Porti: nell’indifferenza generale, la copia esatta del caos-trivelle
Quando l’Italia prova a riformarsi, spesso ricade su se stessa e si scopre irriformabile. Sta capitando non solo sulle trivelle e l’energia. Anche sulla riforma dei porti. Per la stessa ragione: scontro Stato-Regioni, e lotte interne al Pd. Proviamo almeno sui porti a lanciare un appello. Cerchiamo di evitare il caos che sembra profilarsi, di fronte al quale gli operatori mondiali del traffico merci e passeggeri ci prenderebbero per pazzi.
Per ricordare l’importanza dei porti per l’economia italiana bastano poche cifre. Nel 2015 solo attraverso i 12 maggiori scali sono passate 263 milioni di tonnellate di merci, con un aumento del 3,7% sul 2014, e porti come Livorno e Venezia hanno registrato crescite del 15%. Il traffico container ha perso uno 0,5% sul 2014 grazie alla picchiata che continua di Gioa Tauro e del suo modello di tran-shipment con un meno 16%, ma altri scali sono cresciuti del 32% come Livorno, del 23% Venezia, del 12% Salerno.
Dopo anni di vani tentativi, con il ministro Delrio era finalmente stata varata una riforma dei porti, attraverso un decreto attuativo della riforma PA Madia, approvato a gennaio scorso. Dalle 24 Autorità portuali esistenti di cui 18 attualmente commissariate, si sarebbe passati a un sistema di 15 Autorità di Sistema, accorpando e gestendo complessivamente 54 maggiori scali italiani. Alla guida delle Autorità di Sistema strutture leggere: un presidente, un segretario generale, un comitato di gestione e un collegio dei revisori. Con emolumenti e gettoni di presenza fissati dal ministero delle Infrastrutture. Semplificazioni: uno sportello unico amministrativo, uno sportello unico doganale per ogni sistema portuale invece delle singole emanazioni dell’Agenzia delle Dogane, procedure rapide per la redazione e approvazione dei piani regolatori portuali.
Senonché, l’identificazione governativa delle Autorità di Sistema non è piaciuta alle Regioni, forti intanto della pronuncia della Corte costituzionale che a dicembre già aveva smontato il Piano della logistica nazionale in quanto non concordato con le Regioni, alle quali l’attuale titolo V° della Costituzione attribuisce competenza concorrente insieme allo Stato (in attesa che passi la riforma sottoposta a referendum nel prossimo autunno). Ergo alcuni presidenti di Regione hanno subito chiarito al governo che poteva levarselo dalla testa, di individuare lui i presidenti delle Autorità di sistema accorpando le autorità portuali di vecchio rito. Non in tutte le Regioni a protesta è stata di pari tenore. Ma tra tutti in Campania De Luca è stato molto netto, poiché l’Autorità di sistema è incardinata su Napoli e assorbirebbe quella di Salerno, che è scalo in crescita e più efficiente. Proteste analoghe da Liguria, Sicilia, Sardegna.
Ed eccoci al punto. La settimana scorsa il tema è stato affrontato in conferenza Stato-Regioni. E il governo si è piegato a un compromesso, visto che la riforma costituzionale è di là da venire. Ancora una volta, decisiva la posizione della Campania. L’intesa prevede che il decreto legislativo di riforma preveda, su richiesta motivata dei Presidenti delle Regioni al presidente del Consiglio, la proroga fino a tre anni della gestione autonoma delle Autorità Portuali attuali, già costituite ai sensi della legge vigente dal 1994. E’ un compromesso singolare. In parole povere, nei prossimi tre anni ogni Regione potrebbe trovarsi con un sistema portuale a geometria variabile, con tre diverse forme giuridiche di amministrazione dei porti.
Proviamo a spiegarlo. Facendo una ricognizione di ciò che si apprende informalmente dalle diverse Regioni, potrebbe andar così. La Liguria sicuramente chiederà al premier la moratoria. Toti valuterà se tenere Genova sotto commissario, com’è attualmente, se procedere a dotarla della nuova governance di Autorità portuale di sistema, ma di sicuro difenderà per Savona presidente e comitato portuale attuale, senza accorparla a Genova. In Toscana, il governatore Rossi non dovrebbe aver problemi a costituire l’Autorità di Sistema su Livorno accorpando Piombino, ma potrebbe anche tenere i commissari attuali. Difficile invece immaginare ceda al ligure Toti Carrara, che dovrebbe accorparsi sotto l’Autorità di Sistema a La Spezia. Il Lazio ha meno problemi: l’Autorità di Sistema incentrata su Civitavecchia è quella di fatto più avanzata accorpando – dicono – non solo gli scali laziali, ma anche quelli marchigiani, che preferiscono all’accorpamento adriatico l’opzione laziale di comune corridoio logistico.
Ed eccoci in Campania. Di sicuro De Luca non vuole l’accorpamento immediato di Salerno e del suo presidente Annunziata sotto l’Autorità di Sistema incardinata a Napoli, oggi commissariata (da oltre 4 anni, con perdita di fondi europei utilizzabili e mille ritardi sulle opere). Quindi, chiesta la deroga triennale, come in Liguria De Luca potrebbe scegliere di tenere il commissario a Napoli, oppure di costituire a Napoli un’Autorità di Sistema sulla carta, alla quale però Salerno non sarebbe accorpata restando con l’attuale comitato portuale.
In Calabria, l’accorpamento Gioia Tauro –Messina è problematico, perché di sicuro il governatore siciliano Crocetta chiederà la moratoria, non morendo dalla voglia di accorpare Trapani su Palermo e Catania su Augusta. Idem dicasi per la Sardegna, che porrebbe chiedere la moratoria dotando Cagliari di Autorità di Sistema sulla carta, ma tenendone fuori Olbia per tre anni. Di sicuro la Puglia chiederà la moratoria a propria volta, anch’essa giocando tra vecchie e nuove forme giuridiche tra Taranto, Bari, Brindisi e Manfredonia. Mentre sul resto del versante Adriatico, non dovrebbero chiederla né le Marche incardinate su Ancona, né il Friuli su Trieste, né l’Emilia Romagna su Ravenna.
Come si vede, convivrebbero dunque commissari, nuove Autorità snelle di Sistema ma quasi mai davvero di sistema, e vecchi presidenti e comitati portuali a composizione diversa dai precedenti. I primi possono operare per le opere portuali ma non nei piani urbani retrostanti, le seconde non avrebbero competenze amministrative unificate, le terze di vecchio rito resterebbero invece paradossalmente le uniche pienamente operative (nella segreta speranza che tra tre anni, a nuovo governo, e magari a referendum costituzionale che non approva il nuovo testo sulle competenze strategiche nazionali, tutto si ridiscuta..). L’Agenzia delle Entrate e quella delle Dogane dovrebbero adattare la propria organizzazione alle diverse scelte di ogni Regione. Compagnie internazionali commerciali e terminalisti si troverebbero a fare i conti con tre regimi diversi. E tenete presente che la riforma Delrio è un passo avanti perché ha organi snelli e con poteri più efficaci sulla carta, ma aveva e ha anche il difetto sostanziale di tagliare la rappresentanza a tutti i privati che operano nei porti, riservando le nuove Autorità a nomine solo politiche (in piena coerenza allo schema seguito sin qui dal governo Renzi, che protesta contro i poteri forti ahah..).
Chiunque, anche non del settore, dopo una simile descrizione capisce che è una frittata indigeribile, la prova che in Italia i veti portano solo a sbattere. Per di più, come su energia e trivelle, sono quasi tutti problemi e veti che nascono in un solo partito: il Pd.
Ed eccoci all’appello finale. Poiché in ogni caso i presidenti di Regione si sono assicurati il diritto pieno che le nuove nomine dei presidenti delle Autorità di Sistema saranno fatte di piena intesa col governo, non hanno più nulla da temere su nomine imposte da palazzo Chigi. Ma allora, per favore, si mettano una mano sulla coscienza. Evitino all’Italia tre anni con porti di natura trinitaria. Tentino un altro confronto col governo per darsi criteri uniformi. Altrimenti ci sarà una sola conseguenza. Forse crederanno di tenere in vita presidenti loro amici ancora per un po’. Ma di sicuro faranno perdere traffico ai porti italiani. Perché gli operatori internazionali ridono a crepapelle, appena spiegate loro la soluzione che sembra profilarsi. Un solo esempio? A New York un’unica Autorità gestisce il porto, e l’aeroporto John Fitzgerald Kennedy: e scusate se è poco.
Un problema che si aggiunge a quelli illustrati da Oscar Giannino è il fatto che in Italia, chi non è addetto ai lavori o agli intrallazzi politici, non ha nessuna voglia di provare a capire la portata di questo problema, e non c’è pressione pubblica per arrivare a una soluzione accettabile e funzionale.
L’informazione tace anche questa volta?
Guardate … per quanto concerne i porti, il problema è che lo stato ha lasciato gran parte di essi in mano alle mafie e gruppetti di potere locale conniventi coi mafiosi:
http://www.linkiesta.it/it/article/2013/04/27/appalti-e-cantieri-la-mafia-inquina-i-porti-del-nord/13281/
http://www.ravennaedintorni.it/ravenna-notizie/33647/armi-e-droga-ecco-i-soldi-veridal-porto-i-traffici-della-mafia.html
http://www.laspia.it/ndrangheta-ed-suo-regno-porto-gioia-tauro-tutti-i-nomi-dai-pesce-brandimarte/
http://www.verdi.it/notizieverdi/item/14532-porti-pellegrino-camorra-condiziona-attivita-scalo-napoli.html
Siamo una striscia di terra a “bagno nell’acqua” … vi siete mai chiesti perchè per portare un container da sud a nord si preferisce farlo portare da un autotrasportatore con il suo trattore stradale ,che deve fare la salerno-reggiocalabria o il tratto appenninico dell’A1 , magari in pieno inverno con tutti i rischi del caso (anche di incidenti), e non caricare comodamente il tutto su una nave che poi attracca a Genova o a Porto Marghera e poi da li far proseguire via terra?
Anche nel caso di caricare tutto il camion e non solo il container, sarebbe comunque più economico e sicuro. Eppure non si fa’ … Provate a rimanere voi una nottata col camion al porto di Napoli ad aspettare l’imbarco, troverete la risposta!
Signori miei, il localismo regionale che non vuole mollare l’ennesimo feudo fatto di posti di stipendio parapubblici e spesa pubblica in-house nei porti è, per quanto deleterio, solamente uno degli aspetti negativi e non è neanche il maggiore.
Con i porti Italiani c’è un problema di ripristino del minimo valore di legalità e civiltà, per poter cominciare a parlare di fare business secondo logiche di mercato.
Però possiamo dire che almeno questo governo ci sta provando e in modo serio (non tanto per…)? Possiamo dire che i modelli di governance proposti da questo governo vanno nella direzione di scoperchiare e non di affossare come per i precedenti?
Possiamo negare che i problemi che sta incontrando sono dovuti ad accumuli del non fare?
Ieri Cantone ha fatto intendere che sta tirando fuori alcune note pratiche della sanità. Siamo così prevenuti da non essere sicuri che la volontà del governo non sia quella di scoperchiare anche quelle dei porti?
Vogliamo anche mostrarci così sfacciatamente ancorati sul piano delle antipatie personali o partitiche e non su quello dei contenuti negando che quando gli scandali vengono scoperchiati i giudici emettono poche sentenze e spesso non tanto dure???
EDDAIIIIIII
caro Giuseppe, io ho dato atto a Delrio di averci provato, e del fatto che la resistenza viene dalle Regioni, a pasticcio della riforma costituzionale non ancora approvata però di cui il governo doveva tenere conto… quanto a Roberto ed Emiliano, non posso dire altro che purtroppo sono d’accordo con entrambi…
Caro Oscar,
Infatti sono anche io daccordo con Emiliano e Roberto, e con gran parte del tuo articolo. L’unica nota negativa che avevo colto era l’addossare troppe colpe al governo. Mi fai notare che il tuo ragionamento deriva dal ritardo della riforma costituzionale. Maè anche vero che questo governo, con i numeri che ha in parlamento, sta facendo miracoli secondo me. Letta, che sarà anche una brava persona, si era fermato molto prima (con gli stessi numeri). Mettici pure questi “scandali” (meglio definirli polemiche in confronto ad altri tipi di scandali. “Chi ha detto L’Aquila?”) che ogni tanto escono fuori sui ministri volti a destabilizzare ulteriormente (e quindi a ritardarne i lavori) il governo direi che i problemi vanno cercati di più altrove.
Cari saluti,
Giuseppe