Più deficit pubblico, meno investimenti e crescita
Due giorni fa Comstock Partners Inc. ha rilasciato un report utilissimo. Dà una precisa misura quantitativa del cosiddetto deleveraging in corso nell’economia americana, del massiccio fenomeno di sostituzione tra debito pubblico e debito privato che sta avvenendo grazie al picco di spesa pubblica in deficit, e consente perciò di sviluppare molte osservazioni critiche intorno a ciò che ci attende nel prossimo futuro e nel medio periodo. I dati degli USA non riguardano infatti solo gli americani. Checché si dica e si pensi da parte dei nuovi sostenitori del decoupling dei cicli, senza consumi americani l’offerta di prodotti e servizi del resto del mondo o non ha gli sbocchi ai quali era abituata in passato con conseguenze di produzione stagnante, oppure deve volgersi ai consumi interni – come sta provando a fare la Cina alimentando l’export di mezza Asia verso di lei, ma con grossissimi problemi di tenuta del sistema finanziario e bancario domestico nel medio periodo. Per questo vale la pena di dare un’occhiata al report di Comstock: la cosa riguarda anche noi, secondo Paese manifatturiero ed esportatore dell’Ue.
Iniziamo da questa chart sul debito totale USA, in tutte le sue componenti, pubbliche e private (imprese, famiglie). A fine marzo scorso, il debito USA era pari al 375% del GDP, 53 trilioni di $ rispetto a 14. Come potete vedere, nel momento peggiore della Grande Depressione il debito USA non era andato oltre il 260% del GDP. Dove era nuovamente nel 2002, prima di ascendere come una parete himalayana ai livelli attuali. Passiamo a questa, relativa al debito delle famiglie rispetto al reddito disponibile. In paragone a una media negli ultimi 50 anni del 78,5% del reddito disponibile, il debito delle famiglie sta oggi al 127,9%. È in discesa rapida, rispetto al massimo – 133,5% – che aveva toccato prima della crisi, da quando nel 2002 aveva preso a crescere verticalmente seguendo il modello di crescita dei consumi finanziati a debito. Rispetto agli anni recenti in cui il debito delle famiglie cresceva anche dell’8% rispetto all’anno precedente, oggi è in frenata di quasi 5 punti percentuali sui 12 mesi precedenti. Rispetto al GDP, come si vede qui, il debito delle famiglie è pari oggi al 100,2%, in discesa di 2 punti dal massimo toccato nell’estate 2007: ma pur sempre spaventosamente doppio rispetto alla media storica dell’ultimo cinquantennio, pari a poco più del 56%. Andiamo poi alla propensione al risparmio, qui. Da una media degli ultimi 50 anni superiore al 7% del reddito disponibile, era scesa già al 2% nel 1998, per poi diventare negativa dopo il 2002. Dall’inizio della crisi, si è risospinta brutalmente verso e oltre il 6%, anche se negli ultimi mesi è riandata di poco sotto il 5%.
Esaminiamo ora i diversi apporti al GDP nazionale. A fine marzo scorso, i consumi privati pesavano negli USA per oltre il 70% del GDP, mentre negli anni della grande crescita americana sono sempre stati di poco superiori al 60%; gli investimenti privati contribuiscono per il 14%, rispetto a una media tra il 16% e il 17% con molte punte superiori al 18% negli anni “buoni”; la domanda pubblica pesa per il 20%, riportandosi alla quota toccata durante le guerre di Corea e del Vietnam. Qui la capacità utilizzata nel processo produttivo: siamo oggi a quota 67,8%, la più bassa in assoluto dallo smantellamento dell’apparato bellico successivo alla fine della seconda guerra mondiale, rispetto a una media USA che da metà anni ’60 è stata superiore all’80%, con molti anni tra l’84% e l’88% addirittura. Infine, qui la ricchezza netta delle famiglie: rispetto a una media di aumento nominale del 5,8% annuo nell’ultimo cinquantennio, oggi è in picchiata, diminuisce del 16,2% sui 12 mesi precedenti.
Quali conclusioni da questi dati? Primo: il deleveraging è praticamente tutto sulle spalle delle famiglie, visto che il rally azionario sostenuto dalla FED invece consente ampi cuscini all’equity delle imprese. Si spezza un trend devastante per il quale mentre occorreva solo 1,4 $ di debiti per un 1$ di GDP negli anni Sessanta, negli anni Settanta ne serviva 1,7% di debito per lo stesso risultato, poi 2,90 negli anni Ottanta, 3,2 negli anni Novanta, e nell’ultimo decennio il rapporto era cresciuto a uno spaventoso 5,4$ di debito per ogni $ di GDP. Ma se il riequilibrio è tutto sulle famiglie e il loro debito sul reddito disponibile deve tornare dal 128% attuale almeno al 100% dove stava nel 2002, questo significa picchi di propensione al risparmio fino al 10% del reddito disponibile fino al 2018: cioè un meno 0,8% di crescita potenziale di GDP, per effetto della contrazione dei consumi, ogni anno di qui ad allora. Con la disoccupazione che si spingerà ben oltre il 10% – l’altroieri grandi cori al suo passaggio dal 9,5% al 9,4% a luglio, ma quasi nessuno nota che ciò si deve al fatto che per effetto della crisi milioni di lavoratori si ritirano dal mercato del lavoro, al quale partecipano il 59% degli attivi potenziali, oggi, il dato più basso da 50 anni a questa parte – e con l’aggregato maggiore statistico per rilevarla – il cosiddetto U6 – che già oggi sfiora il 17%, ciò significherà meno reddito disponibile e bassi salari. Infine: la sostituzione del debito pubblico a quello privato otterrà massicci effetti di crowding out, e dunque la quota di investimenti privati non salirà. In tali condizioni, la locomotiva americana resta azzoppata per molti anni. E per chi esporta, sono guai garantiti.
dal mio personalissimo punto di vista: fino al 2006 in qualche fiera veniva ancora qualche cliente americano; dal 2007, in pratica, sono spariti. una bella mano l’ha dato il dollaro sopra 1,30; ma a quanto mi dicono, sopra ogni altra cosa, la colpa è stata dello spostare l’offerta verso merci standardizzate ed a basso costo. Immagino che il sorpasso di wallmart su gm sia centrato qualcosa
Devo confermare quanto dice il Sig. Roberto D. e devo anzi dire che WallMart ha incrementato gli ordini di acquisto in maniera significativa prorpio nell’ultimo anno. Non vi dico il mio stupore quando ho visto il carnet di ordini……c’è da dire però che ha differito significatamente anche i pagamenti.
I miei complimenti al Sig. Giannino e i suoi amici e i colleghi del blog.
Da semi-profano lo trovo stimolante e utile. Grazie.
Vorrei farle un paio di domande:
-1- Come si è risolto il paventato (ipoteticamente certamente!) default della California ?
In che modo gestiscono la situazione?
-2- Personalmente credo che nel futuro prossimo gli USA dovranno “rivolgersi”, pur malincuore, alla vecchia e cara inflazione. Almeno al 5-7% se non a due cifre… Sbaglio?
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manuelT
manut83@yahoo.it
per curiosità, in che settore riesce ad essere listato da w.m.? credevo si rifornisse solo in cina
catename/piccole gioie in argento
molto vicino al mio, macef?
Analisi ineccepibile: non so se nel conto del debito totale figurino tutte le GSE…. da altre analisi infatti il rapporto debito totale/GDP passava abbondantemente il 400%. Occorrerebbe domandarsi se l’attuale livello dell’indice S&P500 incorpori già una svalutazione del dollaro del 30/50% contro euro oppure sia destinato a cadere ritestando i minimi di marzo…
Qualcuno potrebbe peritarsi di calcolare un p/e sugli attuali livelli degli indici americani?
Mi dispiace, ma, a mio parere, si fanno errori. Scrivere a me in PM, parlare.