9
Nov
2010

Perché da noi si mistificano i Tea Parties

Ancora una volta, negli Stati Uniti il pendolo elettorale si è potentemente spostato. E ancora una volta lo ha fatto in una maniera che in Italia e nel più dell’Europa continentale risulta incomprensibile. Ve ne fornisco una modesta riprova.

Ho condotto un’indagine registrando sul mio pc 276 articoli dell’intero spettro della stampa quotidiana nazionale e locale italiana dal manifesto a Libero e comprese 15 testate locali più importanti, articoli dedicati alla presentazione delle elezioni di midterm nella settimana che ha preceduto le consultazioni, e oltre 350 nei tre giorni successivi, a commento del risultato. In queste elezioni la grande novità è rappresentata dalla storia e dalla posizione dei Tea Parties, che hanno invertito la polarità come il Contratto con l’America di Newt Gingrich fu la base del lunghi anni di Congresso repubblicano, da metà mandato di Clinton fino alla rivincita democratica sotto Bush figlio. Ebbene, su un totale di oltre 600 articoli, circa 480 davano conto dei Tea Parties come una rete potentemente sostenuta dalle grandi corporations, pressoché agli ordini o quanto meno astutamente strumentalizzata da Karl Rove – il mago della mobilitazione repubblicana sotto Bush padre e figlio – nonché come un movimento in cui abbondavano pazzi e spostati, razzisti del Sud armati fino ai denti, antiabortisti visionari e ballisti predicatori di castità come Christine O’Donnel, che ha finito per perdere disastrosamente in Delaware. Dettagliate e più corrette – a mio giudizio, naturalmente, non ho alcuna pretesa di parlare a nome di presunte “verità” – ricostruzioni dei Tea Parties come movimento che nasce si diffonde localmente, come protesta spontanea dal basso innanzitutto contro le politiche stataliste e salvabanche seguite da Bush figlio ben prima ancora che Obama vincesse le elezioni, prima del voto sono state offerte ai lettori italiani a malapena in una cinquantina di articoli, meno cioè del 10%.

Solo all’indomani del voto, la percentuale di analisi meno estreme dedicate ai Tea Parties si è leggermente equilibrata, soprattutto grazie a vittorie di personaggi di spicco come Marc Rubio in Florida, comunque descritto come politico di lungo corso abile nel cavalcare la protesta ma estraneo alla vera natura del movimento. Gli accenti già mutavano quando si passava alla descrizione di Rand Paul, il giovane oftalmologo vittorioso grazie soprattutto al fatto di essere figlio di Ron Paul, figura di riferimento dell’elettorato libertario pronto anche a candidarsi come indipendente nella gara per le ultime presidenziali, con proposte che in Europa lo fanno passare come matto quali l’abolizione della FED e il ritorno in sua vece al regime del gold standard. Tra parentesi, nella nuova Camera dei Rappresentanti a nettissima maggioranza repubblicana è proprio Ron Paul, il candidato senior repubblicano numero uno alla carica di presidente del sottocomitato alla politica monetaria che è l’interfaccia parlamentare al quale la FED di Bernanke risponde direttamente, visto che nell’ordinamento americano l’autonomia e l’indipendenza del regolatore monetario non lo sottrae a uno stretto regime di audizioni parlamentari, nelle quali i congressmen passano al setaccio le decisioni e gli orientamenti della banca centrale.

Commentando il voto nel mio appuntamento quotidiano con gli ascoltatori di Radio24, ho chiesto esplicitamente al direttore della Stampa, Mario Calabresi, che sul suo giornale insieme al Foglio di Giuliano Ferrara a mio personalissimo giudizio ha dato le informazioni più estese e corrette sui Tea Parties, se non pesasse un pregiudizio tutto italiano e per molti versi europeo, nel leggere i fenomeni spontanei della società americana attraverso lenti deformanti e spesso addirittura caricaturali. Mi ha risposto di sì, che anche nella sua esperienza di corrispondente dagli USA aveva spesso toccato con mano che questo pregiudizio c’è eccome.

Non è questione di malafede, o di voler artatamente leggere la politica americana con l’occhio italiano ed europeo, che è abituato a considerare i partiti politici come unici veri attori della politica e, di solito, con una forza o un polo a maggioranza moderato-cristiano alla quale si oppone un grande partito o un’alleanza progressista-socialista. Un doppio binario che negli States è fuorviante: perché lì la mobilitazione dal basso indipendentemente dai partiti è costitutiva dell’idea stessa dell’Unione, il socialismo non c’è mai stato, e l’impronta religiosa e cristiana vive e influenza pesantemente entrambe le basi e le dirigenze sia democratiche sia repubblicane, con accenti diversi ma a volte assolutamente trasversali su temi come l’aborto, la bioetica e la ricerca sulle cellule staminali.

C’è qualcosa di più profondo ancora del vizio politologico. E’ un difetto culturale, quello che tanto spesso ci impedisce di capire l’America profonda. Perché siamo pronti a comprendere l’America liberal, quella delle élite accademiche, mediatiche e e degli affari della costa orientale come californiana che da sempre costituiscono il bastione del pensiero progressista americano, favorevole all’intervento pubblico e alle politiche redistribuzioniste, alla forte impronta statalista nella sanità come nel campo ambientale. Sono quelle èlite, sommate a un forte scontento per la guerra in Iraq e in Afghanistan, che nel 2008 si mobilitarono per una riuscitissima campagna dal basso e di raccolta fondi online che risultò decisiva per la vittoria del primo presidente nero contro l’accoppiata McCain-Palin. Una vittoria della quale il primo fattore era l’elevata partecipazione al voto, perché tradizionalmente più si alza l’afflusso alle urne dei ceti a basso reddito, migliori diventano le chances dei democratici.

Ma come siamo tradizionalmente propensi ad avvertire l’impegno delle èlite progressiste americane come qualcosa di familiare a quanto avviene nella politica europea, restiamo invece diffidenti e incapaci di capire una mobilitazione dal basso che non passa affatto dalle élite e che anzi le contesta apertamente, a cominciare dal campo conservatore e da quelle del partito repubblicano. E’ esattamente questo il segno originale dei Tea Parties, che in tutti i sondaggi di cui i lettori italiani hanno letto poco o nulla hanno visto impegnati in maniera crescente elettori che si dichiaravano indipendenti fino a percentuali del 40%, meno lontani dai repubblicani ma comunque per un 16-17% dei casi dichiaratamente ex elettori democratici e non solo alle presidenziali per Obama, ma tradizionalmente al Congresso o per governatori dello Stato.

Che cos’è, allora, a impedirci di capire l’anelito libertario prima che liberista che viene espresso questa volta dai Tea Parties, ma che è una componente permanente e ricorrente dell’impegno civile americano fuori dai partiti e dalla lobbies, siano delle grandi banche che da decenni si sono “comprate” il regolatore USA odelle grande compagnie di ogni genere e settore, dal petrolio agli armamenti, dall’auto a Internet? Essenzialmente tre cose, tre valori, tre princìpi che sono fondanti per decine di milioni di americani nella loro vita quotidiana, prima ancora di ogni giudizio politico sull’amministrazione temporaneamente in carica. I tre princìpi riguardano la proprietà, la libertà e l’eguaglianza. Per moltissimi americani, queste tre parole hanno e manterranno un significato profondamente diverso da come suonano ormai a noi italiani ed europei.

Per noi, la libertà non è più minacciata da alcuna tirannide, e la proprietà privata costituisce non più un bene da affermare come diritto naturale pre esistente a qualuqnue pretesa dell’ordinamento positivo, dello Srato e della politica. La proprietà privata ormai da tempo, nel nostro Paese e nella generalità dell’Europa continentale e scandinava, è anzi un limite sempre più pesante al perseguimento dell’eguaglianza. Per milioni di americani al contrario, anche tra coloro a bassissimo reddito e con le qualifiche più basse nel mondo del lavoro – ce n’è un’infinità nei Tea Parties, non sono ricchi avvocati o rancheros texani – la libertà è per sua stessa natura non egualitaria, perché gli esseri umani differiscono tra loro per forza, intelligenza, ambizione, coraggio e per tutti i più essenziali ingredienti che contribuiscono al successo. Come ha scritto Richard Pipes nel suo bellissimo “Proprietà e libertà”, le pari opportunità e l’eguaglianza di fronte alla legge – nel senso enunciato da Mosè nel Levitico 24,22, “ci sarà per voi una sola legge per il forestiero e per il cittadino del Paese, poiché io sono il Signore vostro Dio” – sono non solo compatibili con la libertà, ma essenziali per la sua sopravvivenza. Ma la parità dei compensi e degli averi – tanto cara a noi – invece non lo è. Anzi essa è del tutto innaturale e pertanto raggiungibile solo attraverso la coercizione. E non c’è coercizione buona quando essa è esercitata in mille modi dagli incentivi e disincentivi pubblici o dalla fiscalità progressiva esercitata dallo Stato, perché al contrario tale coercizione stabilita e perseguita da chi esercita il potere per mandato elettorale risulta ancor più dispotica e inaccettabile di quella esercitata con la forza da un tiranno.

Per quei milioni di americani che si sono mobilitati nei Tea Parties gridando basta all’eccesso di debito pubblico acceso da Obama, ancora insufficiente per i liberals come Paul Krugman e potentemente monetizzato dalla ossequiente FED di Bernanke, l’uguaglianza redistributrice è subdola e inaccettabile perché alzerà ulteriormente le tasse, intaccherà ancor più gravemente le libertà naturali dell’individuo, attribuirà alle persone incaricate di garantirla una serie di privilegi che li innalzeranno ancor più al di sopra del popolo.

Un intero filone della storia americana continua a considerare l’eguaglianza come primo e vero nemico della libertà. E diffida dello Stato e del suo welfare invasivo. Per quegli americani, i diritti economici di libertà indidividuale – cioè la proprietà, e questo spiega anche il diritto a portare armi – resteranno sempre più forti dei diritti civili a un equo trattamento stabilito dall’alto. Per loro, la proprietà privata è l’essenza stessa della diseguaglianza, e al tempo stesso procurarsi una proprietà col successo personale è la più importante delle libertà.

L’Europa, dopo il crac della finanza ad alta leva che spingeva milioni di americani a procurarsi proprietà attraverso l’eccesso di debito, ha pensato che fosse venuto il momento di una vittoria epocale. Finalmente l’anelito proprietario e libertario americano era spezzato per sempre. Lo Stato e le sue politiche redistribuzioniste erano l’unica risposta, l’unica via alla civiltà che tempera l’individuo nel nome degli interessi generali. Che sciocca illusione roussoiana, questa europea. I Tea Parties ci dicono il contrario. L’America profonda sa che crescerà più e meglio di noi con meno Stato o senza Stato tra i piedi. Come è sempre stato. Per questo, del resto, negli USA per ogni cittadino che vive solo del proprio ce n’è non più di 0,6 che percepiscono un qualche reddito integrato o corrisposto dal settore pubblico, mentre in Europa la percentuale è più che doppia da noi, tripla in Francia e quadrupla in Svezia. NOI Siamo figli dell’idealismo organicista, in chiave solidarista cristiana o socialista. La maggioranza degli americani ne resta immune. Quando lo capiremo sarà sempre troppo tardi per noi. Perché, oltre a crescere meno, per questo errore culturale avremo anche subìto più del giusto gli effetti di un’egemonia americana che, nel mondo nuovo, è soggetta sì a potenti ridimensionamenti. Ma portati dalla Cina, non dalla vecchia Europa appesantita dalle sue illusioni.

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11 Responses

  1. Francesco F.

    Che i Tea-party folks siano portatori di un messaggio antistatalista e individualista non c’e’ dubbio, tuttavia non direi che che questo nasca da una sorta di pensiero liberale (inteso all’europea, ovviamente) ma piu’ da luoghi comuni della storia americana (proprieta’, liberta’) ugualmente vaghi e in se’ “giusti” quanto quelli europei (uguaglianza).

    Ad esempio, il loro riferimento ai padri fondatori mi pare non molto diverso da quello leghista alle origini celtiche, cosi’ come piu’ in generale la natura iper-populista del movimento (chiaro, populismo all’americana: condito di quegli elementi che hai descritto bene). Che poi sostengano anche una cosa condivisibile come no deficit spending e’ un altro discorso, credo.
    La prova che pur facendo molto rumore, non sposteranno gli equilibri politici e’ che dove i Republican hanno scelto candidati tea-party, hanno sostanzialmente perso.

    Nessun dubbio, invece, sui risultati di analisi & coverage della stampa italiana!

  2. @ Francesco F.
    Mi pare che il suo intervento sia foriero di molti misunderstanding (quegli stessi che denuncia ottimamente Oscar anche in questo articolo) derivati forse da una lettura troppo letterale di quanto distopicamente descritto da gran parte della stampa italiota.
    Anzitutto mi pare che il pensiero liberale lo dobbiamo pure contestualizzare senza darlo troppo per scontato.
    Mica esiste un solo pensiero liberale sia in Italia (si veda dicotomia Croce-Einaudi) che in Occidente (liberalismo classico/liberalismo-conservatore vs liberalismo democratico o liberalsocialismo).
    Detto questo mi pare evidente che in Europa (putroppo anche comprendendo l’UK) per liberalismo politico non intendiamo Locke o Smith ma solo e solamente la solita salsa nazional-ottocentesca mixata da un liberalsocialismo radical-chic progressista.
    Mi pare evidente che fattivamente in Europa (isole britanniche incluse dove pure i Tories tagliano la spesa pubblica, le loro issues sono legate alla Big Society non all’individuo, i libdem UK poi sono più una sorta di ircocervo radicale che altro…) non esistano partiti liberisti e antistatalisti che promuovano fattivamente l’idea dell’individuo rispetto alla società con una risonanza pari ai Tea Party americani.
    Ergo in Europa i partiti liberali di fatto sono ormai quanto di più simile a un partito progressista o centrista (negli Usa li chiamerebbero RINO Party).
    In Italia lasciamo perdere qua siamo rimasti al fasciocomunismo inzuccherato di clericalismo o di nazionalismo-central-localista a seconda delle bande di palazzo, quindi guardiamo altrove….
    Il pensiero all’europea è il pensiero socialdemocratico che ha portato ad avere montagne di debiti pubblici e non è un caso se questo pensiero liberaleuropeo ha portato parecchi Stati sull’orlo del default.
    Non è neppure un caso che tale pensiero europeo sia lo stesso di Obama e dei Democrats i quali non a caso hanno malpensato in questi due anni di mandato di europeizzare gli Usa a danno degli americani.
    Non mi pare che uguaglianza abbia lo stesso valore di libertà e di proprietà dato che la prima non garantisce le seconde (e se permette due son meglio di una anche solo da un punto di vista di libertà di opportunità….!).
    Non capisco cosa lei intenda per luoghi comuni americani.
    Forse lei non è proprietario di niente?.
    Ama essere libero, o preferisce essere schiavo di qualcuno?.
    Mi pare che la libertà individuale e la proprietà privata siano i fondamenti riconosciuti del diritto giuridico occidentale in quanto diritti naturali inalienaibili, non mi pare che esista un paese evoluto e di tal nome che abbia abolito la proprietà privata e la libertà individuale senza che finisse male (e parecchio….).
    L’uguaglianza se tale dev’essere deve essere solo come prospettiva di partenza (come sanciscono i diritti naturali) non certo nei suoi risultati conseguiti.
    Il suo discorso sui Padri Fondatori mi pare evidente sia il concentrato di malafede e di capziosità: i Padri Fondatori sono esisti, hanno fondato gli Usa e hanno sancito una Costituzione americana che ancor oggi è il documento base della società americana (ma più in generale della civiltà occidentale e di quella liberale classica da lei evidentemente mal conosciuta).
    I leghisti sono una banda di cialtroni che si limitano a citare un nonluogo (la Padania) nel disperato tentativo di far passare in cavalleria le loro poltrone e il bengodi dirigenziale romanocentrico dei loro eletti agli occhi dei loro fideistici elettori.
    Tra Umberto e Renzo Bossi e John e John Quincy Adams mi pare già del tutto evidente da che parte penda un giudizio storico favorevole in chiave autenticamente federalista.
    Paragonare i celti con i Padri Fondatori significa anzitutto non aver ben chiaro il concetto di tempo e di consequenzialità dei fatti e degli eventi.
    Questo potrebbe essere tipico di un leghista che non a caso difetta nel ricordare come tra i celti e i comuni medievali esista un abisso di circa un migliaio di anni (di cui buona parte legato a un certo impero romano), ma francamente presumevo che lei da critico dei leghisti non cascasse in un simile errore alquanto grossolano.
    I padri fondatori sono direttamente coinvolti e partecipi nella fondazione degli Usa e della sua indipendenza.
    I celti e la “Padania” sono un gioco di ruolo in costume nel fantasy.
    Altro discorso sarebbe stato se lei avesse puntato su eventuali contraddizioni del messaggio dei Padri fondatori con il loro operato storico o l’ingenuità del valore formale di una Costituzione o di un limite del potere all’interno del quadro liberale classico rispetto a quello libertario ma dato che lei non li ha posti evito di dilungarmi in cose che evidentemente non può intendere.
    Lei continua a chiamare “populismo” qualcosa che Oscar Giannino non ha neppure menzionato nel suo articolo con tale termine.
    Appare evidente allora il suo artifizio neolinguistico nel tentativo di incardinare a partire da una sua fittizia attribuzione un suo pregiudizio o contenuto valoriale distopico laddove neppure è presente nell’articolo.
    Questo nel tentativo di realizzare un dibattito campato in aria….
    Il populismo negli Usa è storicamente ben altra cosa e di ben altra sponda da quella Repubblicana o individualista libertario.
    Usando il termine populista in riferimento ai Tea Party lei non fa altro che ricalcare il clichè della stampa sinistrata criticata giustamente da Oscar nel suo articolo.
    Mi spiega qual’è la prova che le fa dire dopo la grande vittoria GOP (maggiore di quella del ’94) che i Tea Party non faranno spostare nulla?.
    Le ricordo che il midterm è già passato e di fatto l’ondata rossa è già avvenuta e ha investito Governatorati, municipi, assemblee locali, e Congresso.
    Su questo non c’è alcun dubbio, forse la stampa italiana si è solo improvvisamente ammutolita a fronte della sua stessa disinformazione montata ad arte…
    Se lei guarda alla mancata vittoria al senato mi pare evidente che non valuti come nel caso del Senato si sia votato solo 1/3 dei rappresentanti della camera alta, perlopiù in Stati tradizionalmente liberal (California, Delaware, NY) dove era evidente che i candidati GOP non avrebbero avuto possibilità di vittoria.
    Se poi lei ritiene che i Tea Party non siano riusciti a modificare gli attuali equilibri all’interno del Gop sin dalle primarie, forse è meglio che guardi agli in & out delle candidature e delle vittorie.
    Parecchia gente del notabilato e dell’establishment politico del GOP sin dalle primarie è stata mandata anticipatamente a casa.
    Rand Paul, Marco Rubio sono uomini nuovi dei Tea Party vincenti e coerenti con il messaggio antitasse.
    Gente come la O’Donnell o la Angle erano perlopiù personalità della destra religiosa (di area Palin) riciclatasi entro il Tea Party e puniti anche per questo dall’elettorato americano conservatore.
    Non è stata una grande perdita e forse è stato paradossalmente un bene che tali personaggi siano rimasti fuori dai giochi, così pure i vari Christ e Castle.
    Paradossalmente è meglio tenere un incapace liberal al potere che rovinarsi l’identità e la reputazione con dei centristi voltagabbana inconcludenti e controproducenti alla causa repubblicana.
    D’altronde basta aspettare altri due anni e vedremo la seconda parte del giudizio americano sull’operato dei Tea Partier-GOP e dei Democrats …

  3. Francesco F.

    Gentile Luca,
    Ho letto con attenzione la sua risposta, e a dire il vero..non so bene da dove cominciare.
    Direi innanzitutto che il mio commento era discorsivo piu’ che non accademico, quindi chiaramente alcune parole/concetti che usato sono fraintendibili: non era certo un’esegesi critica del messagio dei padri fondatori USA!
    Tanto di cappello ai suoi riferimenti culturali sul liberalismo (dico sul serio), sebbene mi sia venuto da sorridere pensando che il linguaggio che lei usa (“gli artifizi neolinguistici”) sarebbe probabilmente incomprensibile al 95-99% dei sostenitori dei tea party, anzi inconfondibilmente un linguaggio da liberal di qualche universita’ costiera!
    Aggiungerei inoltre:

    – Il riferimento ai “padri fondatori”: chiaramente l’analogia con la mitologia padano-leghista e’ un po’ forzata, quindi non mi si dovrebbero fare troppe pulci su questo. Tuttavia, da un punto di vista di simbologia e messaggio, il richiamo ad un passato ideale ed ai nobili padri della patria mi pare assolva ad una funzione piuttosto simile nel supporter tipo. D’altronde, a questi “padri fondatori” si puo’ far dire tutto ed il contrario di tutto (tant e’ vero che anche i Democratici hanno storicamente fatto riferimento a passaggi o idee di Franklin o Lincoln) e a questo mi riferivo.
    – dire che i temi di “god, guns, gay” non facciano parte del populismo USA, e di vasta parte dei supporter dei tea party, mah…e comunque mi sembra che Giannino volesse dire “guardate oltre”, non negare questi aspetti (ma di nuovo, non son qui a spiegare significati altrui!).
    – Sul suo innuendo che sia il pensiero socialdemocratico la causa di sovereign default e bancarotta, ci sarebbe giusto da spiegare un paio di “eccezioni” (i.e. il cuore della socialdemocrazia europea) quali Germania, Norvegia, Svezia, … (NB: mi fa dire questo, sebbene di mio sia il primo a sostenere “meno stato”).
    – Infine no, giusto per chiarimento, non ho tratto le mie informazioni dalla stampa italiana, che risiedendo all’estero guardo occasionalmente e solo per questioni italiane (e con crescente vergogna di anno in anno). Al massimo, se la prenda con i britannici FT ed Economist, o cio’ che mi e’ capitato di vedere tratto da fox-tv…

    Non voglio disprezzare i sentimenti, comprensibili ed sinceri, della base popolare dei tea party, pero’ un giudizio politico sul movimento e’ un’altra cosa: e definirlo “populista”, in chiave USA, mi pare innegabile (giudichi per se’ ogni lettore).
    Riassumendo, no, non c’era nessuna capziosita’ nelle mie parole, ma solo la mia (onesta, se non necessariamente condivisibile) impressione su cio’ che mi sembra il movimento dei Tea Party.
    E sul peso nella politica USA dei tea party, time will tell!

  4. adriano

    L’america riconosce in parte le leggi scomode della sopravvivenza.L’europa si culla nell’armonia di non appartenere al disordine sognando una natura benigna che non esiste e di cui si puo’ fantasticare fino a quando i supermercati sono pieni.Dopo,auguri all’uguaglianza delle anime belle,quando la regola del piu’ forte emergerà sull’ipocrisia sonnolenta delle utopie.

  5. salvatore masala

    A dire la verità,mi sembra che non sia la sola stampa italiana che giudica in questi termini i tea party.Sono abbonato alla rivista americana TIME che da mesi praticamente fà a pezzi questo movimento.Chiaramente la rivista non è il vangelo della destra americana ma un pilastro della cultura liberal!D’altronde anche NewsWeek seguo la stessa linea anche se non ha l’attegiamento quasi sprezzante di TIME.
    Concludendo mi sembra che la posizione nei confronti dei Tea party non segua tanto una divisione tra continenti,quanto un confronto ed uno scontro tra i cosiddetti liberals ed i liberisti,indipendentemente dalla loro collocazione geografica.

  6. Per quanto mi riguarda, vivendo nella provincia italiana ed avendo come lettura quotidiana gli italici giornali non mi resta che ringraziare Giannino per questo post in quanto dopo aver letto peste e corna dei Tea Parties ed averli sentiti sbeffeggiare alla radio, cominciavo a credere di non aver capito nulla di quanto avevo letto e sentito al riguardo.

  7. Caro Giannino, grande come sempre.
    Possibile che gli italiani non capiscano che le disuguaglianze e la liberta’, essendo nella realta’del creato, sono l’essenza ed i motori della vita. La fisica ci insegna questo: se poniamo a contatto un corpo caldo con uno freddo si genera un flusso di calore dal caldo al freddo quindi i due corpi interagiscono mentre se sono alla stessa temperatura non succede niente. Ecco, quando non succede niente non cé’ vita, non c’e’ progresso, ç’e’ solo morte. Sembra che il crollo del muro di Berlino non abbia insegnato niente. In quel tempo vivevo e lavoravo in Ungheria ed i mie colleghi ungheresi mi dicevano: se vogliamo viaggiare in occidente dobbiamo richiedere uno speciale passaporto, possiamo farlo una volta ogni tre anni ma qualcuno della famiglia deve restare a casa, se chiediamo una linea telefonica dobbiamo aspettare 5 o 6 anni e comportarci bene con i funzionari, se vogliamo acquistare una automobile dobbiamo pagare 80% alla prenotazione ed attendere la consegna per altri 5 o 6 o 7 anni sempre se ci comportiamo bene con i funzionari. A questo porta l’ UGUAGLIANZA.
    L’ UGUAGLIANZA imposta per legge ci toglia la LIBERTA’, ci trasforma in automi ai quali e’ lecito solo svegliarsi al mattino, trasferirsi da casa ad un altro luogo cosi’detto di lavoro per tornare a casa la sera, mangiare e dormire, l’ UGUAGLIANZA imposta per legge ci trasforma in tubi digerenti.
    http://www.segesufossetremonti.blogspot.com
    Grazie
    Anton

  8. Giuseppe

    @LucaF.
    Condivido la risposta di Francesco F. nella quale si afferma che il suo linguaggio è molto più simile a quello dell’elites delle coste americane, rispetto a quello degli appartenenti di questo fantomatico movimento grassroots che se dialetticamente sfidati preferiscono inseguirti con un forcone in mano (mi è successo personalmente nella contea di Travis in Texas).
    A parte quest’inutile cappello vorrei questionare riguardo ad alcune sue affermazioni.

    “Il pensiero all’europea è il pensiero socialdemocratico che ha portato ad avere montagne di debiti pubblici e non è un caso se questo pensiero liberaleuropeo ha portato parecchi Stati sull’orlo del default.”
    Tra gli Stati sviluppati con minor debito pubblico in rapporto al loro GDP troviamo Danimarca, Finlandia, Svezia, Svizzera…

    “Non mi pare che uguaglianza abbia lo stesso valore di libertà e di proprietà dato che la prima non garantisce le seconde (e se permette due son meglio di una anche solo da un punto di vista di libertà di opportunità….!).”
    Non mi sembra nemmeno che le seconde garantiscano la prima; inoltre non è assolutamente verò che- ad esempio- libertà ed uguaglianza si autoescludano. Inoltre riguardo alla libertà rimane sempre il problema di dove la libertà di un singolo finisca per escludere la libertà di altri individui. Ho smesso di fare il trader in commodities quando mi sono reso conto che il mio stipendio a 5 zeri che mi garantiva la libertà di andare il fine settimana a sciare ad Aspen escludeva la libertà di altre persone in giro per il globo che non potevano nemmeno decidere cosa mangiare per cena.

    “L’uguaglianza se tale dev’essere deve essere solo come prospettiva di partenza (come sanciscono i diritti naturali) non certo nei suoi risultati conseguiti.”
    Condivido. Assicuriamoci di garantire questa base di partenza e di non dare supporto a chi rivendica la libertà di negare l’istruzione a chi non se la può permettere perchè dei suoi soldi vuole farsene ciò che più gli interessa.

  9. Riccardo P

    …l’unica cosa che mi dispiace e’ che ho letto questo dibattito solo oggi a idee anni di distanza…un vero peccato. r.

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