Poteva andar peggio. O potrebbe?
Ieri, l’Office of Management and Budget (OMB), diretto da Peter Orszag, ha pubblicato la Mid-Session Review, cioè l’aggiornamento semestrale delle previsioni economiche dell’Amministrazione, oltre alle stime di bilancio. Dai dati si evidenzia un deficit minore del previsto per il 2009, ma maggiore negli anni di crescita economica consolidata. Riguardo il 2009, l’OMB ritiene vi sia un miglioramento di 262 miliardi di dollari, in conseguenza di minori oneri sostenuti dalla FDIC. Ciò ridimensionerebbe la stima del rapporto deficit/Pil di quest’anno dal 12,9 all’11,2 per cento. A noi risulta difficile immaginare minori oneri a carico della FDIC proprio nel momento in cui, ogni venerdì sera, la medesima prende il controllo di quattro o cinque banche dissestate, ma tant’è.
Riguardo il tema della persistenza del deficit anche negli anni di crescita consolidata (al 2,5 per cento reale di lungo termine), l’Amministrazione ritiene di aver operato nei mesi scorsi stime troppo ottimistiche, conseguenza dell’eredità di una recessione ben più profonda di quanto previsto in febbraio. Programmi di spesa automatici come i food stamps e l’assicurazione disoccupazione sono quindi cresciuti oltre le attese, mentre il gettito fiscale è stato inferiore al previsto. In conseguenza di ciò (e non dello stimolo in senso stretto, si badi bene), il deficit cumulativo previsto nei prossimi dieci anni si accresce di 2000 miliardi di dollari (in linea con la stima di giugno), anche per effetto indiretto della maggior spesa per interessi sullo stock di debito che il deficit alimenta. Nel 2019 il saldo primario, cioè la differenza tra la spesa pubblica non destinata ad interessi e le entrate, sarà pari allo 0,6 per cento del Pil, mentre la spesa per interessi inciderà sul Pil per il 3,4 per cento. Ciò vuol dire che nel 2019, anno di crescita consolidata, il rapporto deficit-Pil sarà pari ad un problematico 4 per cento. Questo è il vero punto debole della politica fiscale dell’Amministrazione Obama, e su questo occorrerà lavorare per migliorare, ottenendo un avanzo primario. L’Amministrazione fa poi notare che se negli anni di George W. Bush fosse stata seguita la pratica del Pay As You Go, cioè l’obbligo di copertura di ogni nuova spesa o taglio d’imposta, nei prossimi dieci anni lo stock di debito sarebbe stato inferiore di 5000 miliardi di dollari.
In breve, c’è un atteso (e non ingiustificato) fingerpointing verso l’Amministrazione Bush, un ottimismo al limite dell’illusionismo sul saldo di bilancio del 2009 (anche se un rimbalzo del Pil nel terzo e, soprattutto, nel quarto trimestre potrebbero dare una mano ai conti pubblici), e la necessità di usare misure più rigorose negli anni di ritorno alla crescita, per iniziare a piegare la traiettoria del rapporto debito-Pil che, intorno al 75 per cento, resterebbe tuttavia su livelli migliori rispetto a quelli odierni della maggioranza dei paesi di Eurolandia. Visto quanto è accaduto, non sembra esattamente l’esito di un’agenda socialista, anche se la perdurante assenza di riforme della regolazione, l’aver finora ceduto su tutta la linea ai banksters ed una reflazione che ha in sé il virus della bolla potrebbero finire col dannare Barack Obama. E ipotizzando di capire quale sarà il modello di sviluppo globale per i prossimi dieci anni, s’intende, visto che il paradigma del consumatore compulsivo americano dopato dal vendor financing cinese pare superato dagli eventi.
Interessante.
Spero che lei abbia ragione quando scrive “visto che il paradigma del consumatore compulsivo americano dopato dal vendor financing cinese pare superato dagli eventi.”
Io, ancora, non l’ho notato, ma lei sa molto più di me, senza alcun dubbio. Vorrei crederle.
La trasparenza informativa dell’economia USA è una risorsa di dati per gli economisti d’inestimabile valore. Tuttavia è sempre un rischio derivare valutazioni da modelli e sintesi.
Intendo dire che esiste sempre un’asimmetria di consapevolezza tra la conoscenza diretta frutto di esperienza e la derivazione per assunti di cose meno interagenti con lo spirito critico dell’analista.
Possiamo andare molto in profondità su cose che conosciamo perché molto vicine e necessariamente essere meno profondi con cose a noi semplicemente più distanti nel tempo e nello spazio.
Le allucinazioni arrivano quando si confrontano dati e si generano valutazioni contaminate da gradi di consapevolezza differenti.
Le contaminazioni possono essere strumentali, oppure dovute a superficialità, oppure addirittura assolutamente non intenzionali.
Un analista non può di certo avere la speranza di essere pienamente obiettivo ed a meno che non abbia doti di bilocazione o plurilocazione continua.
Il limite è dato anche dal tempo -per ragioni di produttività personale – che l’analista ha a disposizione per esternare delle proposizioni di qualche significato.
Quello che mi domando è: Questa mole di dati sull’economia USA sono rappresentativi o fuorvianti perché troppo pregni di tecnica statistica? La mole impressiona c’è un report per tutto.
E’ molto agevole tirare le somme, ma saranno rappresentative anche delle tensioni interne e dell’evoluzione delle distanze tra gli stati americani formanti l’Unione?
La tendenza ad analizzare gli Stati Uniti come se fossero una realtà omogenea è –secondo me – piuttosto semplicistica. Per ragioni di politica estera gli stati USA hanno deciso di presentarsi come entità indubbiamente univoca, ma questo può valere anche in economia?
In Europa siamo avvantaggiati perché semplicemente non ci si astrae troppo dalle realtà nazionali ed addirittura regionali. L’UE si è dimostrata finora una convenzione mercatistica intergovernativa che ha comunque contribuito all’avanzamento del benessere, ma risulta ancora profondamente fondata sull’imprudenza delle ambizioni e sulla eccessiva prudenza delle azioni.
In Europa siamo pronti ad analisi approfondite regione per regione e stato per stato, ma non si persegue o mediamente non possediamo medesima sensibilità di come evolvono le cose negli stati occidentali, centrali od orientali, del nord e nel sud degli Usa.
Questa visione per sommi capi può nascondere dinamiche destabilizzanti che possono rompere il giocattolo GDP o deficit/Pil o quant’altro. Gli Stati Uniti, per quel che mi risulta, non sono meno centralisti in alcuni settori dell’economia di altri stati, esempi di protezionismo verso l’esterno abbondano, insomma anche il governo federale fa quel che può verso l’interno e quello che gli conviene verso l’esterno. Con buona pace degli analisti quanto potrà reggere l’equilibrio interno USA?.
Saluti.
mario fuoricasa
Molto semplicemente, basta utilizzare i modelli come “indicatori di direzione”, cioè a componente qualitativa prevalente, pur se derivati da precise formulazioni quantitative, e non come leggi fisiche, improntate al determinismo. Non a caso tutti i modelli vengono periodicamente fatti “girare” per verificare i cambiamenti di tendenza. Credo che l’errore più comune fatto da non specialisti (giornalisti, politici, lettori) sia proprio quello di pensare che la modellizzazione economica debba produrre valori puntuali, meccanicisticamente determinati. Non è così, non lo è mai stato, non lo sarà mai.