Perche’ la Sicilia avrebbe bisogno di piu’ liberismo
Scandali come i “progettini” del Comune di Palermo o i corsi di formazione della Regione, non fanno che confermare quello che a livello di intuizione penso da molto tempo: il peggior nemico dei siciliani oggi e’ lo Stato.
Immagino che i puristi della lotta anti-mafia staranno gia’ tremando di paura e chiarisco subito che non sono ne’ a favore della Mafia (!), ne’ della scuola di “quelli che con la Mafia bisogna convivere“. Inoltre per “Stato” intendo la sommatoria di Comune, Provincia, Regione e Governo Centrale, riferendomi dunque in maniera indifferenziata a tutta la macchina pubblica, quel mostruoso esercito di 352.153 impiegati pubblici (al 2008), ossia 1 ogni 14 siciliani (in Lombardia siamo a 1 su 23).
Lo Stato pervade la Sicilia. Oggi a Palermo, sommando i vari enti pubblici, lo Stato e’ il primo datore di lavoro, assolutamente incontrastato. Una volta c’era il Banco di Sicilia, oggi neanche quello. I politici regionali e nazionali comandano ovunque, anche li dove non dovrebbero mettere piede. La politica non dovrebbe allocare risorse, salvo per pochi e selezionati beni pubblici (come la sicurezza, la tutela dei diritti privati e la giustizia), invece in Sicilia siamo abituati ad invocare sistematicamente la politica per qualsiasi emergenza, lavorativa e non. Ed i politici rispondono (anche contro la volonta’ degli imprenditori)… non certo per un innato senso di bonta’ nei confronti dei loro concittadini (anche se non escludo che vi possano essere eccezioni), bensi’ per procacciarsi voti e assicurarsi la rielezione. Risultato: oggi la Sicilia e’ la nona regione (al momento della redazione dell’articolo) al mondo per rischio di default, con una probilita’ pari al 20%. Per interrompere questo circolo vizioso, che alimenta e si autoalimenta con la Mafia, la soluzione radicale e’ ridurre drasticamente il flusso di denaro pubblico, ridimensionando la macchina statale; noi siciliani non siamo geneticamente inferiori a nessuno (nonostante certi discutibili studi in Ulster), abbiamo solo bisogno di risvegliare un certo senso di imprenditorialita’ che si e’ sopito a causa di 50 anni di minestre pronte servite dal Pubblico. Certo, ci sono delle infrastrutture necessarie che avranno bisogno anche del supporto pubblico (metropolitana di Palermo, ferrovie, potenziamento rete elettrica..), ma stiamo parlando di progetti specifici, di casi eccezionali. Per il resto, Formazione, Sanita’, Forestali, AMIA, ATO…, meno Stato, meglio sara’ per tutti. In quest’ottica, il federalismo fiscale e’ l’amara medicina di cui la Sicilia ha drammaticamente bisogno: chiusi i rubinetti, ogni euro andra’ centellinato e speso con cura… i vari quaquaraqua’ della politica non potranno piu’ elargire (come se fosse cosa loro!) posti di lavoro a destra a manca perche’ non avranno piu’ 1000 per fare un lavoro che si poteva fare per 10, dunque saranno costretti ad essere estremamente selettivi nei progetti e a ridurre drammaticamente gli sprechi. I siciliani, a loro volta, liberi dal giogo del clientelarismo, potranno riacquistare la liberta’ di scegliere una classe dirigente in base ai programmi presentati e non sulle promesse di una piu o meno precaria sistemazione. Dispiace solo che questa battaglia sia monopolio culturale della Lega. Immagino gia’ l’obiezione di alcuni: cosa succedera’ quando si interrompera’ il flusso di denaro? Chi paghera’ gli stipendi? La risposta e’: nessuno. Sicuramente diverse migliaia di siciliani dovranno industriarsi, anche emigrando. Nulla che non sia gia’ successo nel passato o che non continui a succedere anche oggi. Con una differenza: prima emigravano soprattutto lavoratori ed operai; oggi emigrano giovani, laureati o professionisti, un fenomeno di adverse selection che impoverisce ulteriormente la Sicilia. Prova ne e’ la stabilizzazione di 26.500 persone con l’ultima Finanziaria regionale, molto spesso ex-detenuti o LSU che hanno letteralmente preso d’assedio la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana in nome di un fantomatico diritto al lavoro (giovani disoccupati prendete nota!). Personalmente penso che i siciliani onesti, che non hanno una rendita di posizione, non possano che desiderare uno stato liberale (almeno in senso economico!), in cui lo stato torni a fare l’arbitro, non il giocatore/imprenditore. Unicuique suum, a ciascuno il suo direbbe Sciascia. Lasciamo fare agli imprenditori il loro ruolo, migliorando la terribile macchina burocratica siciliana, investendo semmai sulla ricerca, sulle universita’ e sulle lingue se proprio si vuole fare formazione, ma soprattutto liberando i siciliani dal senso di impotenza, di impossibilita’ di essere i fautori del proprio destino. Solo cosi’ questa terra, tanto bella quanto disgraziata, potra’ aspirare ad un futuro.
Illusion.
Rocco Todero, Siciliano ( Catanese ) 35 anni. Condivido pienamente quanto riportato nell’articolo. Abbiamo bisogno di essere posti di fronte alle nostre responsabilità per poter intraprendere un percorso che ci conduca quantomeno alla parziale autonomia economica. Non dobbiamo nasconderci,però, che culturalmente i siciliani sono ( è una generalizzazione lo so! ) restii a rinunciare a cotributi, sussidi e quanto altro non sia il frutto di uno scambio volontario sul mercato. Io credo che solo la sfida del federalismo, per quanto dura e dagli eseiti non certo felici, potrà scuotere i siciliani da questo torpore.