Perché la gas release è sbagliata
Creare concorrenza dove non c’è è come creare il mondo. Solo che, a creare il mondo, il Buon Dio ci ha messo sei giorni e il settimo si è riposato: è onestamente poco credibile che un governo e un’autorità di regolazione possano fare lo stesso nello spazio di una notte, senza neppure disporre dei mezzi di Nostro Signore. Per questo sono estremamente scettico nei confronti della “gas release” da 5 miliardi di metri cubi, disposta dall’esecutivo su sollecitazione dell’Autorità per l’energia (che però aveva chiesto un quantitativo molto maggiore, circa 22 miliardi di metri cubi).
Il mercato del gas è, in Italia, relativamente poco competitivo – noi lo abbiamo quantificato al 57 per cento – per una seire di ragioni normative, regolatorie e strutturali, che sono bene illustrate da Massimo Beccarello e Andrea Villa nell’Indice delle liberalizzazioni e da Luigi Ceffalo nel suo capitolo de Il mercato del gas naturale, mentre una prospettiva più ampia è quella adottata da Massimo Beccarello e Francesco Piron ne La regolazione del mercato del gas naturale. Tra queste ragioni, si possono ricordare la pavidità delle istituzioni europee, che non sono riuscite a imporre nell’Europa continentale un modello di mercato ben funzionante e ben oliato sulla scorta dell’esperienza britannica, e in particolare l’assenza ovunque di una precisa scelta di separazione proprietaria delle infrastrutture essenziali dagli incumbent, e le oggettive difficoltà di un mercato che è caratterizzato da investimenti ad alta intensità di capitale e lunghi tempi di realizzazione e di ritorno degli investimenti stessi. In questo contesto, è comprensibile e, con qualche cautela, persino auspicabile che vengano adottate misure “riparatorie”, il cui carattere interventista disturba quelli che come me credono nelle potenzialità della competizione. E’ il caso dei tetti antitrust, con cui si intende comprimere la quota di mercato dell’incumbent per consentire un più rapido avvio della concorrenza. I tetti antitrust sono una porca faccenda, che però è utile a gestire la transizione verso le riforme: solo che, in Italia, le riforme in larga misura non le abbiamo avute, e i tetti, che erano previsti scadere nel 2010, non sono stati prorogati, per volontà dell’attuale governo e nonostante il tardivo richiamo dell’Antitrust.
La gas release è uno strumento ancora più invasivo e distorsivo, in quanto consiste, nella pratica, nell’esproprio di un quantitativo di gas che l’incumbent legittimamente detiene e la sua vendita a prezzi regolati. Può essere accettabile quando il mercato sia in tensione, come è accaduto negli scorsi anni, poiché in quelle condizioni la rendita monopolistica può divenire insostenibile. Ma ha senso a fronte di un mercato depresso, in cui c’è eccesso di domanda a causa del crollo dei consumi determinato dalla crisi? Oltre tutto, la gas release può avere effetti strutturali se è effettivamente massiccia, come richiesto dall’Aeeg, ma se il contingente di gas coinvolto è tutto sommato modesto, finisce per tradire i suoi scopi teorici. Non è, cioè, perché non può esserlo, un provvedimento pro-concorrenziale, ma finisce per essere – al di là della sua dimensione politica, non irrilevante, di cui ha scritto Oscar Giannino guardando anche ai risultanti equilibri confindustriali – un sussidio alle imprese gas intensive. Lo ha denunciato, correttamente, un duro commento di Quotidiano Energia (subscription required), che mi sembra abbia ricondotto la questione nei giusti termini. Se, insomma, lo scopo era aiutare settori che sono gravemente impattati dalla crisi, perché farlo con un intervento mascherato che, oltre a qualche temporaneo sollievo ai suoi destinatari, ha in realtà una portata dirompente sul mercato del gas?
Se, viceversa, il governo intendeva effettivamente promuovere la concorrenza, e ha dato una risposta sbagliata a un problema reale, vale la pena interrogarsi su come agevolare la partenza di un processo che, a un decennio dalla prima apertura del mercato, ancora è lontano dall’essere concluso. Credo che siano tre gli aspetti da considerare: (1) i tetti antitrust vanno prolungati, senza esagerare, per un periodo di 3-5 anni; (2) questo periodo va utilizzato per riscrivere le norme del settore, in particolare riguardo alla separazione di reti e stoccaggi e alla creazione di una borsa degna di questo nome; (3) infine, non bisogna sottovalutare la portata dell’incremento della dotazione infrastrutturale, che comincerà a dare le prime conseguenze già alla fine di quest’anno con l’ingresso in funzione del rigassificatore di Rovigo. Per incentivare la realizzazione di nuove infrastrutture, che sono la vera assicurazione di lungo termine contro lo strapotere dell’Eni, occorre intervenire sui processi amministrativi, che sono il vero freno – non sempre in perfetta buona fede – che ha rallentato ciò che andava e ancora va fatto.
Se non si affronta il tema del gas con quest’ottica vasta, ma si crede di poter aggiustare tutto con misure emergenziali, perfino in assenza di reali emergenze, continueremo a parlarci addosso all’infinito. E l’Italia continuerà a soffrire dei suoi mali, che di volta in volta affliggeranno questo o quello a seconda del relativo peso politico.
per capire il commento credo che sarebbe opportuno chiarire in che modo questa gas release inciderà sul mercato e per le aziende in termine di euro.
Vista la netta presa di posizione potrebbe illustrare il meccanismo di asegnazione delle quote?