Pittsburgh, teniamoci bassi
È un consiglio programmatico: dopo un anno di chiacchiere e distintivo, preferisco non continuare a inseguire il proliferare astronomico di ricette e proposte che in teoria a Puittsburgh domani e dopodomani dovrebbero essere varate, delibate, indicate e sussunte. Quando capiremo qualcosa di concreto, se ci sarà qualcosa di concreto e non solo la recita di un quadro coordinato di princìpi generali che ognuno attua o meno come però vuole a casa sua, allora varrà la pena di commentare e analizzare. Per oggi, come viatico programmatico al tenersi bassi, mi limito a due indicazioni. La prima: ha ragione Taylor, l’exit strategy può cominciare subito dal NON PIU’ attribuire al FMI tutte le risorse che erano state deliberate, perché NON servono. La seconda: come al solito è la Banca dei Regolamenti Internazionali, a vincere la gara dei papers preparatori più seri e concreti e meno pindarici.
Sul primo punto, mi limito a segnalare il post di John Taylor sul suo blog. Il FMI ha finora impegnato in prestiti solo il 7 % dei 750 milardi di diritti speciali di prelievo che gli erano stati straordinariamente assegnati all’inizio dell’aprile scorso, molto meno ancora di quanto non avvenne nella raffica di crisi finanziarie dei Paesi emergenti, nella seconda metà degli anni Novanta. In più, oggi l’economia mondiale è trainata proprio da quei Paesi, e non sono le crisi potenziali dell’Est Europa o Russia a giustificare una simile panoplia di risorse a disposizione. Si inizi a tagliare, perché troppi denari a disposizione di enti pubblici alla ricerca di ruolo sono sempre una ghiotta occasione per sprechi inutili.
Quanto al ruolo della BRI o BIS se seguite l’acronimo inglese, segnalo dalla bellissima Quarterly Review appena uscita:
– questa proposta in materia di derivati Over The Counter, volta a creare camere di compensazione assai meno ideologicamente vincolanti dei tanti deliri proibizionisti fioriti ultimamente sulle bocche di tanti insospettabili economisti ammazza-finanza;
– questa analisi su una possibile eventuale metodologia per classificare i diversi tipi di intermediari finanziari in classi di rischio macrosistemico, con esempi concreti rispetto al situazione attuale mondiale;
– infine questa ricerca su come e perché il costo dell’equity bancario divenisse sempre meno sensibile, nel quindicennio 1990-2005, al crescere del rischio sul mercato e di mercato.