Post hoc, propter hoc? Ovvero, sui farmaci liberalizzati
Sul “Corriere della Sera” di oggi un ampio servizio di Alessandra Mangiarotti prende spunto da un’indagine di Altroconsumo per fare il punto sugli effetti della (parziale) liberalizzazione della commercializzazione dei farmaci “da tavolo”, a tre anni dal decreto Bersani.
Fin dal titolo (“I farmaci, la liberalizzazione e i prezzi aumentati dell’8,7%”), l’impressione è che si stesse meglio quando si stava peggio. I prezzi dei prodotti farmaceutici non soltanto sono molto diversi da un posto all’altro (e questo non dovrebbe stupire nessuno), ma nell’ultimo anno sono pure cresciuti: del 4,8% delle farmacie, dell’8,7% nelle parafarmacie e del 6,1% nella grande distribuzione.
Leggendo fino in fondo l’articolo, e dopo aver resistito (ma ci vuole una solida “fede” nel mercato!) all’idea che prezzi controllati siano meglio che prezzi liberalizzati, si capisce il perché di quell’aumento, dato che con ogni probabilità – come afferma Laura Filippucci di Altroconsumo – “tre anni di varie imposizioni di legge avevano bloccato la crescita delle tariffe nel settore farmaceutico. E come era prevedibile, tolto il tappo, i prezzi hanno fatto il botto: gli aumenti sono nettamente superiori all’inflazione”. Quindi non è stata la liberalizzazione a far crescere i prezzi ed anzi è legittimo ritenere che senza liberalizzazione i prezzi sarebbero cresciuti anche di più.
Allora prendiamo l’essenziale: i farmaci venduti nei supermercati “costano il 17% in meno rispetto alle farmacie e il 13% rispetto alle parafarmacie” (è sempre Filippucci che parla). Questo è il punto. Poi certamente la liberalizzazione è stata molto parziale – da vari punti di vista – e va quindi rapidamente completata, elevando il livello della competizione. Si evitino, però, ragionamenti capziosi (del genere “post hoc, propter hoc”) che vorrebbero mettere sul banco degli imputati una scelta come quella di Bersani, che ha comunque aperto alla concorrenza e che quindi si era mossa nella direzione giusta.
Senza dimenticare una cosa: liberalizzare è giusto perché restituisce ai legittimi proprietari il controllo dei loro beni (questione giuridica) e perché restituisce alla logica del mercato la gestione efficace di una scarsità (questione economica). Detto questo, non sempre liberalizzare deve condurre ad una riduzione dei prezzi, e in particolare questo non avviene quando la liberalizzazione interviene in un settore con prezzi tenuti artificiosamente bassi: fu questo il caso, ad esempio, delle economie socialiste dell’Est europeo, non a caso caratterizzate per lungo tempo da una strutturale penuria di ogni prodotto.
Bersani si è mosso nella direzione giusta, ma in modo decisamente insufficiente.
La sua riforma permette di vendere farmaci per i quali non è richiesta la ricetta medica, ma solo se sono presenti farmacisti laureali e iscritti all’albo. Non si capisce perchè queste strutture non possano vendere anche i farmaci con obbligo di ricetta e come mai ancora oggi un farmacista regolarmente laureato e iscritto all’albo non possa molto semplicemente aprire una farmacia.
La questione dell’abolizione degli ordini è giustissima. Io direi anzi che contribuirebbe a ridurre i prezzi dei prodotti farmaceutici nel lungo periodo, scongiurando il pericolo dei cartelli, che permane anche con i farmaci da ricetta. Inoltre non capisco in linea di principio perchè nei supermercati, come la ricetta viene controllata dal farmacista può essere controllata dal commesso. O forse i membri delle corporazioni ci vedono meglio di noi terrestri?
solo un inciso: i guadagni non sono assimilabili alla distruzione della ricchezza. Se puntiamo solo ad abbasssare il prezzo di vendita i salari mantengono il loro valore, ma non possono essere aumentati. Questo rende felice la BCE che pensa all’inflazione, ma non da agli occidentali i mezzi per comprare merci prodotte da loro. Al contrario si favorisce a deflazione ottenuta importando merci a basso costo. Anche se queste hanno una durata minore e quindi il loro rapporto tra costi benefici è, probabilmante più basso
Sì sì, d’accordo. Ma una cosa sono le liberalizzazioni e le corporazioni, ed un’altra la grande distribuzione verso la quale, specie se tinta di rosso, le giunte gestite dagli amici di Brsani nutrono un affetto particolare. Nel senso che cittadine con dieci abitanti rischiano di trovarsi dodici Ipercoop aperti, con tanto di nuova linea di autobus messa sù in due minuti (e ovviamente pagata da Pantalone..), licenze edilizie a gogò quando se devi mettere un lucernaio a casa tua non ti danno il permesso neanche a pregare in greco antico, e via così.
Tutta questa filippica per dire che non penso proprio che l’interesse di Bersani fosse quello di liberarci dalle corporazioni, ma quello di favorire le cooperative amiche sue.
Perchè una cosa è dare la possibilità a più soggetti di aprire una farmacia, altra è quella di ammazzare la piccola distribuzione con la scusa che negli ipermercati, dove tra parentesi la qualità della merce spesso non eccelle, si spende meno. E soprattutto, quando questa crescita esponenziale dei centri di vendita della grande distribuzione non è una richiesta del mercato, ma una scelta calata e imposta dall’alto.
Caro Bill,
La Lombardia detiene un vero record per la Grande Distribuzione e non l’Emilia Romagna.
Possibilissimo, è una tendenza generale: ma se i farmacisti sono una corporazione, la grande distribuzione è una lobby. E che lo strozzamento della piccola distribuzione comporti sempre e comunque un vantaggio per il consumatore è tutto da dimostrare: ad esempio, vi sono interi rioni dove non si trova un fornaio, un macellaio o una drogheria. Ora, se qualcuno mi dimostra che dover prendere l’auto, infilarsi nel traffico, trovare un parcheggio e perdere un’ora per comprare un pezzo di pane è un grande vantaggio, perchè risparmio 20 cent, prometto di ricredermi..