24
Gen
2022

Per una nuova destra?

L’erratico atteggiamento tenuto dal centrodestra in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica ha rafforzato una sensazione già nota. Pur scontando una stolida opposizione da sinistra e la presenza di certi ingombranti nomi, infatti, la coalizione tra Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e partiti minori non sembra essere riuscita a capitalizzare la posizione di pole position da cui pure partiva, così suggerendo di essere sempre più soltanto un cartello elettorale, e sempre meno un progetto, un programma, un’idea. Alberto Mingardi, scrivendo sul Corriere della Sera, ha inquadrato i termini del discorso osservando, per l’appunto, che «non è questione di saper prendere voti», bensì di «assenza di una prospettiva, di un nucleo di principi attorno ai quali provare a raccogliere persone. Il centrodestra ha i suoi gruppi sociali di riferimento, interagisce con chi li rappresenta, presta ascolto alle loro istanze ma raramente offre loro un orizzonte, un’idea del loro posto nel mondo e in Italia. A furia di evitare di porsi il problema, il centrodestra rischia di ritrovarsi sempre nelle medesime condizioni. Un perpetuo ’94, in cui non mancano i consensi ma non si sa come incidere sul Paese e sui suoi apparati». 

La percepita «assenza di una prospettiva» è al centro del nuovo libro di Daniele Capezzone (Per una nuova destra, Piemme, 2021), un testo che presenta ottimi argomenti per la rifondazione di un centrodestra che sia rinvigorito dalla competizione delle idee. Il lettore che vorrà leggere il libro potrà apprezzare da sé le singole tesi avanzate da Capezzone. Su un paio di esse, però, vogliamo intrattenerci, perché ci appaiono le più importanti, in quanto più direttamente intrecciate all’attualità di governo e a quella “quirinalizia”: linea economica e questione istituzionale. 

Quanto alla prima, l’autore – un liberale che, da anni, è tra i pochi a definirsi apertamente thatcheriano – ha le idee ben chiare. La pandemia ha rimesso al centro del villaggio la mano visibile dello Stato, fideisticamente incaricata non solo di correggere le pretese insufficienze del mercato, ma anche di dettare la linea dello sviluppo a quella miriade di produttori e imprenditori che, generalmente, sanno invece bene come condurre da sé i rispettivi affari. Di contro, scrive Capezzone, anche in tempi di bonus e super-bonus vari, è necessario un approccio “liberale classico”, uno cioè che, nutrito dalla lezione di Hayek, rifugga dalla presunzione fatale del dirigismo e si indirizzi verso «una visione umana e umanistica, in cui l’ignoranza e la fallibilità della nostra condizione devono spingerci a una continua ricerca, e in cui la libertà è – insieme – economica, conoscitiva, politica». 

A quella parte di Italia che, a causa della pandemia, si è scoperta fragile e cittadina senza reddito assicurato, il centrodestra può rivolgersi o – come pure purtroppo fa spesso – accarezzando la retorica dell’assistenzialismo e del protezionismo, o presentando ricette economiche che si fondino sul binomio libertà-responsabilità. Si faccia attenzione, però. Non si tratta, in questo ultimo caso, di resuscitare parole d’ordine come “meno tasse e più mercato”, di cui son piene le fosse delle precedenti campagne elettorali, bensì di costruire – per dirla proprio con Capezzone – «un equivalente liberale della lotta di classe», ossia «un’alleanza interclassista che coinvolga colletti blu e bianchi, oltre alle imprese». Un’alleanza da costruire non «su “micro-politiche”, su scelte minimaliste o congiunturali, ma su una visione grande, di respiro, su idee fortissime e radicali».

Ciò non vuol dire scimmiottare i miti fondativi della sinistra, ridipingendosi d’un tratto come il «partito della working class», bensì di ambire a essere quello «delle opportunità e delle aspirazioni di tutti i cittadini»: «il centrodestra del futuro – scrive Capezzone – deve costruire una coalizione sociale interclassista, che tenga insieme le piccole imprese private, l’Italia tartassata degli autonomi, e insieme la parte di lavoro dipendente (a partire dai colletti blu) che la sinistra ha dimenticato. I forgotten men italiani (imprenditori e dipendenti) vanno uniti, difesi e mobilitati in uno schieramento originale e unito da interessi assolutamente convergenti». Una coalizione del genere, aggiunge l’autore, potrebbe trovare i propri modelli di riferimento in Grover Norquist, l’attivista statunitense che ha fatto della difesa del contribuente la propria missione politica, e Clint Eastwood, sempre pronto a scegliere «la libertà contro la protezione, l’individuo contro i corpi intermedi, la solitudine contro le vaste compagnie».

Anche quanto alla questione istituzionale, Capezzone ha le idee ben chiare. E, anche in questo caso, un riferimento ideale notevole: i Federalist Papers, il documento fondativo del costituzionalismo d’oltre-oceano. I tre saggi che vengono in particolare richiamati sono il 10, il 51 (a firma di James Madison) e l’84 (a firma di Alexander Hamilton): i primi due si occupano della frammentazione e diffusione dei poteri tra livelli verticali e orizzontali di governo, il terzo esalta l’essenzialità della struttura governativa – divisa tra legislativo, esecutivo e giudiziario – come prima difesa delle libertà individuali, spesso più efficace di qualsiasi Carta dei diritti (o di qualsiasi «dirittismo», per usare l’espressione preferita da Capezzone). A corredo di questi tre saggi, segnaliamo anche l’importanza di riscoprire il 78, sempre redatto da Hamilton, a proposito della giustificazione e dell’estensione del sindacato giurisdizionale delle leggi: una lettura ineludibile, in tempi in cui l’equilibrio tra la creazione e l’interpretazione del diritto è soggetto a critici assestamenti. 

Il quadro che ne emerge, sintetizza l’autore, è una «messa in discussione radicale del nostro impianto costituzionale», il quale va fatto evolvere verso un «mix audace di presidenzialismo e federalismo: il primo per conferire carattere “decidente” alla nostra democrazia, il secondo per gestire in modo intelligente una realtà come quella italiana che è per definizione disomogenea (geograficamente, storicamente, culturalmente, economicamente)». Vaste programme, per citare un uomo che è passato alla storia per essere stato uno straordinario riformatore istituzionale: e, infatti, Capezzone rileva che «nell’attesa che il centrodestra prenda coraggio e si impegni per una svolta costituzionale di questo tipo, c’è almeno da sperare nel minimo sindacale: e cioè in una battaglia – che non investe necessità di modifiche della Costituzione – per evitare una torsione ancora più proporzionalistica della già ibrida legge elettorale esistente», la quale «disarticolerebbe una volta per tutte le coalizioni, e indurrebbe ciascun partito a pensare solo a se stesso e al proprio consenso di lista».

Riprendere la battaglia per il presidenzialismo è una delle varie proposte coraggiose che Capezzone consegna alla “nuova destra”: e diciamo coraggiose perché si possono già anticipare gli alti lai che si leveranno da certi ambienti, i quali punteranno il dito contro il rischio di derive autoritarie. Lungi dal sottovalutare questi profili critici (e i pesi e contrappesi servono del resto proprio a questo scopo), davvero la questione istituzionale può restare un tabù, in un momento straordinario come questo, in cui – come ha autorevolmente osservato il prof. Alessandro Morelli – si sta diffondendo «l’idea di eleggere un presidente della Repubblica-capo del Governo e un presidente del Consiglio che sostanzialmente svolga il ruolo di un direttore generale di azienda», riverniciandola però con la patina del “semi-presidenzialismo di fatto”? Altro che de facto, si lavori de jure: se l’equilibrio di potere tra i vari colli romani è ormai nella sostanza alterato, che se ne traggano pienamente le conseguenze sul piano formale. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a uno scivolamento verso una repubblica “governamentale”, con il Parlamento ridotto a un passacarte dell’Esecutivo, senza alcuna pubblica, e dunque consapevole, riflessione; davvero possiamo permetterci di commettere lo stesso errore con una ulteriore, surrettizia trasformazione istituzionale, questa peraltro di portata ancora maggiore?

Dalla risposta a queste e altre domande, tutte puntualmente sollevate da Capezzone, passa la possibilità di emersione di una «nuova destra». Il centrodestra, impegnato nel gran ballo del Quirinale, farebbe bene a mettersi in ascolto.

@giuseppe-portonera

Il libro Per una nuova destra è presentato martedì 25 gennaio in un webinar di Lodi Liberale. Con l’autore, Daniele Capezzone, interverranno Giovanni Sallusti (Giornalista) e Sergio Scalpelli (Presidente Linkiesta Club). Coordina Lorenzo Maggi (presidente Lodi Liberale).

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