi, dunque va a beneficio… dei ricchi. Immagino che la produzione di massa sia stata un’invenzione degli statalisti, allora. Che la Ford Model-T veniva comprata solo dalla famiglia Rockefeller, che la rivoluzione verde degli anni ’70 non abbia sfamato centinaia di migliaia di poveri, ma fatto ingrassare poche centinaia di ricchi.
Il capitalismo va dove ci sono i soldi, cioè dove i consumatori decidono che vale la pena spendere: one dollar, one vote. E di certo non vieta a nessuno di fare beneficenza. C’era molta più solidarietà quando era volontaria che oggi che è obbligatoria, così nessuno si sente obbligato a farla.
Lo Stato Repubblicano così come lo abbiamo vissuto, ha assunto nel tempo diversi ruoli con finalità divergenti: Infatti se da un lato il settore Pubblico si è adoperato gestendo servizi che difficilmente possono essere allocati ai privati e la cui fruizione corrisponde spesso ad un diritto della cittadinanza (Sanità, Difesa…), dall’altro ha anche influito pesantemente sull’economia entrando direttamente nelle partecipazioni di società private, comandando (spesso male) interi comparti industriali, distribuendo fondi e dispiegando ammortizzatori sociali per sorreggere realtà economiche non funzionali, creando enti che gestiscono servizi non essenziali senza che questi seguano un qualsiasi criterio di economicità. Dunque la funzione regolatrice è stata espletata, fra le altre cose e con qualche “peripezia”. In questo breve arco temporale il polimorfismo dello stato italiano non può che lasciare perplessi; A prima vista, potrebbe sembrare che ci siano una grande quantità e varietà di servizi erogati e che questo giustificherebbe il “prezzo del biglietto” (pressione fiscale) ma ad un’analisi approfondita emerge chiaramente che la qualità, l’omogeneità ed il livello di spreco sono molto alti, troppo alti rispetto a quanto ricevuto.
Quello che credo, in base alla mia personale visione, è che non sia di alcuna utilità uno stato “poliedrico” che faccia 10.000 cose diverse alla meno peggio subissando di tasse e tributi la cittadinanza. Sarebbe auspicabile invece avere una pubblica amministrazione che gestisca i servizi più importanti in maniera eccellente e che lasci spazio all’iniziativa privata ove sia più indicato, il tutto accompagnato da una normativa chiara,snella,dura che lasci rapidamente intendere cosa si può fare, cosa non si può fare e che cosa rischia chi infrange le regole.
Per quanto riguarda il sistema pensionistico, credo che il passaggio verso un modello sempre più “privato” sia una cosa doverosa, anche considerando la composizione demografica della nostra nazione e le nuove realtà del mercato del lavoro. Per l’accertamento degli incapienti, se si volesse per un attimo andare oltre la cultura burocratica di basso profilo che ha caratterizzato la nostra nazione e si volesse anche dare un seguito all’utilizzo di infrastrutture digitali di livello, potremmo gestire molti servizi e controlli con routines automatiche che lascerebbero poco spazio agli “artifizi” che oggi sono possibili a causa dell’incompetenza del personale, della frammentarietà di documenti e della mole di dati abnorme che andrebbe controllata per lo più a mano. Tutto alla fine riconduce nella scelta di un modello “semplice e funzionale” e nella sua applicazione utilizzando un buon catalizzatore (l’informatica), cosa che nella realtà non trova seguito dato che la Pubblica Amministrazione è solo un guazzabuglio di enti e norme sconnesse che faticano perfino a darsi una definizione codicistica chiara e l’informatica è praticamente lettera morta nelle scuole figuriamoci se può essere assimilata da burocrati che appartengono per mentalità e metodi al secolo scorso.
Nell’articolo si auspica che anche alcuni settori attualmente gestiti dal Pubblico possano passare al libero mercato, con miglioramenti di costi e del servizio.
Tale assunto tuttavia rimane valido solo dal punto di vista teorico, nella pratica purtroppo dobbiamo constatare che in Italia il libero mercato non esiste, in quanto le lobby che costituiscono il mercato ne impediscono il normale funzionamento dell’incontro tra domanda e offerta alterando pertanto il sistema dei prezzi che alla fine rimane condizionato solo dalla speculazione.
Alcuni esempi di settori dove dovrebbe funzionare il libero mercato, ma di fatto non esiste dovendo i consumatori assoggettarsi al cartello dei prezzi imposti dalle lobby del mercato: -settore energia (prezzi di carburanti) -settore intermediazione immobiliare (percentuali fissate in modo inderogabile dalle associazioni di settore, tra l’altro anche multate dall’antitrust) -settore farmaceutico (prezzi medicinali tra i più alti nella UE)…….. e si potrebbe continuare l’elenco con mille altri settori dove la concorrenza e il libero mercato rimangono solo un miraggio.
Pertanto non bisogna illudersi che passando al privato alcuni servizi come la sanità si abbia un servizio migliore a minor prezzo.
Piuttosto facciamo che il pubblico funzioni meglio introducendo la responsabilità civile dei dirigenti, che la selezione di questi avvenga in modo trasparente e non per scelta di partito, che ci sia un maggior controllo e trasparenza su tutte le spese che vengono fatte e che ci sia un severa legge contro la corruzione e le truffe ai danni dello stato e delle aziende pubbliche.
Concorrenza? Se qualcuno mi saprà seriamente indicare ditte, servizi ,settori, nei quali si realizza questa sconosciuta entità: concorrenza, allora potro’ considerare simili articoli qualcosa di più che bellissimi scritti di fantascienza.
Sognare si può, poi si scende sulla terra e si deve giocare con le carte che si stringono realmente in mano. Le teorie stanno bene sui libri, e più appaiono belle e meno trovano realizzazione nella realtà, specie in un Paese in cui la densità mafiosa è altissima, tanto che nemmeno più si distingue cosa è mafia e cosa non lo è.