Poco ma subito
Poco ma subito. Questo è il senso che sembrano connotare le disposizioni sui tagli agli enti locali contenute nel maxiemendamento alla finanziaria presentato ieri in tarda serata dal relatore, l’on. Corsaro, in Commissione Bilancio.
Un primo tentativo era stato effettuato dal Governo, proponendo una riforma degli enti locali che prevedeva la riduzione dei componenti di giunte e consigli e la soppressione di alcune figure e soggetti (consorzi di funzioni, difensore civico comunale, circoscrizioni di decentramento amministrativo..). L’effetto finanziario dell’intervento, in termini di economie di spesa, era incontestabile, ma l’emendamento appariva nella sua formulazione di carattere prevalentemente ordinamentale e pertanto, non ammissibile all’esame della legge finanziaria.
Il Governo aveva corretto il tiro ponendo l’accento sul taglio ai finanziamenti degli enti locali, che avrebbero potuto sostenere le minori entrate ricorrendo alle medesime misure sopra esposte.
Il maxiemendamento, onde evitare buchi di bilancio e spericolate operazioni di indebitamento da parte di comuni e province irresponsabili, prevede tagli ai trasferimenti e l’obbligo per comuni e province di farvi fronte riducendo la composizione dei propri organi (i consigli comunali saranno ridotti del 20%) e mediante la soppressione della figura del direttore generale, delle circoscrizioni di decentramento amministrativo, dei difensori civici e dei consorzi di funzioni.
La ghigliottina scatta per ciascun ente locale alla cessazione di un mandato, quindi gli effetti finanziari si distribuiranno nel tempo. Sono previsti risparmi per 13 milioni di euro nel 2010, 91 milioni di euro nel 2011 e 125 milioni di euro nel 2012. Si aggiungano le risorse liberate dalla cessazione dei trasferimenti alle comunità montane, che per in parte (il 30%) continueranno a essere corrisposti direttamente ai comuni montani.
Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. La scelta di agganciare la riforma degli enti locali alla finanziaria è senz’altro efficace e permette di produrre effetti a breve e medio termine. Il normale iter parlamentare sarebbe troppo lungo e incontrerebbe resistenze che ne diluirebbe significativamente il contenuto.
Ma che ne è stato delle altre misure previste dal disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri del 19 novembre? Il testo licenziato dal Governo prevedeva una riforma più organica degli enti locali, tagli più incisivi (sempre nell’arte del possibile, data l’impossibilità di svuotare dal giorno alla notte gli uffici pubblici con un colpo di penna) e soprattutto la razionalizzazione delle province.
Per ridisegnare le province il testo prevedeva (o prevede?) una delega al Governo, molto vaga nei contenuti, incaricato di fissare i requisiti minimi in termini di area e popolazione per la sopravvivenza delle province. Un intervento legislativo assolutamente necessario, quanto meno per arrestare l’eccessiva proliferazione di province.
Il rischio è che i tagli in finanziaria, per altro contenuti rispetto all’impianto precedentemente previsto, una volta approvati, inducano Governo e maggioranza a desistere dal perseguire la via tracciata lo scorso 19 novembre. Una via che anzi andrebbe percorsa sino in fondo e con maggior convinzione, per invertire la tendenza feudale alla frammentazione politico-amministrativa del nostro sistema di enti locali, i cui costi sono stati troppo spesso sottovalutati.