Par condicio o disparità? — di Vitalba Azzollini
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Vitalba Azzollini.
Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob)
In presenza di informazioni potenzialmente idonee a influenzare scelte rilevanti della collettività, la decisione di segretarne il contenuto al fine di tutelare la par condicio di coloro che delle informazioni sono oggetto comporta la conseguenza che, diventando dette informazioni “privilegiate” per chi ne venga comunque in possesso, si determini una disparità di trattamento in danno di chi invece ne resti all’oscuro. In forza di tali considerazioni, il legislatore si è orientato negli ultimi anni a optare in sempre maggiori ambiti per la trasparenza, condizione in presenza della quale si suppone che una collettività non bisognosa dell’assistenzialismo paternalistico dello Stato possa compiere con consapevolezza le proprie scelte, mediante la conoscenza di dati e notizie a ciò essenziali.
Nella materia politico-elettorale, evidentemente, l’orientamento è stato diverso. Infatti, l’art. 8 della legge 28/2000 dispone che nei quindici giorni precedenti la data del voto è vietato rendere pubblici o comunque diffondere i risultati di sondaggi elettorali anche se effettuati in un periodo precedente a quello del divieto.
L’argomento è venuto alla ribalta in quanto l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom), preposta alla verifica del rispetto della par condicio, dopo aver autorizzato la società SWG a diffondere anche in periodo pre-elettorale sondaggi sul voto attraverso un’apposita app a pagamento per smartphone e tablet, ha successivamente ritenuto, in forza di ulteriori approfondimenti, che la suddetta applicazione, potendo essere utilizzata da un pubblico potenzialmente molto ampio “con inevitabili effetti di diffusione incontrollata dell’informazione” relativa ai sondaggi sul voto, configuri “un’oggettiva violazione del divieto imposto dalla legge sulla par condicio”.
Al di là di ogni considerazione circa le conseguenze che il cambio di orientamento dell’Autorità in un lasso di tempo molto breve (tra il 14 gennaio e il 6 febbraio) comporta per l’investimento effettuato dalla società interessata nonché per le aspettative del pubblico di fruire della suddetta app, si impongono alcune riflessioni su tale ultima decisione dell’AGCom, ennesimo motivo di dibattito nella controversa questione della par condicio pre-elettorale.
Il comunicato stampa con il quale l’AGCom ha reso nota la propria ultima determinazione ruota intorno ai due concetti cardine di “diffusione incontrollata” e di “pubblico”, ma è bene rilevare un ulteriore profilo, non sufficientemente evidenziato, relativo al fatto che l’offerta di acquisto dell’app fosse stata “largamente pubblicizzata” dalla SWG. Sono le comunicazioni pubblicitarie effettuate da SWG – unico elemento di novità intervenuto tra una determinazione e l’altra dell’AGCom e, quindi, possibile spiegazione del cambio di rotta – che, in quanto indirizzate a una platea illimitata di soggetti al fine di portare a conoscenza di questi ultimi la app che ne costituiva l’oggetto, possono aver indotto l’Autorità a più approfondite riflessioni circa la sussistenza di una divulgazione lesiva del divieto di par condicio.
Ciò premesso, non sembra comunque che la decisione dell’AGCom possa ritenersi sufficientemente fondata.
Se l’offerta via internet della app di che trattasi, destinata a un vasto numero di possessori di smartphone e tablet, costituisce una modalità idonea a dare luogo a quella “diffusione incontrollata” dell’informazione di cui al comunicato stampa dell’AGCom, se ne deduce che, al contrario, qualora fossero state utilizzate modalità caratterizzate da un contatto personale tra offerente e un numero definito di acquirenti, la portata dell’offerta stessa, così limitata nella propria estensione, non sarebbe rientrata nella fattispecie vietata dalla legge.
Ciò non appare tuttavia sostenibile, laddove si consideri che anche tale tipologia di vendita non risulta di per sé idonea ad evitare la successiva potenziale illimitata diffusione dell’informazione che ne costituisce l’oggetto, a meno che non venga assistita da particolari cautele che operino in tal senso, quali ad esempio uno specifico divieto di “comunicazione” del bene-informazione in aggiunta al divieto di “divulgazione” già previsto dalla legge.
Quanto al rilevato concetto di “pubblico”, qualora non definito come superamento di un determinato limite numerico, esso viene di norma connotato dalle modalità attraverso le quali lo si rende destinatario di informazioni, offerte o vere e proprie proposte contrattuali: vale a dire mediante l’utilizzo di mezzi di comunicazione di massa, contenuti standardizzati, contatti impersonali e qualunque altro strumento rispetto al quale i destinatari siano soggetti passivi e inconsapevoli di sollecitazioni provenienti dall’esterno. Sono dette modalità che, conferendo una sorta di “pericolosità” al messaggio veicolato, determinano l’insorgere di un’esigenza di need of protection di coloro che ne sono destinatari. Detta esigenza, nella materia considerata, si concreta nella tutela della par condicio, che se da un lato intende garantire l’effettiva eguaglianza di concorso tra i vari competitor politici, dall’altro mira a evitare eventuali effetti distorsivi della libera formazione delle opinioni della collettività.
Le suddette modalità e, quindi, la conseguente necessità di protezione dei destinatari dell’iniziativa di vendita non paiono rinvenirsi nel caso in esame, in quanto l’offerta ai possessori di smartphone e tablet di un’app avente contenuti informativi circa i sondaggi pre-elettorali non appare connotata da caratteristiche di invasività nei riguardi di un’inconsapevole platea bisognosa di tutela in quanto suggestionabile da una propaganda persuasiva. L’acquisto di un’app presuppone, infatti, un atto di volontà in forza del quale il possessore dello smartphone o del tablet si qualifica non come destinatario passivo, all’interno di una massa, di un messaggio potenzialmente manipolatorio, ma al contrario come soggetto attivo e consapevolmente autore di una serie di atti – quali l’accesso a un apposito sito web, l’accettazione di specifiche condizioni, l’inserimento di una password ecc. – finalizzati all’acquisto di uno specifico strumento informativo.
La materia è evidentemente controversa, come sempre quando gli interessi coinvolti siano molteplici e rilevanti e le esigenze di tutela comportino un loro contemperamento. Considerato che le incertezze interpretative non concorrono alla certezza del diritto, sembra opportuno chiedersi, come rilevato all’inizio, se una normativa improntata alla trasparenza non avrebbe consentito, evitando disparità informative, dubbi e speculazioni su un tema importante qual è quello in esame. Che almeno la vicenda da ultimo verificatasi porti a una nuova meditazione sull’intera materia.
Mai come in questa tornata elettorale i sondaggi sono fatti per essere smentiti. Con un buon 30% di astensionismo, per lo più da parte di gente schifata che ha perso la fiducia in ogni partito, ed una parte di elettori propensa ad esprimere un voto di protesta “a qualunque costo”, non ci sono elementi oggettivi per validare le analisi statistiche sulla base di esperienze passate. Infatti i più consumati leader politici esprimo cautela e cercano di fare proposte che accendono l’interesse di larghi strati di “elettori disaffezionati” indicando vaghe ipotesi di copertura finanziaria per darsi un tono di credibilità. Inoltre, lasciano ai gregari l’onere della rissa.
Quando non hai a disposizione le foto satellitari e i modelli di circolazione atmosferica, l’unico modo per sapere se pioverà è annusare l’aria e osservare la forma delle nuvole sui rilievi, proprio come facevano gli antichi.
Considerazioni essenziali, calzanti ed appropriate. Non è certo l’AGCOM che deve controllare l’accesso all’informazione dei singoli, conseguente all’esercizio delle loro libere scelte. Se il diritto ad informarsi è parte stessa della libertà di informazione e della libera determinazione del pensiero, l’adozione di azioni che interferiscono sulla possibilità di accrescere liberamente la massa delle proprie conoscenze, assume contenuti che ricordano, forse neppure troppo da distante, l’esercizio della censura.
…ma qualcuno sa se l’AGCOM è responsabile delle sue scelte ?
Affermare prima che una attività non è in contrasto con la legge e poi – dopo che una società ha conseguentemente investito per proporre un servizio al mercato ed ottenerne un ricavo ed un guadagno – affermare che invece lo è, può aver generato una impossibilità da parte di questa società di coprire i costi sostenuti.
Chi si farà carico dei costi generati dalla volubilità di questa nostra ennesima Agenzia ?
Mi auguro che non si pensi di metterli a carico della collettività, visto che di tratta di superficialità e/o incompetenza della agenzia stessa.
Ma cosa succederà in questa nostra Italia è un mistero, così come l’insensibilità di politica e media che neppure considerano questa ennesima violazione dello stato di diritto perpetrata da una “istituzione” (agenzia) nata proprio con lo scopo di essere al di sopra delle parti e finita per essere così intoccabile.