Più patrimonio alle imprese: ho perso
Giorni fa su questo blog vi ho accennato all’idea di un Fondo Italia per ripatrimonializzare l’impresa. Con sincera e tempestiva onestà devo comunicarvi che l’idea è stata bocciata. Stamane Confindustria ha sollevato la questione, nell’incontro con Tremonti e ABI per avviare il confronto sull’avviso comune per la moratoria di un anno su interessi e restituzione del capitale relativi ai prestiti bancari alle aziende. Al ministro è stata prospettata la necessità di incentivi alla ripatrimonalizzazione volti a rendere più “sicuri” i crediti bancari alle imprese, stante anche la sottopatrimonializzazione cronica del nostro sistema, tallone d’Achille largamente preesistente alla crisi e specchio della larghissima prevalenza di piccole aziende nel nostro Paese. A Tremonti sono tate prospettate altre due strade, oltre al Fondo Italia che vi avevo illustrato: un meccanismo di compartecipazione bancaria incentivata, con un multiplo di conferimento pari o 3 o 4 rispetto all’apporto diretto di capitale da parte dell’imprenditore; un’esenzione fiscale inizialmente pressoché totale e poi a scalare nel tempo ai fini della formazione del reddito lordo ‘impresa, per l’apporto patrimoniale del solo imprenditore. Tremonti, come purtroppo supponevo, ha scelto quest’ultima strada. Solleva le banche da qualsiasi intervento, e non mette la faccia del governo su un’operazione mista pubblico-privato ma a prevalenza privata, come quella che avevamo immaginato noi. È una grande occasione persa: peccato. Capisco che Emma Marcegaglia all’assemblea dell’Unione industriale di Macerata in corso in queste ore abbia annunciato il sì del ministro come una vittoria di Confindustria. Ma temo proprio che in questo modo non si arriverà neanche a un decimo, di quei 30-40 miliardi di ricapitalizzazione possibili con l’idea del Fondo, che avrebbero potuto agevolmente condurre ad alcune centinaia di miliardi di euro di impieghi bancari alle stesse aziende così rafforzate. Basta vedere la “cosiddetta” riforma pensionistica varata ieri: direi che proprio non è tempo di idee coraggiose: Eppure, ciò non ci esime dal dovere di pensarle e di proporle. Anche se vengono bocciate, il nostro mestiere è un altro.
non sorprende da Forza Sud. Devono aiutare le Banche e buttare soldi nel cesso del sud. A quando i coglioni di nordisti si sveglieranno ? Saluti.
Nell’intenzione di commentare, sono stato accolto dal commento che precede. complimenti! a prescindere dalla forbita eleganza, ha lo spessore proprio di un consapevole studioso.
L’idea del fondo, aveva tra i suoi positivi aspetti quello di indurre le imprese ad investire quattrini propri nelle proprie aziende. Ed è assolutamente appropriato il riferimento alla cronica sottocapitalizzazione. A questo riguardo mi permetto osservare che la sotttocapitalizzazione più che alla piccola dimensione dell’azienda o al destino è dovuta sovente al poco spiccato spirito imprenditoriale che induce a prediligere l’attività finanziata da debiti bancari piuttosto che da fondi propri anche quando disponibili. E la motivazione della mia osservazione trae origine dalla visuale che il mio mestiere mi consente.
luigi zoppoli
Prego il Dott Giannino di continuare il prezioso lavoro di “pungolo” per la modernizzazione del Paese. Un caro saluto e Buon Lavoro. FG
l’incosansapevole studioso invita verificare flussi di spesa di dpef o finanziaria. Dopodichè tra 40 anni verificheremo statisticamente risultati. Per quelli di oggi basta fare un giro a catania-napoli-palermo.
saluti all’assistenzialismo di stato.
Pensare che rivolgersi, in pietosa questua, al Ministero ed alle banche sia una soluzione è una mera perdita di tempo.
Mi riferisco alla sia pur onesta e brava (nel senso di coraggiosa) presidente di Confindustria.
Secondo me non ci si può presentare a chiedere soluzioni, ma piuttosto a proporle con la forza e la consapevolezza che in difetto si agirà comunque. Ma per rendere credibile qualsiasi determinazione è necessario raccogliere il consenso su una articolata azione frutto di una meditata strategia.
Lei mi chiederà cosa intendo dire o dove voglio arrivare! Bene ecco la mia visione.
La supposta sottocapitalizzazione è frutto di tre fatti:
– il primo è che la frammentazione delle imprese e la distribuzione del dono dell’intraprendere sono molto diffusi.;
– il secondo è che l’inefficenza di utilizzo delle risorse d’impresa dipende sì dalla dimensione, ma anche dal freno allo sviluppo dato dalla leva fiscale.;
– il terzo è che il patto (norme ed usi) che regge gli scambi tra soggetti economici sia pubblici sia privati è ormai datato e necessita di alcune profonde manutenzioni se non complete riscritture.
Così vediamo che nelle imprese di piccola dimensione l’imprenditore scambi il patrimonio della propria impresa per patrimonio personale e, per converso, nella grande impresa si scambi una attività economica per una “funzione sociale”.
Nel caso della piccola impresa l’imprenditore non è incentivato ad iniettare (a maggior ragione se ne dispone) i mezzi finanziari adeguati perché così intende proteggersi da presunzioni o predazioni fiscali nello stesso modo in cui si dovrebbe difendere da Cosa Nostra.
Esporre adeguati valori espone l’azienda anche alla predazione del mercato, se l’aziendina fosse adeguatamente patrimonializzata attirerebbe l’interesse di chi non si vorrebbe.
Il soggetto piccolo vive nell’understatement per necessità o per forza. Il soggetto piccolo non dirà mai che gli sta anando bene, al massimo dirà che non va poi così male. Nei fatti ne corre di differenza tra l’una e l’altra espressione.
Con l’attuale pressione fiscale l’impresa è nei fatti una succursale molto periferica e non riconosciuta del Ministro delle Finanze. Essa infatti liquida imposte per conto dello Stato le reclama, le incassa, le trattiene, le riversa e ne da conto.
Non c’é valore in ogni posta di bilancio che non contenga una gestione di imposte, tasse ecc.. per conto dello Stato.
I crediti che un’ impresa dovrebbe farsi finanziare sono gravati di imposte che devono essere versate in tempi anticipati; Le imposte sul reddito vanno pagate al 100% circa prima del presupposto conseguimento del reddito stesso.
Se per caso si incrementa il reddito da un anno all’altro poniamo di 100 ci si trova a corrispondere allo Stato le imposte in soldi sonanti sullo stesso nella misura più o meno del 50% senza dimenticarci che è necessario versare la stessa somma a titolo di acconto. La speranza è che un imprenditore, a quella data, oltre che ad aver conseguito il reddito incrementale lo abbia anche incassato e non lo abbia consumato o reinvestito altrimenti dovrà procurarsi i mezzi finanziari presso il mercato del credito. Ci troviamo nella situazione in cui gli effetti finanziari di una sana crescita scardinano qualsiasi portafoglio. I costi della crescita sono troppo elevati e se un imprenditore fosse così previdente nel pianificare una nuova impresa da preventivare gli effetti finanziari sull’impresa dovrebbe mettere in conto che in certi periodi avrà bisogno di mezzi finznziari doppi. Questa é una buona, normale e ragionevole pratica che però si scontra con le rigidità del sistema creditizio. Se fossi un banchiere, in teoria, mi dovrei rifiutare di finanziare le tasse di un contribuente solo perché non ha fatto bene i suoi conti. Se però le risorse di una crescita fossero finite ad alimentare una ulteriore crescita beh! Come fare? Tendenzialmente una continua espansione, veloce o lenta che sia, necessita di risorse finanziarie aggiuntive ed ogni imprenditore ha risorse finanziarie finite. La sottocapitalizzazione è un problema normale nella gestione della crescita.
Ci troviamo quindi con una platea di imprenditori contribuenti che, non avendo l’accortezza o in certi casi la possibilità, non ce la fanno a gestire queste dinamiche. Lo Stato si deve accontentare di quello che gli imprenditori si autoliquidano come imposte e le banche di finanziare anche lo Stato in via riflessa invece di finanziare progetti di crescita per la loro manifesta bontà.
Le banche hanno più canali di vendita del danaro; c’è il credito al consumo per i portatori di busta paga; c’è il credito ordinario e “small business” per i portatori di garanzie patrimoniali; c’è il credito “corporate” per i portatori di poche garanzie e grandi volumi; ma non siamo così ingenui nel pensare che i canali siano finiti qui! Ci sono i canali dei consigli di amministrazione; ci sono i canali dei patti di sindacato; ci sono i canali incrociati tra istituti per evitare formalmente i conflitti di interesse; ci sono……La realtà ha sempre superato la fantasia anche se spesso è spacciato il concetto contrario.
E’ un conto entrare in banca attraverso bussole antirapina e un altro è fare conference call comodamente dal proprio ufficio.
Cosa si può aspettare la buona Dott.ssa Marcegaglia andando al tavolo del sia pur valido Gatto Tremonti e della già meno raccomandabile Volpe ABI?
Dobbiamo anche chiederci quali istanze e di quale platea di interessi si fa portatrice la rappresentante della Confindustria. Parlerà per conto di chi entra in banca dalla bussola antirapina o attraveso il consiglio di sorveglianza?
Io avrei voglia di credere che anche questa volta, come già in passato, le aspettative degli imprenditori tutti vengano raccolte se non altro per la consapevolezza che se non si cresce non c’è futuro e che è il momento in cui l’interesse generale vada oggi più che mai messo in primo piano.
Come si fa a mettere in primo piano l’interesse generale?
Ripensando l’intero impianto! Si però è una cosa lunga. Affoghiamo prima!
No è una cosa semplice ma scomoda!
Non è un semplice fondo di mutuo soccorso ne quattro spiccioli di sconto fiscale su un reddito incognito.
Va completamente cambiata la logica. Le imprese devono essere indotte verso una oggettiva convenienza della compliance fiscale levando al contempo il 90% degli effetti distorsivi che fanno percepire la compliance impossibile riducendo al contempo il fabbisogno finanziario indotto dall’elevata leva delle aliquote. Il risultato: più entrate, tasse in discesa, meno fabbisogno finanziario da subito, meno stress con il mondo del credito, adempimenti semplificati e meno furbi in circolazione.
Mi contatti e glie la spiego. Avrò così il piacere di sottoporre in maniera organica ed articolata alla sua critica una soluzione dettagliata concreta, tangibile, fondata su un ridisegno delle attuali geometrie che porta vantaggi al Paese a patto che ogni imprenditore voglia comprendere la convenienza di sottoscrivere un nuovo patto con lo Stato, l’ABI si regolerà di conseguenza.
Leggendola ed ascoltandola sempre con attenzione la saluto cordialmente.
Caro Mario, non creda di dover convincere me, di tutto quello che scrive. Ne sono persuaso dalla prima all’ultima parola. Ed è il disincentivo fiscale a spiegare perché le società costituite in forma di società di capitali siano poche centinaiaia di migliaia, e per altro al 52% dichiaranti utili 0 nel 2007, come per la stessa ragione la stragrande maggioranza delle piccole impr italiane non sono rette in regime di contabilità ordinaria. Il problema era solo quello di proporre un meccanismo di mercato e a governance privata per “spingere” verso la ripatrimonializzazione: senza né chiedere spiccioli allo Stato, né tendere la mano in questua alle banche. Purtroppo, Tremonti ha abbandonato lo schema di una riforma fiscale di sistema negli anni 2002-2004, né lo riprenderà mai più nel suo arco vitale politico, da quel che gli sento dire di persona. Questa è la differenza di fondo da quando appena vinte le elezioni del 2001 venne approvata la delega fiscale fondata su un’aliquota di convergenza di tutte le forme di prelievo verso il 23%, a oggi. Udc e An l’ebbero vinta nel dichiarare quegli obiettivi votati dal parlamento come imperseguibili. Quel che lei dice lo potrà attuare solo qualcun altro, sotto un premier diverso da Berlusconi. Ed è per questo che vale la pena di lavorare, a mio modesto giudizio.
@Oscar Giannino
Non se la prenda. Lo sforzo di presentare una soluzione intelligente non basta più. Cio’ che intendevo sottolineare e’ che, data la situazione attuale, non si può pretendere che singole e ragionevoli soluzioni possano essere prese in considerazione. Purtroppo per sperare di far passare una soluzione bisogna che questa abbia un “valore”. Bisogna che si “venda” questa soluzione tenendo conto delle necessità di chi la deve “comprare”.
Lei non ha perso! deve solo ricalibrare l’offerta.
Mi soccorre quanto Von Mises osservava richiamando due fondamentali principi della teoria del valore (che siano idee o merce poco importa). In questo caso si tratta di proposte in tempi di urgenza.
1) la preferenza tra alternative non implica valutazione ne di equivalenza ne di indifferenza. Spetta a chi offre l’onere di farsi accordare l’elezione della scelta.
2) la valutazione tra due soggetti o dello stesso soggetto in tempi distinti non si può fare se non è nota la scala delle preferenze.
Rendendosi conto di non aver incocciato nella giusta gradutoria di gradimento, per smuovere una “domanda” di soluzioni servono architetture più articolate, dove chi dovrebbe offrire partronage possa avere un tangibile ritorno almeno in prospettiva scalando gradi di attenzione e d’interesse.
Non pensi di sfilarsi del tutto attratto dai mille succosi argomenti che ogni giorno attirano le dita sulla tastiera.
Non importa chi governa e non vale la pena di aspettare tempi migliori. Non ho mai visto un impresa che si sia scelta un mercato per vendere i propri prodotti. Il mercato è quello fatto dagli altri soggetti finchè non lo puoi influenzare direttamente. Certo che se la maggioranza attuale facesse solo orecchie da mercante la cosa si complicherebbe. Quanto alle sue ultime parole, non vedo in giro salvatori della Patria anche se qualche personaggio serio ci sarà pure. Che siano dei timidi?
Buon lavoro.