Politicamente corretto 4.0: motivi storici e contromosse culturali
Dopo le repliche di Raimondo Cubeddu (Istituto Bruno Leoni) e Ambrogio Santambrogio (Università di Perugia) al saggio di Sergio Belardinelli (Università di Bologna) su cancel culture e politicamente corretto pubblicato su Lisander, il substack nato dalla collaborazione tra IBL e la rivista Tempi, è ora intervenuto sul tema Giovanni Maddalena (Università del Molise)
Il discorso sul politicamente corretto esigerebbe molte specificazioni, anche per individuarne le comprensibili richieste di giustizia sociale. Tuttavia, per semplificare, vale forse la pena riprendere la classificazione di Mastrocola-Ricolfi (2021) che ne enucleano 6 sotto-tipologie: 1) suscettibilità estrema; 2) misgendering, l’errore di attribuzione di genere a cui si vuole rimediare con schwa, asterischi, pronomi ecc.; 3) la cancel culture che abbatte i monumenti; 4) la discriminazione contro chi non partecipa a una campagna ideologica; 5) la politica dell’identità e dell’appropriazione, ossia il ritenere che solo uno che appartiene a una minoranza può dire qualcosa di quella minoranza; 6) la discriminazione della maggioranza per riequilibrare le ingiustizie subite dalle minoranze.
In tutti questi tipi c’è una versione comprensibile e una richiesta adeguata di giustizia: in fondo è giusto ribellarsi ad abusi fisici e psicologici, sentire rispettata la propria identità, non volere la monumentalizzazione fisica o morale di persone che fanno il male, come si vede dal fatto che non vogliamo statue di Mussolini e non vorremmo quelle di Hitler o Stalin, schierarsi quando si crede in qualcosa e provare a convincerne gli altri, parlare solo quando si è davvero competenti di qualcosa, ammettere che non sempre la maggioranza ha ragione.
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