Paolo e Giulio
Il fondo americano Knight-Vinke, che aveva osato ipotizzare il break up dell’Eni, e il Financial Times, che ne aveva rilanciato le tesi, non trovano sponde in Italia. Il fondo controlla circa l’1 per cento di Piazzale Mattei, e ha posizioni anche in Enel (di cui aveva sostenuto, tra i pochissimi, la mai lanciata opa sulla francese Suez) e in Snam Rete Gas (a sua volta in pancia al Cane a sei zampe per il 51 per cento). La reazione di Paolo (Scaroni) era prevedibile. Quella di Giulio (Tremonti) meno. Vediamo perché.
Scaroni ha costruito il suo sistema di potere proprio sull’integrazione verticale dell’Eni. Il suo obiettivo politico, prima ancora che economico o finanziario, è serrare il mercato italiano, specie nel gas, in maniera da essere ben più di un campione nazionale: ma un pilastro della stabilità nazionale. Senza l’Eni, l’approvvigionamento energetico italiano crolla come un castello di carte. Le ramificazioni dell’Eni sono pervasive: vanno dal controllo della larga parte della produzione nazionale di olio e gas al dominio sulla rete di trasporto nazionale, sui gasdotti internazionali e financo su una fetta non trascurabile delle reti di distribuzione locali. Altra colonna della politica di Scaroni è l’erogazione di dividendi ricchissimi: di cui gode in primis il maggiore azionista del gruppo, cioè lo Stato (il Tesoro al 20 per cento, la Cdp per un altro 10 per cento). Significativamente, Eni ha strappato fino a oggi una cedola più gonfia di quella concessa dalle imprese paragonabili, come mostra il seguente grafico pubblicato dal Ft.
Questa duplice caratteristica ha fatto la fortuna del sistema Eni. Da un lato, la compagnia può esercitare un potere di mercato enorme, di fronte al quale solo poche e isolate voci si sono alzate con credibilità. Dall’altro, la generosa politica dei dividendi ha creato un disincentivo fortissimo ai governi – tutti i governi – contro l’opportunità di intervenire in senso pro-competitivo. I dividendi pagati dall’Eni funzionano come una sorta di entrata parafiscale, in cambio della quale viene tollerata l’attuale posizione dominante che è garantita dall’inadeguatezza normativa e regolatoria. Si è arrivati al paradosso che, come ha raccontato Enrico Morando, Rifondazione comunista si è impuntata perché la legge che impone la separazione proprietaria di Snam dall’Eni non abbia una data oltre cui tale passaggio diviene obbligatorio. Se qualcuno sperava che qualcosa sarebbe cambiato con l’arrivo dell’attuale maggioranza, è rimasto deluso: più realisti del re, i parlamentari del centrodestra hanno addirittura affossato (dopo averli prorogagi) i tetti antitrust per l’azienda di Stato.
Tutto è andato liscio finché, per ragioni di necessità finanziaria, Eni non ha deciso il taglio del dividendo. Onestamente, va detto che non si poteva fare altrimenti, e che forse la riduzione avrebbe dovuto essere ancor più marcata (come alcuni consiglieri chiedevano): si è deciso per un intervento incisivo ma non rivoluzionario, più che per pragmatismo politico, per non mandare un segnale negativo al mercato, che comunque la notizia non l’ha, ovviamente, presa bene. Il punto che a noi interessa, però, è che il pragmatismo politico in questa decisione non è entrato: causando non pochi problemi a Tremonti, che sull’equilibrio dei conti pubblici si sta giocando tutto.
Quindi, l’attacco di Knight-Vinke fornisce un’interessante perturbazione rispetto alla quale è possibile misurare la febbre del nostro ceto politico. Scontata la reazione di Scaroni, di cui ha dato ampio conto Stefano Agnoli sul Corriere. Significativo l’atteggiamento delle principali riviste di settore: Quotidiano Energia ha ospitato un mio commento (disponibile anche qui), mentre la Staffetta Quotidiana ha commentato la notizia con un tono sostanzialmente attendista (oggi sul tema parla anche, con toni molto critici, Marcelo Colitti). Questo vuol dire poco, nel senso che comunque siamo al pour parler. Però vuol dire che, almeno in quel pezzo di mondo, la provocazione di Eric Knight è stata presa sul serio, e non ha trovato ostilità preconcetta.
Diversa la prospettiva politica. Perché l’Eni è spesso percepita come un centro di potere troppo autonomo, ma è e resta un sancta sanctorum delle partecipazioni statali. Su Libero di oggi, Sandro Iacometti riferisce di un Tremonti infastidito, ma per ora non risultano reazioni ufficiali (anche perché di ufficiale, vale la pena ripeterlo, non c’è ancora quasi nulla, ma è un quasi che fa la differenza). Chi si espone è Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico, che difende lo status quo, liquidando il tutto come “un certo movimento nel mondo economico e istituzionale angloamericano [che] non vede con simpatia alcune iniziative intraprese in questi mesi dall’Eni”. E’ una lettura in parte corretta, se si considerano la botta dell’antitrust europeo sui gasdotti internazionali e il fastidio americano per il coinvolgimento nel South Stream. Il primo affondo potrebbe essere parato tramite la cessione dei tubi a Cassa depositi e prestiti (Dio ce ne scampi), il secondo facendo appello al realismo politico. Il vero problema che Scaroni deve affrontare non è tanto l’uno o l’altro, ma la convergenza di Bruxelles e Washington, a cui adesso si sono aggiunte le borse (che hanno premiato il titolo Eni nel momento in cui Knight-Vinke ha fatto coming out).
Paolo (Scaroni) si è mosso, ed era scontato che l’avrebbe fatto. Intanto, Giulio (Tremonti) è sembrato più taciturno del solito.
il nostro Premier stà spostando l’asse STRATEGICO delle alleanze internazionali dall’Europa e dagli Usa (in crisi e x giunta ora del nemico Obama) cioè dall’Occidente verso la Russia e la Libia… con il GasDotto South Stream sci siamo messi contro Nabucco cioè il GasDotto della Ue che voleva diminuire la dipendenza dalla Russia (oggi al 50%) agganciandosi in parte al Kazakistan ed alle altre Repubbliche dell’Asia Centrale corteggiate pure dagli Usa e dalla Cina…
l’Eni parteciperà naturalmente alla costruzione del GasDotto via Turchia (chissà se ora la Lega si potrà più lamentare con loro come faceva prima :)…
La Libia è già e crescerà nell’Eni..
l’Eni non è un’azienda qualunque…
l’Eni è il braccio essenziale x attuare questa SVOLTA INTERNAZIONALE..
il dividendo (a cui però x lo stato devono essere sommate la Robin Tax e la Tassa Libia) pur importantissimo x il debito pubblico è MENO importante dei nuovi MEGA accordi energetici che si stanno profilando e che influenzeranno x molti decenni l’Italia (se vanno in porto of course)…. quindi Tremonti ingoia..
e Scaroni dovrà essere sostituito con un uomo pienamente partecipe al progetto…
tutto sommato se ci fosse un fondo di verità in questa interpretazione x una volta sarei pure “quasi” daccordo con Silvio (quasi quasi me ne vergogno)… forse anche così si spiegano molti attacchi dell’Europa alla sua persona… lui non è certo un Santo e x questo non c’era certo il bisogno che ce lo confermasse.. ma neppure gli altri son paladini senza macchia interessati alla nostra decrepita d
lei cosa ne pensa ?