Prevenire i terremoti finanziari
di Luca Fusari
Leggendo l’articolo di Oscar Giannino “Banche centrali e governi, se l’uno annulla l’altro” si possono trarre alcune considerazioni, in merito alle differenze metodologiche e prospettivistiche dell’economia monetaria.
Partendo dall’articolo di Scott Sumner si possono confrontare gli indici di calcolo del moltiplicatore sul parametro friedmaniano e quello keynesiano,, verificando come il Pil reale al netto dell’inflazione è una considerazione più concreta del funzionamento articolato della moneta una volta immessa sul mercato, a differenza del Pil nominale keynesiano, un’astrazione idealista e teorica di chi non comprende il problema dei rincari, quale componente finale del prezzo (della massiccia presenza monetaria) in circolo.
Al di là però degli indici, resto personalmente perplesso sulla questione di fondo dell’articolo: Sumner non sembra sollevare alcun problema in termini di questione- inflazione e sua origine bancaria, ma pare costituire di fatto solo una interessante seppure un po’ stucchevole disamina su come valutare la fenomenicità monetaria nel dato statistico.
Ciò a mio parere equivale alla medesima disquisizione tra l’uso della scala Mercalli o l’uso della Richter nella valutazione dei fenomeni sismici.
Proviamo allora a paragonare metaforicamente le due scale di valutazione dei fenomeni sismici ai due tipi di indici di calcolo del moltiplicatore economico.
E’ ovvio che la Mercalli sviluppando un dato in apparenza solo meramente visibile di un evento sismico (monetario) sia meno precisa nella valutazione dell’epicentro di un terremoto; focalizzandosi solo sugli effetti superficiali della scossa (dinamica del moltiplicatore nel dato “positivo” di erogazione-trasmissione sul dato di spesa).
In questo potremmo definirla di tipologia “keynesiana”.
La valutazione friedmaniana è certamente più approfondita e punta come la Richter a valutare l’epicentro e la quantità del fenomeno monetario a livello di magnitudo, divenendo di fatto forma di misurazione più attendibile del fenomeno monetario di immissione sul mercato, rispetto a quella mercalliano-keynesiana.
Ovvio che tra la valutazione friedmaniana-Richter e quella keynesiano-Mercalli, vi sia la stessa differenza paragonabile agli effetti visibili e invisibili del fenomeno (ovvero “ciò che si vede e ciò che non si vede” per dirla alla Bastiat) sismico-monetario.
Il calcolo keynesiano si accontenta di verificare la presenza visibile sul dato singolo (nominale) di consumo e spesa immediata, costituendo nel nostro caso la disamina dell’effetto sugli edifici di un territorio (considerando però lo stato fisico di un singolo edificio quale metro di valutazione di tutta la portata del fenomeno, di carattere estensivo moltiplicandolo).
La visione friedmaniana analizza la dispersione-erogazione monetaria in termini più generali e complessi, in forma intensiva (esattamente come le onde sismiche diffuse in ogni dove a partire dall’epicentro), non solo in superficie quindi, ma verificando empiricamente anche il dato inflattivo generale del fenomeno seguente, sia a livello potenziale (la carica energetica della scossa persa in progressiva lontananza dall’epicentro) sia nella dispersione invisibile (per dirla sempre in ambito sismologico, le cosiddette scosse minori di assestamento successive alla scossa) costituenti la “sgradita sorpresa” in termini monetari di una crescita dei prezzi.
Quindi la visione keynesiana è considerazione ideale di un processo monetario basato sul mero dato visivo semplice (“stampa e spendi”); ma una volta distrutti o seriamente danneggiati con la prima scossa (erogazione monetaria) gli edifici, è difficile verificare con tale scala la Mercalli l’andamento di future scosse (crisi monetarie).
Detto ciò ritengo comunque (al di là del confronto tra le due teorie sull’analisi metodologica dell’indice monetario) la visione monetarista friedmaniana pur sempre e comunque insufficiente a fermare l’attuale deriva. In particolare riferendomi alla sua visione teorica della moneta, del suo funzionamento e dei soggetti ad essa legati.
Infatti per dirla sempre in termini geofisici, è vero che il monetarismo friedmaniano valuta l’intensità, ma tale intensità cumulativa comunque non viene necessariamente esplicata/applicata entro un attendibile modello di diffusione localizzato nel tempo del fenomeno “sismico”-monetario (ovvero non sappiamo quando il ciclo economico potrà durare o entrare nuovamente in crisi a causa della “scossa potenziale” della moneta immessa entro “l’elicottero friedmaniano”).
In pratica è come sapere il potenziale sismico di magnitudo di una scossa, senza sapere la profondità dell’evento e la sua estensione e durata; sarà una scossa monetaria rapida o lenta?. Veloce o costante?.
Il rischio allora è che entrambi i modelli si riducano di precisione e di attendibilità, divenendo di fatto complementari, nel mostrare l’indeterminazione del dato monetario a partire dalla sua causa originaria sfuggente.
Non è solo una questione di calcolo d’indice, ma è come accennato all’inizio un problema monetario, legato al signoraggio bancario e al ruolo della Banca centrale, in assenza di regole più ferree (tipo ripristino del gold standard), nella diffusione di denaro in termini ridistributivi.
Questa tende comunque a fomentare il fenomeno della bolla monetaria, quale causa nodale della scossa o shock “sismico” seguente, e appare come derivazione dell’interazione della “crosta terrestre” (la Banca centrale) sul “mantello convettivo” (la politica). Superficialmente possiamo rilevare gli effetti, ma le cause stanno da altre parti, all’interno del “sottosuolo economico”.
L’inflazione per concludere la si può ovviamente calcolare in termini friedmaniani aggregati al Pil per i motivi descritti sopra, ma di fatto ciò non la impedisce in origine come causa, né nel suo delinearsi quale fenomeno stesso inflazionistico (legato a doppio filo con la diffusione della moneta) come ben spiegato dalla scuola austriaca.
Quindi il monetarismo è valido a mio parere più come teoria di analisi metodologica del dato inflazionistico hic et nunc comunque presente, non come soluzione del problema-inflazione stesso alla radice (in questo sarebbe opportuno seguire gli insegnamenti della scuola austriaca, piuttosto che quelli di Friedman o del ben più nefasto Keynes).
Per fermare il rischio sismico in economia, è necessario indagare a fondo verso i nuclei del problema, e questi ovviamente si chiamano: signoraggio bancario delle banche centrali e rapporti tra banchieri centrali e la politica,
Ecco perchè sia in Europa che negli Usa non funziona la exit strategy; stiamo guardando alla rilevazione strumentale empirica di registrazione (più o meno precisa a seconda della scala di tolleranza adottata dalle statistiche dei “sismografi” economici) del fenomeno monetario (sismico), senza considerare veramente piuttosto il dato causale (il movimento geofisico del sistema bancario), senza studiare il meccanismo di formazione del problema (il ruolo della politica in esso), che sussiste e che precede il dato di analisi in divenire (l’inflazione per l’appunto), sul quale ha grande responsabilità l’interventismo statale (di cui sia Friedman che Keynes sono promotori, sebbene con sfumature e accentuazioni diverse).
Certo in Europa i tassi d’interesse sono all’1% piuttosto che allo 0,1% come con Bernanke in America; ma il problema resta legato al controllo della moneta da parte della politica sulle banche centrali in ambedue le sponde dell’Atlantico.
Un monopolio, non risolvibile semplicemente delegando ai singoli Stati e politici, tale forma di controllo in esclusiva, anzi non cambierebbe proprio nulla, come accennato giustamente nell’articolo citato di Giannino.
L’inflazione risulta infatti un fenomeno in costante crescita, verso la quale al di là della valutazione d’indice, sia la visione keynesiana che la soluzione friedmaniana tendono a livello procedurale a costituire ricette controproducenti verso tale problema (uscire da una “Grande depressione” adottando in termini integrali e costanti nel tempo tali ricette) è praticamente impossibile. Se non a fronte di un impoverimento della moneta e della ricchezza individuale e di sistema (a dire il vero, Friedman consiglia una ricetta di intervento eccezionale della Banca centrale, rapido e poco esteso nel tempo, rispetto a una ricetta eterna di interventismo statale da parte di Keynes, ma si sa che difficilmente un processo emergenziale iniziato viene terminato una volta terminata l’emergenza).
Paradossalmente l’analogia del risultato conseguito in solitaria dai due economisti a livello teorico non intacca minimamente il problema di fondo: l’intervento dello Stato e delle Banche centrali, (due entità contrapposte secondo Sumner); ma anzi lo alimenta, come ha ben descritto e denunciato nei suoi libri Rothbard.
Quindi le Banche centrali e i Governi degli Stati sarebbero in realtà complici e corresponsabili assieme dell’attuale crisi.
In conclusione, 4 linee orientative per ridurre il rischio di “terremoti monetari”, cercando anche di prevenirli (se non pevederli all’orizzonte):
• Sì all’analisi dell’indice monetario del Pil di Friedman in quanto tende ad essere più realistico e veritiero al dato economico, no alla sua ricetta di elicottero monetario d’intervento anti-depressione da parte della Banca centrale
• No all’indice di valutazione del Pil di Keyes, no alla sua visione di incremento del deficit e delle spese pubbliche da parte dello Stato
• Si alla visione austriaca, all’accusa nei confronti del problema monetario del monopolio delle banche centrali (cause quest’ultime scatenanti la crisi inflazionistica ed economico-monetaria dei mercati) legate al ruolo dei Governi
• Si alla rintroduzione del Gold Standard quale soluzione per combattere alla radice il problema dell’inflazione e quindi la svalutazione monetaria (dovuta proprio ai tassi bassi d’interesse e all’immissione di nuova cartamoneta sul mercato delle Banche centrali e dei governanti).
Errata corrige.
Per esser meglio precisi nell’uso dei termini scientifico-geofisici, la scala Mercalli misura l’epicentro fenomenico in superficie, mentre quella Richter l’ipocentro d’origine.
La dovuta precisazione sta in una imprecisione nel mancato uso del termine ipocentro, nell’articolo, in relazione alla metafora geofisica nel dato Richter-friedmaniano.
Ciò è stata una svista (dettata dalla normale considerazione d’uso a livello comunicativo quotidiano del termine “epicentro” in relazione anche con la Richter, nonostante come spiegato nell’articolo la localizzazione e distribuzione sismica delle scosse d’origine sia ben altra cosa dalla sua rilevazione di superficie) che comunque incide poco sul senso e significato del ragionamento.
Inoltre l’utilizzo del termine ipocentro, avrebbe potuto indurre erroneamente a considerare nel lettore che l’analisi “geofisico-friedmaniana” potesse essere di fatto soluzione-individuazione del sisma monetario.
Ovviamente come spiegato nell’articolo, così non è.
La sua rilevazione/registrazione statistica di potenzialità matematica del fenomeno non è comunque l’accertamento del meccanismo d’origine e del perchè ci sia la scossa.
Le ragioni come scritto nell’articolo sfuggono alla metodologia di valutazione d’indice (anche friedmaniana), la quale è semplicemente un piano consequenziale di valutazione macro a posteriori del dato inflattivo.