Pensioni: resta l’equità violata tra generazioni
La restituzione dell’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo INPS, bloccata nel 2011 per gli anni 2012 e 2013 e giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale, non sarà integrale per tutte i trattamenti comunque alti. Sarà integrale per quelle a 1500 euro, e via via minore fino a fermarsi ai 3mila euro. Rispondiamo a una prima domanda: è coerente alla sentenza?
la risposta è sì, è coerente. Hanno torto sindacati e opposizioni, a cominciare dalla destra che votò quella misura, ad attaccare il governo asserendo che la sentenza della Corte imponga la restituzione di tutto a tutti. Hanno torto marcio, per ragioni formali e sostanziali, e ora vedremo perché. Ma, in ogni caso, anche la decisione del governo non chiude il capitolo. Perché le storture previdenziali sono tante e tali che, soddisfatta la Corte, bisognerà per forza rimetterci mano.
Perché non bisogna restituire tutto a tutti? In primis, perché è formalmente la stessa sentenza della Corte a consentirlo e indicarlo. Poi, nella sostanza: perché non è giusto. Vediamo l’argomento formale. Nei punti 5, 6 e 7 della sentenza sulle pensioni, la Corte Costituzionale, ripercorrendo gli interventi di blocco perequativo a cui in passato diede assenso, ha richiamato che l’intervento del 2011 andava bocciato perché non tutelava abbastanza le fasce più basse, perché biennale e non annuale, e perché non proporzionava gli effetti di blocco in maniera progressiva. Queste tre condizioni si soddisfano dunque non con la restituzione di tutto a tutti, come continuano a ripetere sindacati e oppositori politici, ma reintegrando maggiormente i trattamenti subito superiori a tre volte il minimo INPS, e poi graduando il recupero fino a una certa soglia, e non prevedendolo invece per quelle superiori.
A questo argomento formale, aggiungiamo la considerazione che scrivemmo all’indomani della sentenza. Non ridare tutto a tutti risponde a equità perché. In un sistema a ripartizione come resta il nostro, non è equo continuare a caricare oneri sui più giovani, i cui contributi pagano le pensioni in essere, non avendo più le giovani generazioni né le pensioni retributive né la facoltà di andare in pensione molto prima, come appunto i pensionati i cui assegni i giovani oggi pagano.
Aggiungiamo anche un altro argomento: non uno di coloro che gridano perché cvogliono la restituzione integrale ha indicato da dove avrebbe preso i miliardi che sarebbero occorsi per l’integrale restituzione 2012-2015 della mancata perequazione. Sono tanti: le cifre fatte nell’audizione parlamentare – non casualmente a porte chiuse – dal viceministro Morando sono per gli anni 2012-2015 complessivamente pari a 23,8 miliardi lordi e 17,6 netti (cioè una volta che lo Stato abbia reincassato l’IRPEF relativa) più 6,4 miliardi lordi e 4,6 netti per ogni anno dal 2106 al 2018 incluso. Non solo la Corte, buona parte della politica italiana ha già dimenticato l’articolo 81 della Costituzione che vincola all’equilibrio di bilancio.
Detto ciò, per il recupero deciso dal governo Renzi usa oltrre 2 miliardi di euro coperti in deficit, visto che il sedicente “tesoretto” era deficit e non coperto da tagli di spesa. resta il problema di capire come si coprirà l’esborso “selettivo” scelto dal governo. La Commissione Europea non era d’accordo, ma ora non fiaterà perché c’è di mezzo una sentenza della Corte Costituzionale.
Ma, al di là di questo, il problema previdenziale italiano resta. Guardiamoci negli occhi. La da tanti odiata riforma Fornero ha alzato l’età pensionistica rafforzando la stabilità del sistema, ma nella fretta di evitare la Trojika non ha affrontato il punto vero dell’equità violata, in materia previdenziale: far pagare a chi ha molto meno pensioni maturate con regole diverse da chi ha molto di più.
Anche nel 2015 l’INPS, informa l’organo di vigilanza dell’istituto, chiuderà per il quarto anno consecutivo con un deficit di almeno 5,6 miliardi, e saranno 30 miliardi cumulati dunque da quando, nel 2012, l’istituto ha accorpato la gestione delle pensioni pubbliche in capo all’INPDAP. Le pensioni pubbliche pesano per 65 miliardi di euro l’anno, cioè sono pari a un quarto del totale dell’esborso annuale previdenziale (in senso stretto, esclusi i trattamenti assistenziali a carico dell’INPS), ma i pensionati pubblici sono solo 2,8 milioni, rispetto a oltre 20 milioni in Italia. La loro pensione media è di circa il 60% superiore a quella degli ex dipendenti privati. L’INPS meritoriamente, dacché ne è presidente Tito Boeri, pubblica le cifre delle gestioni previdenziali delle categorie più “privilegiate” dell’era retributiva, come gli ex dipendenti ferroviari, elettrici, postelegrafonici. Categorie che avevano diritto alle baby pensioni, con multipli di trattamento maturato pari anche a 5 o 6 volte i contributi versati.
A fronte di tutto questo, poiché a pagare quegli assegni sono oggi coloro che quelle pensioni se le sognano e pagano contributi assai più elevati, sarebbe necessario un ricalcolo su base contributiva che incida sul differenziale in maniera progressiva, non annullandolo ma almeno contenendolo nei casi di maggior vantaggio rispetto ai contributi versati e per assegni dai 6 o 7 volte il minimo INPS in più. Sarebbe più che opportuno non solo per abbassare il pur pauroso esborso annuo all’INPS che proviene dalla fiscalità generale pari a 90 miliardi. Quanto per diminuire i contributi versarti oggi da chi sta e starà in futuro molto peggio.
La cosa pazzesca e difficilmente digeribile è che un ricalcolo contributivo preciso per i dipendenti pubblici sia difficoltoso perché lo Stato non ha tenuto il conto dei contributi che versava, per il semplice fatto che li considerava una partita di giro rispetto alle pensioni da erogare, e cioè non li versava. Altra conferma del caos pubblico in cui viviamo, addossandone il costo a chi sta peggio.
Ma ha mille volte ragione Paolo Savona, che ieri ha dichiarato: “il ricalcolo delle pensioni sulla base dei contributi versati è doveroso, perché il cittadino deve sapere quali oneri porta a carico della collettività per regolarsi di conseguenza su quale sia la sua posizione nei confronti della società, sia per calmierarsi nell’uso dei servizi che lo Stato gli rende, sia per pretendere che essi vengano prodotti in modo efficiente, tutti conoscenze che devono orientare l’elettore”. Prima di esaminare anche solo l’ipotesi di concedere salari di cittadinanza, cerchiamo di capire quanti milioni di italiani incassano trattamenti che, a tutti gli effetti, sono già una negative income tax, cioè una franchigia positiva sulle tasse che pagano, con un costo a carico di altri cittadini meno fortunati.
non uno di coloro che gridano perché vogliono la restituzione integrale ha indicato da dove avrebbe preso i miliardi che sarebbero occorsi per l’integrale restituzione 2012-2015 della mancata perequazione”
Magari si potrebbe cominciare revocando quello sgorbio di bonus 80 euro, che ingessa i conti pubblici per 10 miliardi l’anno. Berlusconi, per i 2,5 dell’IMU, si prendeva quotidiane bacchettate dai liberali tassatori di prime case.
A proposito di strabismo liberaloide: vogliamo parlare di come avrebbero commentato, gli italici eredi di Cavour, se la sentenza sulle indicizzazioni fosse toccata a Berlusconi? O magari se il provvedimento si fosse dovuto solo a lui e a un suo governo?
Cattivo legislatore, negligenza e imperizia, mancano le basi, le sentenze si rispettano. Renzi, invece, è un argine al populismo previdenziale, l’unica reale alternativa di governo, uno che sa cos’è il vincolo di realtà e via zuccherando.
Non c’entrerà col socialismo nel merito, il liberalismo all’italiana, ma certo ci somiglia molto nel metodo.
E tu Oscar, mi vuoi far credere d’aver fatto un ragionamento da liberale?
La tua riflessione, che pure contiene alcuni spunti veri e condivisibili, difende la soluzione più drasticamente illiberale del provvedimento governativo.
E cioè:
a) fino a quando è giustificabile il blocco della rivalutazione delle pensioni più elevate? Hai fatto due conti sulla conseguenza di questo blocco? Ogni mancata rivalutazione si ripercuote sulle future annualità della pensione usque ad mortem del titolare. Quanto tempo ci vorrà (specialmente in caso di crescita significativa dell’inflazione) perché l’importo delle pensioni non risulti più commisurato all’ammontare dei contributi versati , come dovrebbe essere, (nell’esempio mi riferisco, ovviamente, a lavoratori con reddito elevato che hanno lavorato e pagato i contributi per tutta la vita) ma tenda ad appiattirsi assumendo una funzione puramente assistenziale (da paese comunista). Che fine ha fatto la tesi secondo la quale la rivalutazione delle pensioni trova la sua ragion d’essere nel mantenere il potere d’acquisto delle pensioni stesse nel tempo? (Il discorso sulle pensioni calcolate col sistema retributivo, anziché contributivo, merita di essere approfondito ma non va confuso con le mie precedenti argomentazioni).
In buona sostanza, con la rivalutazione delle pensioni lo Stato dà di più a chi perde di meno o, se preferisci, dà di meno a chi perde di più. La domanda è: è giusto farlo con le pensioni o non sarebbe meglio, eventualmente, che lo si facesse con la fiscalità generale? La mia opinione propende per la seconda soluzione. Togliere ai pensionati il dovuto è un atto delinquenziale, non voglio dare il mio consenso ad uno stato che stabilisce lui l’ammontare della pensione che devo percepire. Siamo o non siamo nella patria del diritto?
b) non capisco perché affermi che il sistema a ripartizione, col quale si pagano le pensioni in essere, sia penalizzante nei confronti dei giovani che domani saranno beneficiati da pensioni più ridotte. Forse sul punto non sono molto preparato e mi sfugge qualcosa di importante. Ma col sistema contributivo, questi giovani, non è vero che più pagano e più avranno? Cosa c’entra il sistema a ripartizione, che è solo una pura modalità contabile?
Su una cosa forse hai ragione. E’ inutile sperare in un approccio liberale all’economia in questo stato che è occupato interamente da persone che si ispirano a principi collettivistici. Tanto vale fare come qualche tuo amico che ha adeguato le proprie idee all’aria che tira ed ha ottenuto incarichi apicali in aziende a controllo statale.
Quanto a “strabismo liberaloide”, basta guardare alla luista dei post su questo blog per vedere che siamo ipercritici della poitica economica del governo Renzi, quaindi la cosa non mi riguarda. I nostalgici di Mr B. farebbero meglio a capire che i provvedimenti si giudicano nel merito – esattamnte come criticavamo B che lasciava correre spesa corrente e tasse – e non col criterio “ah, se invece di R l’avesse fatto B…”
Quanto a “le sentenze si appllcano”: è giustissimo, a patto di averle lette. Come scrivo, la sentenza della Corte spianava la strada esattamente a una soluzioen come quelal adottata. Chi ripete “restituire tutto a tutti” o la sentenza non l’ha letta, o l’ha letta e non l’ha capita, o fa propaganda deficista.
Quanto all’illiberalità presunta di bloccare la perequazione alle pensioni più elevate, non ci siamo proprio. Sapete come funziona in Germania, il meccanismo dela perequazione previdenziale? E’ collegato all’andamento dei salari nominali e reali dei lavoratori dipendenti, per evitare che le pensioni si rivalutino mentre il reddito di chi – in un sistema a ripartizione – le paga coi suoi contributi ha un andamento divergente. In altre parole, quando sindacati e aziende rinnovano contratti con aumenti salariali, essi si riverberanop anche percentualmentye su perequazione pensioni. Se, com’è caputato spesso in germania da 2005 in avanti, i salari son fermi per restituire competitività a sistema, allora la sola indicizzazioen previdenziale avrebbe l’effetto che, per pagare le pensioni in essere, dovrebbero aumentare i contributi versati da lavoratori il cui reddito ristagna, e per evitare questo in Germania allora si ferma anche l’indicizzazione previdenziale. Ecco l’esempio di un vero sistema che si pone il problema dellò’equità tra generazioni: in anni come il 2010 la perequazione fu nulla, e con bassissima inflazione lo stesso sarebbe avvenuto nel 2014 e si è deciso di spalmarne l’effetto in un triennio (visto che i salari inve coi nuovi contratti di questi mesi aumenteranno). Da noi questo nesso tra andamento dei redditi di chi paga i cotnributi e di chi li incassa sotto forma di assegno previdenziale manca, e l’effetto è stato che negli anni 1991-2012 i redditi equivalenti degli over 55 hanno registrato un +18%, quelli degli under 34 invece sono arretrati del 15% (fonte Bankitalia, per chi volesse approfondire l’ottimo Sandro Brusco qui: http://noisefromamerika.org/articolo/appunti-manuale-difesa-spesa-pensionistica)
https://www.ch.ch/it/calcolare-rendita-avs/
un paese notoriamente comunista come la Svizzera fa cosi: qualunque cosa tu abbia fatto nella tua vita precedente (calciatore, dirigente, operaio alla lindt) al massimo avrai 2350 franchi svizzeri…. stop.
Se poi eri dirigente magari hai un fondo pensione… ma dallo “Stato” non un franco di più…
A me sembra civile…
Il patto generazionale insito nel sistema ripartitivo ,costringeva tra l’altro il pensionato odierno a pagare la pensione dell’on. Staller(partito radicale):all’epoca,la D.N. del PRI non ebbe su ciò nulla da ridire.
Ora, i contributi previdenziali sono diminuiti per numero di soggetti ma anche per l’insufficienza dei singoli importi(mini-jobs!).
Il pensionato odierno inoltre contribuisce ancora al sostegno del sistema con la propria IRPEF .
Mi pare che -a prescindere dall’inopportunità sia etica e sia politico-sociale di fomentare dinamiche conflittuali intergenerazionali in questo momento-
si vada verso il disastro:perché il patto sociale è infatti rotto,ma proprio da chi sta facendo il gioco delle 3 carte.
Scusi sig. Giannino, ma che modo di ragionare è il suo? I contributi versati non entrano per nulla nel ragionamento? Visto che è a “ripartizione” si deve sempre ricalcolare sulla base dei versamenti correnti? Io non vedo l’ora che mi ricalcolino la pensione con il contributivo così si avranno delle belle sorprese. Vedrà che verranno penalizzate solo le pensioni basse. La mia pensione è MENO DELLA META’ DELLO STIPENDIO, secondo lei deve essere ancora inferiore? Dove oggi pagano di più? Quando io lavoravo tra la quota a carico del datore e quella a carico del dipendente si versavano SOLO PER CONTRIBUTI, circa il 40% dello stipendio lordo, poi c’era l’Irpef. Oggi cosa si versa? Mi sembra nulla per i nuovo assunti. La vuole smettere di mettere contro i giovani e i loro padri? Quando leggeremo i suoi commenti con la stessa veemenza e precisione per i corrotti e per le imprese che stanno affamando i dipendenti da 35 anni e che hanno causato la crisi? All’Expo pagano 500 euro al mese, anche lì la colpa è dei pensionati o è dei tangentisti che hanno prosciugato tutto e che lei sta indirettamente difendendo? Finché ci saranno persone che ragionano come lei e istigano i giovani verso i nemici sbagliati, dalla crisi non usciremo mai e i politici corrotti e imprenditori inefficienti la ringrazieranno sempre, perché storna da loro la responsabilità. Comunque le ripeto la precedente domanda: la mia pensione è meno della metà dello stipendio, a quanto dovrebbe ammontare secondo lei? Grazie.
Mi scusi Sig. La Torre non capisco con quale calcolo la sua pensione basata sul reddito possa essere più alta con il contributivo. Secondo quanto letto in alte articoli ciò è possibile solo per chi ha avuto stipendi molto alti. Non sono un tecnico comunque il suo caso risulta essere molto raro mediamente il ricalcolo con il metodo retributivo restituisce pensioni inferiori. Quindi per i giovani nella stragrande maggioranza dei casi questa sentenza fa crescere la contribuzione o fa aumentate il ricorso alla fiscalità generale (più tasse per tutti) ma non garantisce loro pensioni paragonabili a quelle calcolate col retributivo. E” questo a mio parere il ragionamento espresso nell’articolo assolutamente condivisibile.
Infatti il mio era uno stipendio alto e avevo solo l’Inps come fondo. Sulla quota eccedente i 70.000 euro l’anno si dava lo 0,9% per ogni anno di lavoro. Comunque non mi ha risposto sui due pesi e due misure nei confronti dei veri responsabili della crisi italiana.
Dimenticavo di dire che mentre la pensione scendeva a scaglioni decrescenti con l’aumentare dello stipendio, fino allo 0,9 per anno, i contributi si versavano sempre sul 100% dello stipendio lordo. Perciò penso che si avranno belle sorprese dal riconteggio secondo il contributivo per gli stipendi alti.
La storia si ripete: quanti liberali poi alla fine si scoprono redistributori e forse per le stesse ragioni per le quali esistono i redistributori.
Fare confronti intergenerazionali è pressochè impossibile. Le varianti in gioco sono numerose e di difficile valutazione. Non si cambiano i patti unilateralmente. La proprietà se correttamente acquisita va difesa. Mi sembra di aver trovato questo concetto a ogni pagina di un testo liberale.
Ma evidentemente non ho capito bene. Dopo la pensione, sempre per ragioni di equtà integenerazionali, forse ti ridurranno i metri quadri della casa. Quanti ipocriti formalismi per prelevare ricchezza nel breve e spenderla sempre nel breve per ragioni ellettorali. Che poi la Corte dicesse proprio quello, non mi stupisce. Di che orientamento politico sono i magistrati che la formano? Chi li ha nominati nel corso degli anni?
Fallito l’attacco diretto alla proprietà, ora la si aggredisce in nome della dea “Redistribuzione e Equità”, divenuta imperante criterio e obbiettivo per ogni valutazione di azione al quale inchinarsi senza porsi domande.
I patti non si cambiano unilateralmente concetto che sostengo anche io. Purtroppo però le regole del calcolo delle pensioni sono cambiate e far pesare il costo tutto su una generazione e nulla su un altra non mi pare corretto. Paragonare questo ad un esproprio mi sembra eccessivo anche perché l’ esproprio in questo caso è stato fatto alle nuove generazioni che a parità di reddito riceveranno pensioni molto minori che quelle che ricevono i pensionati che sono andati in pensioni col retributivo.
Premetto che, a mio giudizio, le sentenze della Corte costituzionale che censurano la “ragionevolezza” del legislatore rappresentano un obbrobio giuridico, poiché sostituiscono a scelte politiche compiute da persone comunque legate alla sovranità popolare (governo eparlamento), scelte politiche compiute da soggetti nominati e non eletti.
Il metro dell’art 3, incensato dai costituzionalisti più vicini alla “sovranità del popolo”, in realtà è un barbaro strumento di valutazione e di avallo di scelte compiute per ragioni squisitamente politiche.
In concreto, “perché” il taglio a partire dal triplo del minimo sarebbe “poco” e quello a partire dall’ottuplo non lo sarebbe?
Lo avesse deciso il legislatore, in forza di una mandato elettivo, poco avremmo potuto dire. Lo ha deciso, invece, un organo nomimato, che fa “sostanza” della legalità formale.
Premesso questo, è facile invitare la consulta ad un’ulteriore valutazione.
È costituzionalmente legittimo che – oggi – un lavoratore subordinato corrisponda i contributi per finanziare la pensione di chi non ha corrisposto abbastanza per ricevere il trattamento percepito?
È legittimo che un lavoratore subordinato finanzi oggi la pensione di chi ha acquisito la rendita dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro, dando per scontato che lavoro sia stato?
Non c’è una lesione dell’art. 3?
Non si sottopongono situazioni uguali a trattamenti diversi?
Non si discrimina?
Oppure ci fa comodo dire che sono “diritti quesiti”, per la semplice circostanza che ci toccherebbero tutti?
Da figlio di genitori con la quinta elementare, ho potuto frequentare l’università, ormai più di vent’anni or sono, solo grazie alla pensione del padre 56enne che ha integrato il reddito da artigiano, e grazie alla pensione della madre che ha corrisposto solo – volontariamente – 15 anni di contributi.
Mio padre ha continuato a lavorare fino a 70 anni compiuti, ottenendo due rivalutazioni della rendita. Nel complesso, ha totalizzato quasi 60 anni di contributi, avando iniziato a lavorare in agricoltura quando erano sufficienti 10 anni.
Conosco invece persone pensionate a 46 anni con 36 anni di contributi, iniziati a corrispondere appunto dai 10 anni, che non hanno praticamente mai lavorato un giorno in vita loro, grazie a permessi, distacchi, malattie, sindacalismo.
Le rendite, nel caso della mia famiglia, sono state impiegate come investimento per far studiare i figli; in altri caso no.
Ciò nonostante, se ci ripenso, mi xento un privilegiato e arrossisco di vergogna.
Grazie.
Buona giornata.
Marco Mecacci.
La previdenza deve ridursi all’obbligo di accontonare risorse per quando non se ne avranno più.Sulla loro entità ognuno decida da sè.Ciascuno vada in pensione quando crede.Gli vengono liquidate le somme versate più gli eventuali interessi e fine della questione.L’impiego patrimoniale determinerà la rendita.Soldi reali non immaginari.L’unico diritto che si ha è di avere un reddito calcolato in base ai contributi versati ma se con un conto deposito al 2% ieri potevo avere 1000 euro e oggi con lo stesso all’ 1% solo 500,la differenza non può garantirla nessuno,tranne il gatto e la volpe del paese dei balocchi.Per l’attuale disastro se la legge è uguale per tutti ed il sistema di calcolo cambia deve cambiare anche per quelle antiche.L’eventuale privilegio acquisito deve essere garantito da chi ha fatto promesse incaute cioè lo stato non da chi è nato dopo.Per farlo bisogna trasferire gli oneri alla fiscalità generale o farvi fronte con il debito o stampare moneta.Per questo occorre la lira.Gli errori dobbiamo pagarli noi non pretendere che lo facciano altri.