19
Ott
2009

Poste. Così fan tutto (e non fanno fare ai concorrenti)

Le Poste entrano come socio promotore nella Banca del mezzogiorno di Giulio Tremonti, forse si trasformeranno in banca esse stesse, potrebbero gestire in futuro lotterie istantanee e persino entrare nel capitale di Telecom al posto della spagnola Telefonica.
In queste ultime settimane abbiano sentito parlare delle Poste in relazione a una molteplicità di settori imprenditoriali, escluso tuttavia quello da cui prendono il nome: la posta intesa come recapito di corrispondenze e altri oggetti postali. Ci ha pensato oggi l’Antitrust a porre rimedio a questa mancanza, comunicando che nella riunione del 15 ottobre scorso ha deciso di avviare un’istruttoria per verificare se l’azienda abbia abusato della sua posizione dominante proprio nel mercato del recapito, ostacolando i concorrenti nell’ormai ampio segmento dei servizi (solo) legalmente liberalizzati.
Le Poste, in particolare, avrebbero adottato comportamenti ostruzionistici cercando di ostacolare l’offerta da parte dei concorrenti di servizi innovativi quali le consegne certificate entro data e ora certa. Avrebbero infatti proposto servizi similari ai principali clienti dei loro concorrenti proponendo prezzi estremamente bassi, sostenibili, secondo i ricorrenti all’Agcm, solo grazie alla rete integrata di Poste e all’utilizzo di sovvenzioni incrociate da altri prodotti.
Anche nel caso dell’offerta alla pubblica amministrazione e ad altri enti di servizi postali liberalizzati Poste avrebbe messo in atto una condotta di ostacolo alla concorrenza di tipo escludente, presentando alle gare ad evidenza pubblica offerte sostenibili solo grazie alla sua posizione dominante in altri mercati e alla utilizzazione della rete integrata. Secondo l’Autorità garante della concorrenza e del mercato le condotte abusive potrebbero, se confermate dall’istruttoria, rappresentare una strategia unitaria di tipo escludente nei confronti dei concorrenti.
Che le Poste facciano tutto e vogliano fare ancora di più già lo sapevamo; che nell’area della loro ‘core mission’, anche se non più da molto tempo core business, facciano molto poco ce lo ha ribadito un recentissimo studio dell’Unione Europea dal quale si evince (Fig. 3-2 pag. 26) che l’Italia è agli ultimi posti in Europa per domanda di recapiti postali (100 pezzi a testa in media all’anno contro 250-350 degli altri maggiori paesi); che non vogliano che altri entrino nel mercato del recapito ce lo ha ricordato oggi l’antitrust ma è ampiamente nella logica della ‘liberalizzazione’ all’italiana dello specifico mercato, avviata nel 1999 dal governo D’Alema e condotta bipartisanamente nel decennio all’insegna del più ampio protezionismo dell’azienda di stato.
Nel caso della competizione postale il governo è nello stesso tempo il padrone della squadra più forte (Poste Italiane) e arbitro della partita attraverso il regolatore ministeriale. Inutile precisare che l’arbitro gioca per la squadra più forte, presidiandone la difesa. Altrove in Europa l’arbitro è invece un’Autorità indipendente di regolazione, non subordinata ai governi, e il padrone della squadra più forte incomincia in qualche caso a non essere più lo stato (Olanda) o a non esserlo più da solo (Germania, Belgio, Danimarca).
Nel vecchio blog ‘Liberalizzazioni’, che ha preceduto Chicago-blog avevo definito liberalizzazione (all’italiana) come: “sostituzione dei divieti normativi che impediscono il libero accesso ad un mercato con ostacoli di altra natura ed equivalente efficacia”. Il mercato postale è un esempio da manuale. Quando l’Italia recepì nel 1999 la prima direttiva europea di settore il governo dell’epoca utilizzò in maniera impropria una direttiva liberalizzatrice per ampliare l’area del monopolio.
Sino ad allora il mercato postale italiano risultava, dal punto di vista legislativo, uno dei più liberalizzati d’Europa dato che la riserva riguardava solo le corrispondenze a carattere personale, escludendo tutte le tipologie di corrispondenze commerciali (come fatture e direct mail). Il monopolio, inoltre, era posto in favore dello stato e un sistema di concessioni, esistente dai tempi della prima guerra mondiale, aveva creato spazio per numerose agenzie di recapito private, operanti nel perimetro comunale delle principali città. Sino al 1999 un ristretto monopolio legale conviveva con un certo pluralismo degli operatori e con un po’ di concorrenza nei segmenti liberalizzati.
Poiché il nostro paese era più virtuoso della media europea, col recepimento della prima direttiva si scelse tuttavia di ridurre il nostro livello di virtù al minimo richiesto, in modo tale da permettere all’operatore pubblico di rimettere in sesto i bilanci. Il monopolio fu pertanto ampliato sino al massimo consentito dalla direttiva europea e posto direttamente in favore di Poste Italiane; gli altri operatori furono invece privati della concessione e divennero, per sopravvivere e non mandare a casa i loro dipendenti, fornitori di servizi per l’azienda pubblica. Dal 2000 ad oggi non vi è più stato né pluralismo degli operatori né concorrenza, nonostante in due tappe successive la seconda direttiva postale abbia legalmente riaperto segmenti rilevanti del mercato, corrispondenti a circa il 50% del totale (se valutato sulla base delle quantità). Nel nostro paese, infatti, non vi erano più competitori in grado di sfruttare le nuove opportunità dato che una fetta consistente dei ricavi dei piccoli operatori esistenti dipendeva dalle commesse di Poste Italiane.
Grazie al protezionismo pubblico Poste Italiane ha ampiamente raggiunto l’obiettivo del riequilibrio del bilancio e da sette anni realizza profitti crescenti. Si è tuttavia trasformata da azienda di recapito in un grande gruppo bancario e assicurativo, ricavando da queste tipologie di business due terzi dei ricavi complessivi. Essa rappresenta un caso unico nel panorama delle aziende postali europee poiché è la sola ad aver posto in secondo piano la mission tradizionale del recapito.
In questi anni il mercato postale italiano, posto al servizio dell’azienda pubblica, ha tuttavia continuato a soffrire di scarso sviluppo: nonostante le tariffe più alte d’Europa la spesa annua pro capite per servizi postali è in Italia meno di un terzo rispetto ai casi europei più evoluti; il settore, inoltre, contribuisce al Pil e all’occupazione solo per una frazione ridotta rispetto agli altri paesi di riferimento.

Possiamo permetterci di continuare a non avere un servizio di recapito di livello europeo? Possiamo continuare a permettere a Poste Italiane, di proprietà dei contribuenti, di ostacolare i competitori in modo che i contribuenti-consumatori non possano scegliere il loro fornitore di recapiti e debbano continuare a subire un monopolista inefficiente?

Che meriti ha Poste Italiane per figurare tra i padri fondatori della nuova Banca del mezzogiorno e fare concorrenza in casa altrui (le banche) se non accetta la concorrenza in casa propria?

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