Perché conviene a tutti dividere Alitalia in due
Nel breve tempo intercorso tra la prima scadenza per l’adesione all’aumento di capitale di Alitalia e quella prorogata, che è alla mezzanotte di oggi, il panorama del trasporto aereo italiano è profondamente mutato per effetto delle scelte di offerta di due importanti vettori low cost, la spagnola Vueling e la più nota Ryanair. Vueling, che fa parte di Iag, il gruppo nato dall’aggregazione di Iberia con British Airways, accresce la sua presenza a Fiumicino collocandovi otto nuovi A320 e moltiplica per tre la sua offerta attuale, affiancando per la prima volta alle abituali rotte europee anche sette rotte interne al nostro paese. Otto aerei da circa 165 posti per 4 voli quotidiani l’uno corrispondono a un’offerta annua di oltre 1,9 milioni di posti disponibili e a più di 1,5 milioni di passeggeri previsti a bordo. Una simile crescita è prevista per Ryanair, primo vettore europeo, non solo low cost, per numero di passeggeri. Il vettore irlandese però fa di più, arrivando per la prima volta a far base in un aeroporto principale come Fiumicino, rispetto al tradizionale Ciampino, e si offre, attraverso le parole del suo a.d. O’Laery, di collaborare con Alitalia:
Ryanair lancia nuove rotte in Italia e tende una mano ad Alitalia, proponendo una collaborazione con l’ex operatore nazionale per fornire passeggeri ai suoi voli internazionali. Il rafforzamento nel nostro Paese della compagnia low-cost con base in Irlanda parte dall’apertura di quattro nuove basi a Fiumicino, Catania, Palermo e Lamezia e con il lancio di tre nuove rotte domestiche nel Sud Italia, con numerosi voli giornalieri per Catania e Palermo, in Sicilia, e Lamezia Terme, in Calabria. Inoltre, Ryanair a partire dal 2014 sposterà tutti i voli nazionali da Ciampino, dove resteranno quelli internazionali, a Roma Fiumicino, puntando a incrementare dell’8% il numero di passeggeri trasportati, che supereranno i 26 milioni. (Il Sole 24 Ore)
Anche per Ryanair gli aerei aggiuntivi sono otto ma, essendo più capienti, l’incremento di offerta è stimabile in oltre 2,1 milioni di posti in più e i passeggeri aggiuntivi in 1,8 milioni. Infine anche EasyJet accresce le rotte servite e apre una nuova base a Napoli. In sintesi si possono stimare per il 2o14 almeno 4 milioni di passeggeri in più trasportati dai low cost, i quali porteranno il totale di questi vettori a circa 55 milioni e la loro quota di mercato prossima al 47%. Tuttavia sui soli segmenti su cui volano, il domestico e l’infraeuropeo, essi saranno con certezza in grado di superare per la prima volta il 50% nel prossimo anno e Ryanair risulterà il primo vettore italiano per numero di passeggeri trasportati dopo aver forse solo sfiorato tale obiettivo nell’anno in corso (nel 2012 si era attestato a 22,8 milioni, 1,5 in meno rispetto ai 24,3 del vettore di bandiera).
Cosa significa tutto questo per il mercato italiano del trasporto aereo in generale e per Alitalia in particolare? Semplicemente, come già sostenuto in precedenti occasioni, che nel breve e medio raggio, domestico ed europeo, Alitalia è un vettore superfluo. Potrebbe essere facilmente e rapidamente rimpiazzato da vettori low cost i quali godono di vantaggi di costo che non appaiono replicabili. Invece nel lungo raggio questi vettori, che sono la principale causa dei problemi di Alitalia dal lato dei ricavi, semplicemente non operano. Su molti collegamenti non potrebbero neppure farlo legalmente, non essendo aperti alla concorrenza, ma in ogni caso i loro vantaggi di costo del breve raggio sul lungo si dissolvono. E non è un caso che i due principali operatori europei, Ryanair e EasyJet, non abbiano neppure un aereo a lungo raggio tra gli oltre 500 della loro flotta complessiva. Nel lungo raggio, inoltre, vi è una ben nota carenza di offerta di collegamenti diretti da e per l’Italia, principalmente per il fatto che Alitalia non è riuscita nel tempo a tenere il passo del mercato, non disponendo delle risorse per comperare i nuovi aerei che erano necessari.
Nel 2012 hanno volato su rotte intercontinentali dirette da/per l’Italia 15,7 milioni di viaggiatori. Quanti con Alitalia? Non si conosce il dato, tuttavia è sicuramente più basso, con meno aerei impiegati, di coloro che volavano su queste rotte con la vecchia azienda. Nel 2007 furono 4 milioni con 25 aerei, il 29% dei 14,7 totali. Possiamo immaginare che siano ora non più di 3,5 milioni (con 22 aerei). Sarebbe il 22% di questo mercato, con il restante quasi 80% coperto da vettori di altra nazionalità. Questo si verifica tuttavia non perché Alitalia soffra di un insuperabile svantaggio di costo ma perché semplicemente non disponeva delle risorse per accrescere la flotta e perché il vecchio piano Fenice sbagliò clamorosamente, come ai tempi facemmo inutilmente osservare, nel sottovalutare le potenzialità del lungo raggio. Per fortuna se ne sono accorti, hanno comperato nuovi aerei, ne hanno ordinato parecchi, 12 A350 di cui 4 arriveranno nel prossimo anno. Sarebbe un vero peccato se questo percorso di crescita, molto utile al paese, dovesse interrompersi.
E allora perché non dividere Alitalia in due? Perché non creare un’Alitalia World per il lungo raggio e un’Alitalia Europe per il breve, domestico ed europeo? Si tratterebbe di farlo, inizialmente, solo da un punto di vista societario, non necessariamente anche proprietario, al fine di avere conti economici separati. Quello del lungo raggio a mio avviso dovrebbe essere, ed essere stato, in attivo mentre le perdite concentrate nel secondo (per via della concorrenza tariffaria dei low cost). Se è effettivamente così si aprono tuttavia prospettive nuove ed interessanti, sinora non prese in considerazione:
1. Il vettore di lungo raggio potrebbe anche essere acquisito da un solido vettore non europeo perché in questo caso diviene irrilevante la regola secondo cui un vettore comunitario non può essere controllato da un soggetto economico non comunitario per poter volare su rotte interne all’Unione.
2. Può restare da solo, se gli azionisti attuali e prospettici sono in grado di garantirne le necessarie risorse finanziarie.
3. Potrebbe essere partecipato da soggetti pubblici e persino controllato dallo stato (anche se da liberista lo sconsiglio vivamente) perché in questo caso, con bilanci in utile, si tratterebbe di un investimento di mercato e non di aiuto di stato. L’U.E. non potrebbe dire nulla.
In sostanza di aprirebbe un ampio ventaglio di opzioni, nessuna delle quale ora disponibile.
Rimane a questo punto il problema del vettore di breve raggio, non in grado sinora di competere con i vettori low cost. Qui la soluzione è una sola, vi è un solo modello di business sostenibile, compatibile con differenti assetti proprietari (escluso, per via delle perdite solo quello pubblico): quello del vettore soft low cost, alla EasyJet per intenderci. E’ possibile in Italia? Forse no, se si considera il fisco high cost che grava sul vettore con alte accise sul gasolio (anche sugli altri vettori, a dire il vero, ma essi si riforniscono più spesso all’estero di quanto possa farlo Alitalia), con un’alta aliquota contributiva sul fattore lavoro, con tasse aeroportuali che inglobano investimenti futuri di cui un vettore che sta per fallire di sicuro non potrà avvalersi, con balzelli fantasiosi di diversa natura, come la tassa sul rumore con la quale la regione Lazio finanzia i suoi sperperi sanitari. Un vettore italiano low cost può non essere possibile in un paese come il nostro e la dimostrazione potrebbe essere la falcidia con la quale sono cadute tutte le compagnie più piccole che hanno provato a volare qui da noi.
Ma in questo caso il governo sarebbe posto di fronte all’alternativa secca tra ripristinare rapidamente condizioni di sistema in grado di tenere in piedi sui voli europei un vettore nazionale di normale efficienza costo (per la parte controllabile dalla sua gestione) oppure accollarsi l’onere economico e sociale di 10 mila disoccupati aggiuntivi.