Perché in Italia vince la “preferenza L”
Questo paper l’avevo messo da parte l’anno scorso, ed è rimasto colpevolmente a dormire sotto una pila di stampe, a conferma che la carta tradisce più dei computer. Mi è ripassato per le mani sbarazzandomi di carta inutile. Ma è come se mi abbia parlato, scivolando via per farsi raccogliere e leggere. Lo consiglio a tutti. Perché punta il dito su una singolarità italiana in cui ci imbattiamo tutti ogni giorno: lavoro, scuola, università, servizi pubblici, organizzazione e prestazione del lavoro nelle imprese private, politica, sindacato, professioni. Dovunque in Italia si tocca con mano il prevalere della “preferenza L”. Dove “L” sta per low: bassa qualità. Dovunque, la bassa qualità è una convenzione accettata, anche se a chiacchiere convive con molti proclami di chi dichiara di non volerla e di non praticarla. Di fatto, la bassa qualità e il pressapochismo sono una conventio di massa, la vera Costitizione materiale del Paese. Ma perché?
Per chi la pensa come noi che non esitiamo a dire che dall’Italia se non migliora bisogna essere pronti ad esercitare l’exit visto che la voice serve a poco, cioè ad andarsene senza troppe nostalgie, non è un caso che il aper l’abbiano scritto due studiosi italiani di qelli che non rinneano il proprio Paese, ma fatto sta che la propria carriera l’hanno fatta all’estero e non tornano. Diego Gambetta insegna Sciologia ed è fellow del Nuffield College ad Oxford, Gloria Origgi si è perfezionata in filosofia del linguaggio e scienze cognitive al Polytechnique e insegna a Parigi all’Institut Jean Nicod del CNRS.
G&G hanno ragione: in Italia la “preferenza L” vince sulla “preferenza H”, il basso sull’alto, il pressapochismo sul perfezionismo e la precisione, non solo melle truffe commerciali olearie e vinicole ai danni dell’Ue e nelle quote latte, tanto meno è prassi con cui la parte meno acculturata e patrimonializzata del Paese tenta di sfangarla dall’eccesso di competizione portato dagli have sugli have not. E’ regola e non eccezione in ogni ambito. Quando viene documentato che l’economista Stefano Zamagni copia pagine iuntere non quotate da Robert Nozick, il filosofo della politica e rettore del Suor Orsola Benincasa Antonio Villani fa la stessa cosa da molti autori tedeschi, e il filosofo Umberto Galimberti idem con patate copiando di soppiatto da Giulia Sissa che insegna in California, alle loro carriere e stima reputuazionale non capita assolutamente nulla, anzi si scatena una reazione come quella di Gianni Vattimo “cari signori, la filosofia è copiare”, oppure ancora, nel caso di Zamagni, una difesa a oltranza in nome del fatto che lo si vorrebbe colpire in quanto “di sinistra”. Senza contare il fatto che ciascuno ha detto o fatto capire di essere sommamente innocente, perché la copiatura indichiarata avveniva a opera di studenti-negri estensori dei testi per il prof, che certo non aveva a quel punto facoltà di cotnrollo delle citazioni e plagi…
Ma, ripeto, il problema è generale, dell’intera società italiana, non certo del suo corpo accademico e solo di una scuola e università ridotte a mega ammortizzatori sociali di massa (vedi polemiche sui precari: per averlo detto alla radio fuori dai denti come mio costume mi son beccato migliaia di sms d’improperi) invece che a palestre dove si acceda in nome di ciò che si dovrebbe promuovere, cioè merito ed eccellenza.
E il motivo per cui dovunque vince il fattore L è un enorme equilibrio di Nash, quello cioè in cui nessun attore del gioco ha interesse a disallineare la propria preferenza, rispetto a una soluzione alla von Neumann, chealteri le’quilibrio innome del fatto di prevedere un vincitore netto. Se ci ensate bene, è la stessa colpa che si fa al maggioritario in nome del parlamentarsismo e dell’eterna mediazione parlamentare spacciata per essenza della democrazia, è la stessa risposta che si oppone a qualunque riforma vada a incidere seriamente su rendite consolidate, si tratti delle farmacie o di accessi e tariffe delle professioni, dell’ordinamento giudiziario o del pubblico impiego.
L’effetto di questo equilibrio di Nash a favore del fattore L è una buona spiegazione, purtroppo, della bassa produttività italiana comparata, dunque ha effetti negativi certi a lungo andare nel suo complesso, anche se a milioni di praticanti indefessi si traduce nell’apparente vantaggio a breve di autotuela e autopromozione, scegliendo di corrispondere ogni giorno ad altrettanti convinti della superiorità di L su H.
Per chi crede e punta su H, dunque, la scelta non è predicare, come facciamo qui. O meglio serve ma è un pannicello caldo, la comunicazione pubblica vive come un rito la celebrazione dell’eccellenza tradita, perché poi la imputa sempre a qualcun altro, a chi ha vinto le elezioni o a chi ti escluso dal posto perché amico degli amici come se non lo fossi 90 volte su 100 anche tu.
Oltre le prediche inutili, per chi crede nel fattore H la via consiste nell’associarsi, formare capitale umano e fisico, assumere e licenziare, stipulare contratti e osservarli eccetera SOLO con coloro che praticano la stessa opzione. Perché solo così a lungo andare, e all’emergere del vantaggio sicuro di maggior produttività e benessere da maggior serietà, inizierà a risultare incentivanmte a catena disallineare dall’equilibrio di Nash al ribasso il comportamento concreto di un sempre maggior numero di infingardi avvantaggiati dalle reti relazionali che sono la vera ossatura, dovunque, del nostro Paese.
Roba tosta, da calvinisti illusi? No. E’ la via più seria a cambiare il Paese, quella della serietà.
Se questo alle elezioni significa poi non trovare un partito o una coalizione in linea col fattore L, allora non basta non votare. Perché l’alternativa all’exit cioè all’espatrio per chi può, nella teoria dei giochi è voice cioè fondarne uno nuovo. Di sole persone serie. E chi ride dicendo “illusi” o è un rassegnato profittatore e allora lo capisco, oppure se non ha niente da perdere ha solo da guadagnarci.
Gent.mo dott. Giannino,
ho letto e gustato ogni parola del suo articolo.
E mi trova totalmente d’accordo.
Lei parla del « fattore L » , io invece ho dovuto capire, sulla mia pelle, come sia sconosciuto il fattore “M” di meritocrazia.
Ho compiuto 44anni, mi sono laureato (per mille motivi, un po’ in ritardo!) in Giurisprudenza. Sono quindi un emblema di quella categoria di persone che l’ex ministro Padoa-Schioppa definì “bamboccioni”.
Dopo la laurea mi sono accorto di essere attratto più che dalle aule di tribunale, dalla comunicazione in ogni sua versione, e nel 2002 ho deciso di frequentare un master a Roma sulla comunicazione creativa, da cui ne ho ricavato un diploma-attestato di “Mediterranean Media Manager” con la specializzazione di “Web Advertising Manager”.
Ma ora sono “quasi” a spasso! Da circa 4 anni collaboro con una banca specializzata in mutui immobiliari con la mansione di procuratore generale.
Il contratto è “job on call”: intervengo davanti al notaio, in nome e per conto della banca nei contratti di mutuo “a chiamata”.
E vengo pagato “a gettone” o cioè “per ogni intervento alla stipula”!!
Per cui, capita che in un mese mi fanno fare 10contratti allora mi va bene, ma ci sono mesi dove mi attribuiscono 1 o 2 contratti e allora???
Per fortuna vivo ancora in casa con mia mamma…
Lo so, mi dirà: «caro mio, sei in buona compagnia!»
Tutti cercano:
«NEO LAUREATO – ALMENO 100/110 – QUATTRO ANNI D’ESPERIENZA – MAX 28ANNI»
A me sembra che ciò sia un evidente ossimoro: li vogliono “già esperti”, e contemporaneamente giovani!
Ho potuto constatare sulla mia pelle che la «prima scrematura» avviene in base all’elemento anagrafico e il voto di laurea.
Molti imprenditori – candidamente – ammettono che la prima cosa che guardano è l’età.
Passiamo poi al voto di laurea. Io negli anni passati nelle aule universitarie ho notato infinite “fronti inutilmente spaziose”. Ho visto tantissimi “30e lode” con la stessa struttura di un soufflé riuscito male…
Pertanto questo è lo scenario che si presenta:
§ gli “over 35” vengono scartati per principio;
§ le aziende non leggono le e-mail;
§ le aziende cestinano i “CV”.
E allora mi domando: come posso “andare via da casa” senza un lavoro che mi garantisca un minimo di sicurezza economica?
Qualche tempo fa ho letto un’intervista che lo stilista Giorgio Armani ha rilasciato a “½minuto – rivista di comunicazione, pubblicità e marketing” in cui affermava che “nel lavoro, qualunque esso sia, gli elementi essenziali per svolgerlo al meglio sono la PASSIONE, l’IMPEGNO e l’INTERESSE che si mettono”.
Parole sante!
Ritengo che nel mondo della comunicazione, (e lei, non potrà che confermarlo!), come in qualsiasi altro ambito “cosiddetto concettuale” gli ingredienti necessari siano proprio la PASSIONE, l’IMPEGNO e l’INTERESSE, a cui io aggiungo una buona dose di CREATIVITÀ. E ritengo che tali elementi si possono trovare in un 24enne come in un 40enne o 50enne!
A questo punto faccio un nome: Bill Bernbach!
Per i più un autentico “Carneade” manzoniano. Ma, togliendo lui si sgretolerebbe oltre metà dell’advertising pubblicitario del secolo appena trascorso. La sua attività dal punto di vista della comunicazione pubblicitaria è paragonabile a quella di Galileo Galilei nell’astronomia: dopo di lui nulla può esser stato come prima.
Nel 1949, fondò la DDB – Doyle Dane Bernbach con le idee ben chiare: «Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono creare una buona vendita!”
Fu lui – ad esempio – che, nel 1960, insegnò agli americani a “pensare in piccolo”: una pagina di quotidiano quasi vuota con il Volkswagen “Beetle” piccolo-piccolo in alto a sinistra e la scritta “think small” . Una filosofia provocatoria per l’America del “think big”.
Bill Bernbach aveva fissato due sole ma essenziali condizioni per entrare alla DDB:
1)avere talento
2)essere una persona perbene.
In mancanza di una delle due, la sua risposta era cortese ma negativa.
Allora a questo punto, m’indigno e mi chiedo: dove sono finiti ai nostri giorni gli imprenditori intelligenti e lungimiranti come William Bernbach che per assumere personale nella propria azienda non richiedeva un “neolaureato, con voto superiore a 100/110, max 28anni, 4anni d’esperienza” ma puntava su una brava persona con talento, passione, interesse per ciò che deve fare?
Dove son finiti i Bill Bernbach che dava più importanza a quello che potrai fare con il tuo talento e non a quello che hai già fatto?
D’altronde, come i Galileo, i Manzoni, i Dante, gli Einstein, neanche i Bernbach nascono ogni giorno, ma a chi sa di non essere nè Galileo, Manzoni, Dante, Einstein, non resta che prendere l’esempio, no?
Mi viene ora in mente una boutade: un dilettante come Noè costruì l’Arca e riuscì nella sua missione; poi un gruppo di grandi ingegneri, progettò il Titanic.
La storia ha scelto chi privilegiare?
Carissimo dott. Giannino, lo so, sono stato prolisso, La ringrazio per aver avuto la pazienza di leggere questo mio amaro sfogo (se non è stato colto prima da profonda narcolessia!)
Mi rendo conto (e mi scuso!) per non esser riuscito ad essere sintetico, ma come per tutti gli indignati, tutto ciò che mi bolle dentro è incontenibile.
Sono come una molla in pressione
Condivido tutto. Io vorrei proprio passare dall’exit allla voice. Facciamo questo partito di gente seria?
Grazie, del paper e dell’articolo.
Pensavo che fosse una tendenza generale, non solo italiana, quella verso la bassa qualità, poiché mi pareva che low quality fosse un prodotto necessario del low cost. Potrebbe essere il contrario, invece.
Studierò.
il partito voice c’è già, si chiama Partito Radicale
Il partito voice c’è e si chiama Movimento Libertario: http://www.movimentolibertario.it
A mio parere, il Partito Radicale, mentre va bene sul piano delle libertà civili, non è molto rigoroso in ambito economico.
Anche il partito radicale soffre della classica problematica italiana di ricambio generazionale dei suoi vertici, purtroppo non partendo dal basso come tutto in Italia devi aspettare che dall’alto accada qualcosa.
Io mi sono sempre chiesto perchè molti genitori non riescano a far prevalere la soddisfazione di vedere un proprio figlio che va avanti con le sue gambe senza la continua assistenza/presenza del proprio genitore.
Ma perchè Pannella non si alza una mattina e dice da oggi faccio finta di essere morto che voglio vedere come va avanti il partito radicale.
Mi sembra che il partito radicale sia abbastanza fuori luogo con il bellissimo articolo di Giannino
Dura da una quaratina di anni, le maestre e le prof “pareggiatrici” tagliano con il falcetto della loro lingua affilata quelle mani sempre alzate che “disturbano l’andamento della classe”. Per sopravvivere occorre mometizzarsi. I falsi finti tonti hanno gioco facile.
l’articolo rispecchia fedelmente lo stato delle cose in Italia. Aggiungo solamente che non siamo più allo stadio L, ma a quello XXL.
Gent.mo Dot. Giannino,
sono felice di constatare che nonostante ritenga che “la carta tradisce più dei computer” continui a stampare i paper, invece di dimenticarli in qualche sottocartella di back-up.
Ho apprezzato molto il suo articolo, ma non ritengo sufficiente per una nuova ipotetica classe dirigente il solo requisito di serietà; sarebbe necessario ance il buon senso, comunque altro requisito non misurabile o verificabile. Ritengo pertanto che la sola alternativa praticabile risieda in una sorta di voto di verità, che responsabilizzi al rifiuto di menzogne e soprattutto di false verità. E’ sicuramente un elemento entropico (la “preferenza S” se ci si affida alla fisica classica), ma non è nulla di stravagante o utopico: è prassi per esempio tra i giocatori dei club inglesi di rugby.
Ma potrebbe funzionare in politica o in finanza?
E infatti, caro Oscar, il mio voto inesercitato da un paio di legislature è in cerca di un nuovo approdo. Se qualcuno è capace di prenderlo è a sua disposizione.
Il partito radicale non c’e’, soprattutto per quanto riguarda le libertà civili. A meno che non consideriamo l’omicidio di esseri umani incapaci di difendersi un avanzamento sul piano della civiltà.
Sarebbe bellissimo un partito di persone serie ma ho la netta impressione che queste persone, se mai accettassero di uscire allo scoperto, una volta assaggiato il pianeta politica italico, desisterebbero tornando alle loro destinazioni di partenza.
Altro grande ostacolo credo sia lo stesso essere liberali che ha tali e tante sfumanture che difficilmente metterebbe tutti d’accordo, (vedasi i commenti riguardanti radicali e partito libertario).
Sarò un illuso ma convinto che nessuno ci abbia mai insegnato i vantaggi della meritocrazia e della concorrenza, (se non ultimamente grazie a Giannini e ai pochi blog liberali), credo si debba insistere nella “pubblicità progresso” che necessiterà di tempi lunghi ma darà i suoi frutti, se non altro perchè i giovani oggi vanno incontro, in loco, ad un futuro talmente poco roseo che sicuramente si faranno delle domande e magari più d’uno, viaggiando capirà che concorrenza e meritocrazia non sono due strani animali esotici ma il sale della crescita e del benessere che ci piacerebbe mantenere…
@Vincenzo
Bellissimo il suo intervento, condivido nella sostanza e come se fosse uno specchio ma attenzion perchè qualcuno potrebbe risponderle che le opportunità ci sono per tutti e che il sistema è generoso con tante persone e che stà in noi saperle cogliere. In realtà i criteri di selezione delle persone che devono lavorare sono scandalosi. Le persone non contano per quello che possono dare, per il oro impegno, sono solo dei numeri. La veridicità di quello che dico è nel continuo turn over esistente in certe aziende incapaci di scegliere e valorizzare le persone, si vuole tutto e subito il resto non conta.
definire persone serie gli aderenti al movimento libertario mi sembra poco serio. ho letto una volta i loro scritti ed ascoltato una volta il loro leader. M’è bastato. Seriamente, cerchiamo di non scherzare sul futuro. Giannino ci propone una sfida intelligente, non un gioco di società.
@Michele Bendazzoli
quoto!
Il problema con il partito di persone serie è che se solo provassero a mettere il naso fuori te lo taglierebbero.
La politica politicante è ormai un tumore in metastasi, e, a mio avviso, prima di uscirne dovremo toccare il fondo.
Oppure opporre ai politici uno sciopero elettorale massiccio. Ma non evitando di votare o votando scheda bianca, bisogna andare ed annullarla. So che le truppe cammellate di alcuni partiti andranno comunque a votare come dicono loro, ma qualcosa bisogna pur fare.
Per dare un freno all’andazzo bisogna “organizzare”:
1) una resistenza fiscale su vasta scala (possibilmente con mezzi leciti, se poi ce li tolgono tutti…)
2) una buona informazione sulle boiate dei politici (sapete quanta gente è convinta che le tasse sono alte solo per colpa dell’evasione? D’altronde i media continuano a ripetercelo come un mantra goebbelsiano)
3) una pressione affinchè i politici ci mostrino i conti: quanto entra, quanto esce, come esce e perché, illustrato in maniera CHIARA. Non come le buste paga o le fatture dell’ENEL per intenderci.
4) i libertari sono effettivamente un po’ esagerati e magari anche “naive”, ma qualcosa fanno. Siamo in ambito politico per cui è normale che ci sia qualcosa che non ci va. Per chiarire, non sono iscritto ai libertari.
5) ci sono i tea party. E comunque i politici cercheranno di mettere le mani e sterilizzare qualsiasi movimento che possa, anche di lontano, limitare le loro possibilità di manovra.
6) possiamo lamentarci e continuare a subire. Oppure se volete parliamo di calcio e continuiamo a subire.
@Mauro è evidente che la L di oggi tende verso una XXL domani, è inevitabile.
ironic mode on Una delle cose poco serie che il Movimento libertario sostiene è “Non esiste libertà politica senza libertà economica”. ironic mode off
Se lo stato attuale della politica, intesa anche come pianificatori economici ma non solo, le manipolazioni dei mercati, tassare il lavoro=disincentivare le produzioni ( giustamente l’imprenditore produce dove ha la convenienza), sperperare=tanto paga pantalone, aiutare i raccomandati che consci di avere la giusta spinta sono spronati a non produrre, a non impegnarsi, oppure incentivare investire in aziende destinate al ridimensionamento o auna rimissione certa vedi alitalia.
O si fa parte della categoria raccomandati, oppure giustamente il pensiero di migrare altrove è sempre più forte, l’altra alternativa per quanto mi riguarda è il movimento libertario, non posso essere daccordo su tutto, ci mancherebbe, ma è l’unica realtà che più si avvicina al mio modo di pensare.
L’idea di un LP italiano io non la scarto anche perchè mi rendo conto come seppur la contaminazione con la politica sia una strada sbagliata per un libertario che rifiuta la Democrazia e il sistema statuale tout court, al contempo sia anche l’unica opzione mainstream riconosciuta dalle masse nel tentativo di raggiungere risultati in tempi ragionevolmente certi (anche se non bisogna dimenticare il contesto economico, prima ancora che politico, a livello internazionale non solo italiano o europeo in simil valutazioni).
A fronte delle comunque giuste e virtuose (oltrechè meritorie) iniziative individualiste di altri associazioni o movimenti libertarie (in primis il ML), penso che non si possa escludere un tatticismo d’union e di collaborazioni pur entro le distinte aree e finalità d’azione tattico-strategiche e di competenze tra un simil soggetto duro e puro in politica teorizzato da Giannino e un movimento di teoria e pratica culturale come il ML o anche gli stessi Tea Party.
Penso che non esista un unica risposta al problema e che pur avendo parecchia ragione il ML a non entrare in politica e a ritenere che le riforme o i tagli delle tasse non le si raggiungano creando l’ennesimo partitino parlamentare, questo non implichi di fatto la non necessità di una simile soggetto sulla scena politica, non fosse altro per integrare e ampliare l’offerta di libertà economiche e politiche su un piano differente tra gli individui favorevoli alle libertà economiche e individuali.
Visto che non dovrebbe esserci incompatibilità per questi nel sostenere entrambe le iniziative.
Non è detto che in Italia un possibile LP e l’organizzazione partito, pur con tutti i suoi limiti di azione che conosciamo non possa essere considerato opzione da prendere in considerazione visto il declino del maggior partito di centrodestra e il riconoscimento implicito delle masse liberali e liberiste (e in parte libertarie) di tale prassi di consenso elettorale per farsi sentire e rappresentare.
Il problema è che questa opzione ha valore come tale in quanto in Italia le altre strade e vie per una pratica politica (associazioni, think tank e movimenti) sia fuori che dentro la rete si sono rivelati poco mainstream e non sono riusciti a coinvolgere molte persone verso tali obbiettivi.
L’Italia non sono gli Usa per quanto riguarda il dinamismo nella società e la sua ricezione anche fuori dalla rete.
Purtroppo in Italia che piaccia o no è una Democrazia fondata sui partiti, purtroppo il cittadino crede e pensa che solo il partito possa rappresentare legittimamente o quantomeno contribuire in maniera credibile a tali battaglie e obbiettivi.
Io sui partiti specificamente sul loro modello italiano ho un pessimo giudizio, purtroppo le masse no (anche se i recenti sondaggi sembrerebbero segnare un cambiamento del giudizio dei cittadini verso tale opinione di astensione e rifiuto della politica).
Per quanto riguarda il Movimento Libertario da libertario e da suo simpatizzante, mi pare evidente che abbia molti meriti e molte ragioni di fondo a non scendere in politica (dato che non è solo il scendere in politica ma il decidere di compromettersi con il potere e con le alleanze e intrighi di palazzo una volta superata la soglia parlamentare e raggiunto un proprio valore percentuale per poter contare veramente a produrre risultati discordanti rispetto alle aspettative), purtroppo il suo tipo di battaglia fuori dalla politica non ancora avuto un giusto successo e riconoscimento mainstream in un paese come l’Italia ancorato alla visibilità di Palazzo, in primo luogo presso i liberali classici e i liberisti propensi come molti commenti anche qui riportati (anche da parte di alcuni sedicenti libertari frequentatori del sito ML) a criticarlo più per la sua mancanza di visibilità che per la logica di fondo che lo caratterizza coerentemente.
Mi pare evidente come l’opzione di depoliticizzazione delle idee di libertà e di libero mercato portate avanti dal ML abbiano un senso su un piano finalistico (una società di mercato senza influenza della politica e dallo Stato), purtroppo però mi rendo conto come questo piano teleologico ideale non sia perseguibile se non su tempi lunghissimi e al momento solo teoricamente senza dover far fronte a ciò che avviene nella realtà.
D’altronde l’opzione di un possibile partito politico dei liberisti duri e puri sul modello del LP se per certi versi è un iniziativa che manca e sarebbe cosa nuova e senz’altro da sperimentare pur imparando anche dagli errori e passi falsi compiuti negli ultimi 40 anni da quello americano (e non mi riferisco alle mere critiche interne circa i diritti civili o ai temi libertini come anche qua sollevate da alcuni paleolibertari, ma semmai di organizzazione interna, di fund raising, comunicazione e piattaforma quindi di qualità dei temi e termini economici promossi in maniera anarcocapitalista più che miltonfriedmaniani).
Non si può negare come questa strada miniarchica sia a livello tattico che strategica negli Usa non abbia mai funzionato e sia di fatto per molte ragioni fallita miseramente.
Certo il fatto che negli Usa, nella terra del libertarianismo e del liberismo quanto meno teorico più che pratico, non si sia affermata una tal formazione, dipende molto dalla legge elettorale e dalla presenza di un partito come il GOP, capace di attrarre addirittura gente come Ron Paul.
Qua in Italia non esiste una storia e una cultura profonda tra la gente come quella americana, però non esiste neppure un GOP e certamente il PDL è messo peggio per stabilità e futuro rispetto al partito dell’elefante, inoltre lo scenario politico tende verso la sua decomposizione proporzionalista e non più verso il bipartitismo sul modello americano.
Quindi pensare ad un modello LP in Italia e a un suo successo maggiore rispetto a quello Usa non è assurdo nè un utopia visto poi che FLI non può rappresentare le istanze liberiste (ma al massimo quelle di certi diritti civili e politici) mentre Lega e PDL sono dei partiti leninisti e populisti.
Come anche ha scritto Oscar rimane il problema della selezione della sua coerente classe dirigente partecipante ma io aggiungo anche del modo di operare e di stare in politica e in parlamento per essere credibili e il vero cambiamento che serve a questo paese.
Appare evidente che una simile formazione non dovrebbe ricadere nei giochi di palazzo e nell’orbita d’alleanza con gli attuali responsabili del disastro politico italiano, sia essi di centro, di destra o di sinistra.
Un LP italiano dovrebbe essere cosa a sè stante e avere il compito di abolire il Welfare State e tutti i capitoli di spesa sia in economia, che in politica interna ed estera attuando privatizzazioni e liberalizzazioni vere di libero mercato.
Penso quindi che a livello politico questo dovrebbe guardare sopratutto alla coerenza di Ron Paul e del suo movimento (a partire dalla rinuncia di prebende e finanziamenti pubblici e stipendi parlamentari) ovviamente evitando il suo costituzionalismo e certe peculiarità non imitabili in Italia per ovvie ragioni di diversità di situazioni.
Questo implica che il progetto si appoggi su un fund raising di privati italiani che purtroppo nel nostro Paese sono generalmente corporativisti industriali.
Comunque non è detto che in Italia un possibile LP e l’organizzazione partito, pur con tutti i suoi limiti di azione che conosciamo non possa essere considerato opzione da prendere per farsi sentire pur sapendo che fare le riforme senza arrivare da soli al 51% sarà impossibile visto la cultura statalista espressa dagli altri partiti e coalizioni ci porrà all’opposizione parlamentare per lungo tempo (ma questo non dovrebbe spaventare o indurre a forme neocentriste o di appiattimento verso le altrui proposte).
Quindi penso che un partito duro e puro se organizzato da Oscar fuori dai vari contenitori ed entro un contesto comunicativo nazionale ma privo di alleanze e inciuci di palazzo possa essere più funzionale e integrativo alle azioni di disobbedienza civile del ML che comunque operano su una dimensione tattica e strategica non concorrenziale ma finalizzate ad un altra linea.
Penso che il partito che Oscar ha in mente debba anche tener conto della forma culturale che debba esprimere (dato che l’Italia nè è priva) tenendo conto di una possibile intesa o collaborazione/federazione anche con sigle e associazioni liberiste e libertarie fuori dalla politica laddove gli obbiettivi siano formalizzabili e seguibili compatibilmente senza strappi o lacerazioni.
Con un simil soggetto e certamente finalizzate a una dimensione anche culturale e pratico-divulgativa politica quantomeno si porrà un argine divulgativa e autonoma alla deriva statalista italiana, ponendo sul mercato dei voti una scelta coerente a fronte del vuoto della pseudodestra attuale per chi non ha il biglietto di sola andata per l’estero.
Ciao da LucaF.
Io potrei rifarmi a Hayek, e dire che nell’ordinamento spontaneo della società vengono composte tutte le istanze morali (il mercato è un sotto-insieme di questo processo, con oggetto la materia più strettamente economica). Il risultato è appunto un ordine, fatto anche di normativa, che risulta pure in principi morali a posteriori anche funzionali all’ordinamento realizzato.
Ora, a me come a molti e come a Giannino pare chiaro che esista una preferenza (che non vuol dire unilateralità delle posizioni, ma sicuramente un indirizzo di maggioranza) per il LOW. In effetti essere tutti mediocri, aver caratteristiche mediocri e dover rispondere a richieste mediocri, permette a tutti di confrontarsi ad armi pari, o meglio a “risultati uguali”, dove alla fine “siamo tutti uguali”: nessuno rimane indietro, nessuno emerge (e non deve emergere!) ma nessuno rischia di “perdere”. Parlando di “giochi”, mi pare coerente con un bel meccanismo generale di risk sharing.
Non tutti condividono questo risultato, io per primo, ma se questo è il “sistema” che si è affermato dovremmo sì pensare che una qualche classe politica – deus ex machina – ha stabilito il suo “ideale sociale” fatto di uguaglianza non dei livelli di partenza ma di punti di arrivo (ed è più facile essere tutti uguali verso il basso che verso l’alto) ma dovremmo anche realizzare che, tutto sommato, questo risultato sta bene ai più e può quindi ben essere un risultato “abbastanza spontaneo” delle preferenze degli individui.
Se è così, non c’è gruppo di persone serie che tenga: o ci troviamo con il sedere per terra e siamo costretti a “lavorare bene e sempre meglio” (che è un po’ quel che una fase di “crisi economica” comporta in seno al ciclo) perché resta l’unica via percorribile(qualcosa del genere sta valendo per l’Africa), o chi può emigri (come fanno i senegalesi). Le soluzioni vengono dalle necessità; evidentemente (e non so come) la società non è nel complesso ancora “costretta” a puntare in alto.
Sono d’accordo solo in parte con le conclusioni del suo articolo.
Concordo con lei che la soluzione dell’espatrio è la migliore per i giovani e la raccomando a quelli che mi chiedono un consiglio.
Sono meno convinto dall’opzione “voice”. Di voci ne sento molte, anzi troppe, e sto diventando sospettoso.
Alla retorica della fuga dei cervelli occorrerebbe sostituire una prassi dell’ecologia dei cervelli, incoraggiando il cambiamento e chi ha voglia di fare e rischiare, nelle università così come nella vita economica.
Bisogna anche accettare la realtà: si è ormai persa più di una generazione e rimediare ai danni accumulati, ammesso che sia ciò che veramente si vuole, richiederà molto tempo e molta umiltà.
Occorrerebbe anche smetterla con le cattive abitudini, come bistrattare o isolare le persone intelligenti e perbene (dove la lettera e è essenziale) solo perchè non appartengono a qualche cordata.
Non credo però che basti fondare un movimento: non rido dicendo “illusi” anzi vi auguro buona fortuna. Ma sono diventato un po’ scettico,
lieto di essere smentito dal futuro se dovessi rivelarmi troppo pessimista.
ok, è tutto vero e per ora non c’è nessun partito che mi rappresenta. chi ha la possibilità deve uscire dal continente europeo per costruirsi il suo futuro non vedo tante alternative in europa.
@Leonardo, IHC
bisogna convincersi: una società non livellata può offrire una livello inferiore migliore, smettendo di considerare negativamente le differenze di reddito.