5
Gen
2011

Pane e brioches: quando i poveri devono pagare il pranzo dei ricchi

A giudicare dalle solite statistiche post natalizie (qui e qui un paio di esempi), anche quest’anno gli italiani (fatta salva un po’ di cautela, dati i tempi) non hanno rinunciato a mangiar bene e, dove possibile, avrebbero orientato le loro scelte verso prodotti alimentari tipici e biologici. I prodotti tipici, soprattutto quando derivano da agricoltura biologica, sono prodotti di nicchia, tendenzialmente orientati a consumatori abbienti e (forse) consapevoli. Per questa ragione non stupisce affatto che in molti abbiano pensato bene di portare in tavola tipico e bio per cenoni e pranzi di Natale e San Silvestro, quando ci si concede il lusso di spendere qualcosa in più rispetto al resto dell’anno.

I prodotti da agricoltura biologica sono, in sostanza, roba da ricchi. Non potrebbe essere altrimenti, dato che l’agricoltura biologica è molto, ma molto meno produttiva di quella convenzionale, e quindi la mancata produzione dell’agricoltore viene compensata da un prezzo decisamente più alto. D’altronde la filosofia del biologico è sempre la stessa: se io produco mele col baco, qualcuno deve pur essere disposto a pagarmele per buone.

Allora come mai negli ultimi anni i prezzi all’origine dei prodotti agricoli convenzionali e biologici si sono così avvicinati? Oggi la differenza tra un quintale di grano tenero biologico e uno di grano tenero convenzionale è di pochi spicci, mentre quindici anni fa il primo veniva pagato quasi il doppio del secondo. Semplicemente, è successo che non è più il consumatore (che sceglie liberamente cosa acquistare) a pagare il mancato raccolto dell’agricoltore biologico, ma il contribuente, attraverso le sue tasse che si trasformano in sussidi per l’agricoltura biologica e i prodotti tipici, oltre che per i consorzi di tutela e gli enti certificatori, ovvero tutto quel parastato che pretende di sapere meglio di noi ciò che ci piace e ciò che non ci piace bere o mangiare.

In questo modo siamo ritornati, nella vecchissima Europa del ventunesimo secolo, al paradosso per cui le tasse dei poveri servono (ricordate la storiella di Maria Antonietta?) a pagare il pranzo dei ricchi, o almeno a garantire un considerevole sconto sui loro prodotti preferiti.

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21 Responses

  1. Riccardo

    Io penso che,ammesso e non concesso,se il biologico e’ piu’ sano e salutare e quindi riduce ad esempio l’incidenza dei tumori, la sovvenzione pubblica al biologico si ripaga da sola. Ad esempio pare che la maggiore incidenza dei tumori a Ginevra rispetto a Milano sia dovuta alla diversa alimentazione (mi sembra di aver sentito questa informazione su radio24)

  2. e.c.

    Insomma, se ho ben capito, il biologico starebbe costando meno (all’origine) perché il parastato invece di scucire i soldi solo al consumatore li sfila dalle tasche di tutti i cittadini. A mio parere la cosa avrebbe un senso solo se ci fosse un piano per passare progressivamente (e definitivamente) dal “tradizionale” al biologico. Stiamo passando progressivamente (e definitivamente) dal “tradizionale” al biologico secondo un piano ben preciso? Io non lo saprò mai.

  3. Giordano Masini

    @Riccardo. Ci sono molte ragioni per cui una certa dieta può avere effetti positivi sulla salute umana, ma tra queste non c’è il consumo di prodotti biologici. A dirlo non sono io, ma l’American journal of clinical nutrition (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20463045), che ha provato a fare un’antologia degli studi scientifici attualmente disponibili sul rapporto tra salute e cibi biologici. Ebbene, su 98.727 studi trovati, ne sono risultati attendibili, cioè verificati, solo 12, e la conclusione è stata che, cito “da una revisione sistematica della letteratura oggi disponibile, non vi sono evidenze di effetti collegati alla salute come risultato del consumo di alimenti biologici”. Quindi la maggior parte delle nostre consolidate certezze sul consumo di cibo biologico si fondano su una letteratura che dal punto di vista scientifico vale zero.
    @e.c. Mi auguro che un piano per passare davvero dall’agricoltura convenzionale a quella biologica non esista, perché in questo modo i ricchi, oltre a farsi pagare il pranzo dai poveri, comincerebbero anche a rubare direttamente loro il cibo di bocca: semplicemente perché la superficie agricola disponibile non è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale con tecniche agricole che non prevedano l’uso di fertilizzanti di sintesi, fitofarmaci e varietà geneticamente modificate, e se qualcuno pretendesse di farci tornare (tutti) a produrre con tecniche (e costi unitari per ettaro) simili a quelle usate 100 anni fa, significherebbe che qualcun altro dovrebbe restare a becco asciutto (a meno che non decidessimo di abbattere tutte le foreste in attesa che si trovi il sistema per coltivare sulle calotte polari)

  4. NicoLizard

    Mi sembra che la maggior parte delle derrate agricole sia destinata a nutrire bestiame da macello, quindi la soluzione sarebbe semplicemente smettere di mangiare carne. E’ una questione di sostenibilità.

  5. Luciano Pontiroli

    Resterebbe sempre l’alternativa di ritornare all’economica agricola di sussistenza, magari coltivando ortaggi ed allevando animali nelle città…

  6. luca barba

    Sono perplesso dall’analisi e dal tono, mi sembra che si parta da un punto di vista preconcetto da dimostrare.

    Sull’aspetto di salute non entro in quanto siamo in un blog economico e quindi non titolati direi. E’ noto che gli studi sull’alimentazione sono tra i piu complessi. Direi che il consumatore biologico ha probabilmente (ma come sempre dipende dalle scelte individuali) un mix alimentare più equilibrato dettato da prezzi, disponibilità e (forse) consapevolezza.

    Venendo a bomba.

    Mi sembra curioso partire dai cenoni di capodanno ed arrivare al quintale di grano. Le affermazioni chiave come “I prodotti da agricoltura biologica sono, in sostanza, roba da ricchi” non sono dimostrate. O la differenza al momento attuale è pochi spicci oppure i prodotti costano di più. Decidiamo, non possono costare di più al momento di decidere se sono da ricchi e poi invece vedere azzerata questa differenza dalle sovvenzioni al momento successivo.

    Qual è la dinamica di questi prezzi ? E’ forse possibile che si sia formato un mercato del biologico che ha abbassato i prezzi ? E’ forse possibile che l’incidenza della mediazione sull’agricoltura tradizionale sia salita a discapito del costo alla fonte che è invece basso come non mai ?

    L’agricoltura è tutta pesantemente sovvenzionata, quindi mi sembra singolare gettare la croce su quella biologica che è piu human intensive e quindi piu costosa probabilmente, laddove i coltivatori tradizionali a mq hanno costi inferiori e quindi probabilmente sovvenzioni superiori.

    Eventualmente sarebbero quelle sovvenzioni da analizzare ed eliminare in quanto enormemente superiori. Penso che istantaneamente l’agricoltura tradizionale sparirebbe dal territorio nazionale mentre la biologica proprio per le sue caratteristiche di nicchia sopravviverebbe ovviamente a prezzi piu alti. No problem dal mio punto di vista, sarei anche d’accordo, se qualcuno vuol mangiare il pelato cinese scelta sua. Però il problema va posto nella maniera corretta non per dimostrare un punto di vista.

    In aggiunta si trascura il fatto che chi compra biologico, moderato se vogliamo dal prezzo e dalle disponibilità stagionali, compra meno e alimenti di base. Semplificando compra lenticchie invece che salmone e fettine a basso prezzo del supermarket e comunque compra meno perchè non è deficiente. C’e’ una differenza merceologica importante dovrebbe essere analizzata e che non credo proprio porti a costi maggiori sul complessivo.

    Tutta l’analisi sulla superficie agricola mi sembra poco sostenibile per lo stesso motivo. Come qualcuno ha già commentato la produzione agricola mondiale è già di potenzialmente superiore alle necessità della popolazione. E’ che bisogna dar da mangiare alle vacche, scelta del tutto legittima ma certo non razionale dal punto di vista dell’allocazione delle risorse, della salute della popolazione e della risoluzione della fame nel mondo.

    In conclusione non afferro la necessità in un’analisi economica di una certa facile retorica dei poveri che danno da mangiare ai ricchi.
    Trascurando che il pelato cinese e la carne a poco prezzo ci sono e gli italiani non li comprano, andrebbe eventualmente applicata all’intero settore agricolo nazionale, certo non al biologico per se. Andrebbe applicata molto più motivatamente alle auto ed agli elettrodomestici.

  7. gianluca

    Vorrei sottoporVi un’interessante articolo de: “il sole 24 ore” di ieri 06.01.2011
    Mezzo mondo in crisi alimentare (de “il sole 24 ore” del 06.01.2011)
    di Vittorio Da Rold – 6 gennaio 2011

    Dopo il balzo del petrolio, che viaggia ormai spedito verso i 100 dollari al barile, arriva l’allarme prezzi dei prodotti alimentari che a dicembre, secondo la Fao, hanno toccato il record a livello globale, sorpassando i picchi raggiunti durante la crisi del 2008. Un’accoppiata di rialzi davvero diabolica che potrebbe far deragliare la fragile ripresa economica in atto.

    L’indice Fao, basato su un paniere composto da materie prime come grano, riso, carne, prodotti caseari e zucchero, a dicembre è balzato a ben 214,7 punti, in rialzo del 4,2% rispetto a novembre.
    La Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura con sede a Roma, cerca di rassicurare però che il mondo non è alla vigilia di una nuova crisi alimentare, come quella del 2007-08, ma secondo Abdolreza Abbassian, capo economista alla Fao, la situazione è «allarmante». «Sarebbe da pazzi – conclude – affermare che abbiamo raggiunto il picco massimo dei rialzi».
    Di fronte a questo scenario inquientante il rischio è che per molti paesi in via di sviluppo si ripetano le rivolte sociali represse nel sangue per l’aumento dei prezzi del cibo come avvenne nel 2008 in Bangladesh e Haiti. Più recentemente in Tunisia ci sono state le proteste della “baguette” per l’aumento del pane che il 29 dicembre ha provocato due morti.
    Ma in pericolo ci sono anche i paesi ricchi perché gli aumenti potrebbero colpire i prezzi al dettaglio di catene di Fast food come McDonald o società alimentari come la Kraft.
    Inoltre il rialzo dei prezzi alimentari farà aumentare l’inflazione importata in Eurolandia, che metterà (oltre agli aumenti del petrolio) nuova pressione sulla Bce. Se l’inflazione (seppure importata visto che la Ue cresce poco) dovesse rialzare la testa in Europa, la Bce potrebbe dover alzare i tassi e allora sarebbero dolori per la debole ripresa in atto.
    Un eccesso di pessimismo? Forse, ma il balzo di dicembre dell’indice Fao dei prezzi dei prodotti alimentari ha superato il picco più alto registrato durante la crisi del 2008 nel mese di giugno quando l’indice dei prezzi volò a 213,5 punti. E questo è un fatto da cui non si può prescindereE se fosse solo una “fiammata” aiutata e sostenuta dalla svalutazione del dollaro (causata dal quantitive easing della Fed che sta acquistando bond) a far salire i prezzi delle commodity? No, il record di dicembre conferma una preoccupante tendenza al rialzo iniziata nel mese di marzo. Ad ottobre l’indice ha superato la media del 2008 (191 punti) e ora sta continuando a crescere segnando proprio a dicembre il nuovo record degli ultimi 20 anni.
    A pesare sull’incremento dell’indice dei prezzi dei prodotti alimentari sono commodity come lo zucchero, la carne, i semi oleosi e le materie grasse. In particolare lo zucchero nel mese di dicembre è schizzato a 398 punti, superando di oltre il 100% il livello dei prezzi medi del 2008 (182). Un effetto determinato anche dalle poco lungimiranti politiche della Ue che negli anni scorsi ha ridotto selvaggiamente la propria produzione di zucchero, solo in Italia sono stati chiusi 15 stabilimenti su 19 e tagliato un milione di tonnellate di produzione. E adesso?
    L’economista Abbassian comunque evita allarmismi sottolineando che un cereale importante come il riso (cibo principale per 3 miliardi di persone) resta ampiamente al di sotto dei massimi.
    La fattura totale dell’import di commodity toccherà nel 2011 il record, dopo aver toccato i mille miliardi di dollari l’anno scorso. A novembre la Fao ha alzato le previsioni 2010 a 1.026 miliardi, in rialzo del 15% dal 2009 a un soffio dal record del 1.031 miliardi raggiunto nel corso della crisi alimentare del 2008.

    I motivi? Secondo la Fao a determinare l’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari sono inondazioni e siccità e le restrizioni all’export dei cereali imposte da grandi paesi produttori come Russia e Ucraina e dalla debolezza del dollaro che è la valuta di riferimento degli scambi delle materie prime alimentari. Che sia meglio in Europa tornare a seminare grano nei campi piuttosto che impianti fotovoltaici?

    La conclusione è molto interessante e meriterebbe particolare attenzione..

    Gianluca

  8. j

    Un po’ facilone: il mostro biologico sussidiato (da chi? quanto? ci può fornire qualche numero?) che fa morire di fame i poveri.
    Parlerei di esternalità positive del bio e dei prodotti tipici (occupazione, salute degli animali e degli uomini, tutela della biodiversità e chissà quante altre ce ne sono) rispetto ai prodotti intensivi e spruzzati di veleni vari (ricordiamo che le api stanno sparendo, ricordiamo la mucca pazza, guardatevi dei video sulle torture agli animali in allevamenti intensivi, ricordiamo il DDT ecc…).
    Il concetto di bio, inoltre, aiuta a far ritornare l’uomo coi piedi per terra, a toccare con mano come si produce il cibo, mentre ci stavamo abituando tutti un po’ troppo all’idea che il cibo viene dal supermercato e basta.
    Non so se sia effettivamente sussidiato e quanto, ma se lo è ne sono ben felice, sia per i ricchi che per i poveri consapevoli che magari possono avere accesso a questi prodotti e contribuire a un mondo meno “freddo” e più in armonia con la terra.

  9. luca barba

    Aggiungo, volendo estremizzare un punto di vista competitivo, che individuata una nicchia di mercato, con un margine piu alto, un valore aggiunto (non importa se di marketing) che consente un’attività imprenditoriale qualificata, bisognerebbe ragionare su come sfruttare ed incrementare tale attività da un punto di vista di mercato, per competere, come in molte altre industrie, con le economie emergenti.

    Ovvio ed inutile ricordare che alla base ci sarebbero eventuali incentivi per il biologico e non per la tradizionale.

  10. Luca Giammattei

    Secondo me (parlo da cittadino/consumatore) c’e’ una questione a monte che va chiarita, se l’attivita’ agricola debba o meno essere sussidiata (per me no), se rispondiamo di si, pero’ c’e’ poco da lamentarsi se il sussidio viene riconosciuto a tutte le aziende, anzi mi sembrea cosa giusta.
    Detto questo non faccia l’autore l’errore di ritenere che i consumatori abbiano mandato il cervello all’ammasso. Essi sono ben consapevoli (soprattutto l’elite dei c.d. gastrofanatici) che non necessariamente biologico = ‘più saporito’.
    Dal biologico arriva il non trattato, poi la qualità organolettica è un
    altro discorso. Molti (i piu’) cercano imvho la seconda, non necessariamente la prima.

  11. pietro

    @j
    Sui sussidi all’agricoltura Biologica:
    1) Regolamento 2092 del 24/6/91: detta le norme fondamentali sul metodo di produzione biologico, esclusi il settore zootecnico, demandato ad altro regolamento, ed altri settori come la vinificazione e la produzione dell’olio di oliva. Definisce anche le regole per l’etichettatura ed il controllo dei prodotti ottenuti con metodo biologico e per l’importazione degli stessi da paesi terzi. (Per le Modifiche a tale Regolamento si rimanda all’elenco in Appendice B)
    2) Reg. 2078/92: Riguarda i metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze dell’ambiente e con la cura dello spazio naturale: è il più specifico per l’agricoltura biologica e integra la 2092/91, sempre per lo stesso comparto, stabilendo le modalità per usufruire di contributi.
    3) Reg. 1804/99: varato dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, completa, per le produzioni animali, il regolamento CE n.2092/91 sull’agricoltura biologica; in Toscana fin dal 1995 la zootecnia biologica era già regolata dalla legge regionale 54. Il regolamento, che è entrato in vigore il 24/8/99, giorno di pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” della Comunità Europea, è stato applicato il 24/8/2000, fatta eccezione per alcuni punti (divieto dell’uso di OGM e di loro derivati nell’alimentazione degli animali) diventati obbligatori da subito.
    Per il settore biologico, tra i Regolamenti CEE che permettono agli operatori nel campo dell’agricoltura biologica di avere aiuti finanziari c’è il Reg.2328/91 modificato dal 3669/93: è accessibile a tutte le aziende agrarie per il miglioramento delle strutture. Si hanno anche interventi specifici per aziende in zone svantaggiate e per l’istituzione di associazioni agricole in particolare nei sistemi agricoli alternativi.
    L’applicazione di tali Regolamenti è rimandata alla legislazione dei singoli Paesi e, con le seguenti norme nazionali, per quanto concerne l’Italia, sono le Regioni a stabilirne le modalità:
    1) Decreto 338 del 25/5/92: dettava norme sull’applicazione del 2092/91, in (articolare nel campo del controllo, ma è stato annullato dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 10/6/93 su ricorso da parte delle Regioni.
    2) Decreti del 31/12/92: Sono 6 decreti con cui il M.A.F. autorizza altrettanti diversi oggetti giuridici ad esercitare attività di controllo sul metodo di produzione biologico. Inoltre sono autorizzati a partecipare alle attività di controllo anche 6 associazioni in rappresentanza dei consumatori.
    3) Decreto del 14/5/93: Autorizzazione a svolgere i controlli all’organizzazione associativa “Ass. Agri Eco Bio”.
    4) Legge N° 146 del 22/2/94: Ribadisce la necessità di recepire le indicazioni del 2092 e conferma che fino a che non sarà stata fatta una nuova legge, restano attivi come controllori dell’attività biologica i 7 organismi già riconosciuti.

  12. Giordano Masini

    @luca barba. Ho avuto modo in molte altre occasioni, anche su queste pagine, di dire ciò che penso delle sovvenzioni e dei sussidi all’agricoltura (tutta). Ne penso tutto il male possibile, lo dico da agricoltore, cioè da parte in causa, perché incoraggiano l’inefficienza e scoraggiano la competizione, l’accorpamento fondiario, l’aggregazione dell’offerta, il perseguimento di economie di scala adeguate. Tutti quei fattori che potrebbero far sì che anche l’agricoltura europea benefici di quelle opportunità, a cominciare dall’aumento dei prezzi delle commodities, di cui parla l’articolo citato da gianluca. Dal momento che i sussidi costituiscono la parte maggiore del reddito di molti agricoltori, essi finiscono per dimenticare il mercato, e di conseguenza ad essere sostanzialmente dipendenti dal sistema di intermediazione politica che ruota intorno agli enti preposti all’erogazione dei sussidi stessi, sia che si tratti di aiuti diretti che di aiuti allo sviluppo (tra i quali figurano i contributi per l’agricoltura biologica).

    Oggi ho parlato del biologico (partire dal cenone di capodanno è stato solo, ovviamente, un modo per entrare nel discorso che mi interessava) perché effettivamente mi chiedo per quale ragione l’UE debba sostenere in particolare questo tipo di pratica agricola rispetto ad altre.

    @j. Sono stato facilone? può darsi, ed è corretto da parte sua chiedere dati che confermino le mie affermazioni (e mi riprometto di fornirglieli al più presto). Posso però chiederle anch’io su cosa fonda le sue certezze? In un commento precedente ho documentato il fatto che non esistono vantaggi per la salute derivanti dal consumo di prodotti biologici, e che i vantaggi per l’ambiente che potrebbero derivare da un uso minore della chimica (ma andrebbe sempre ricordato che, come diceva Paracelso, è la dose che fa il veleno, e che i prodotti che vengono usati oggi degradano lasciando una quantità trascurabile di residui) sarebbero vanificati dalla necessità di reperire nuove terre coltivabili. Ci sono novità al riguardo?

    Oggi le aziende agricole biologiche ricevono aiuti dall’UE proprio per le ragioni che evidenziava j. alla fine del suo commento: “Il concetto di bio, inoltre, aiuta a far ritornare l’uomo coi piedi per terra, a toccare con mano come si produce il cibo, mentre ci stavamo abituando tutti un po’ troppo all’idea che il cibo viene dal supermercato e basta”. Ovvero, per alimentare una suggestione, quella per cui, magari vivendo in un appartamento i una grande città, possiamo trovare sotto casa prodotti che ci riportino in qualche modo a contatto con la terra. A mio avviso è una suggestione buona per promuovere più che legittime campagne di marketing, che hanno avuto, soprattutto nell’ambito del tipico e del tradizionale, un considerevole successo del quale sono il primo a rallegrarmi (sono un agricoltore italiano e lavoro quindi in un territorio che deve molto al connubio tra terra, cultura e sapori). Ma non mi sembra un motivo sufficiente per dedicarvi i soldi dei contribuenti europei i quali, come dimostra lo stesso commento di j., spesso non ne sono nemmeno a conoscenza.

    ps. sembra che la storia della sparizione delle api non c’entri nulla con la diffusione dei pesticidi, e che abbia cause molto più “naturali”:
    http://www.plosone.org/article/info:doi/10.1371/journal.pone.0013181

    ps2: ci andrei molto cauto ad affermare che il problema della superficie agricola si risolverebbe smettendo di mangiare carne. Ho letto molti articoli che affermano una cosa del genere, ma fanno sempre un paragone a peso tra la carne e i prodotti vegetali: ma equiparare un kg di carne e uno di mais equivale ad equiparare un bicchiere d’acqua ed uno di grappa, dato che sono entrambi liquidi trasparenti. Ogni volta che viene fatto il confronto corretto, ovvero sulle proteine di ogni prodotto e sui valori nutrizionali, il discorso cambia decisamente.

  13. renato

    @ luca barba. “Trascurando che il pelato cinese e la carne a poco prezzo ci sono e gli italiani non li comprano” fonte?

  14. Luca Barba

    @renato

    Intorno casa mia è pieno di discount alimentari dei piu vari generi che offrono valanghe di prodotti ultra economici. Mi è capitato di vedere anche il pelato asiatico. Se poi si seguono est europei ed extracomunitari nelle loro spese si scoprono cose impensabili.

    Il fatto che gli italiani continuino ad esprimere preferenze di consumo diverse è documentato ad esempio dall’ottimo articolo dell’amico Giordano. Sottolineo anche che l’attenzione è prima di tutto sul prodotto italiano ed in generale sulla qualità. Ad esempio il grano arriva da fuori da sempre (anche ai tempi dell’antica Roma) e nessuno si è mai fatto problemi fin tanto che è buono.

  15. j

    @Giordano Masini
    Riporto la mia esperienza personale: non sono ricco, sono un giovane fortunato che ha trovato un lavoro e mantiene la fidanzata disoccupata; sono appassionato di animali ma credo anche nella catena alimentare, per cui porto con me un conflitto interiore tra animalismo e voglia di mangiare di tutto; adoro il buon cibo; non spendo per tecnostronzate varie ma per il cibo cerco di puntare sulla qualità, nei limiti delle mie possibilità economiche; i prodotti che reputo di qualità sono molto spesso quelli tipici e quelli bio, possibilmente locali; quando non riscontro differenze (tipo per le banane) punto sul prezzo; quando sento che il prodotto è nettamente superiore (tipo per la carne) sono disposto a spendere parecchio di più; quando la differenza di prezzo tra intensivo e bio non è abissale (farina, zucchero) cerco di scegliere comunque bio per finanziare questo tipo di prodotto e di economia (mi piace la fattoria, mi piace l’orto, mi piace vedere gli animali in libertà, odio le stalle-loculo, odio i polli in batteria, odio le arance bruciate, odio il latte versato sull’asfalto, sono convinto che i veleni chimici possono causare dei danni anche se i potenti produttori intensivi sono bravi a negare, come le lobby del tabacco negano il legame tra nicotina e cancro ai polmoni – non serve lo scienziato per capire che mangiando 10 chicchi d’uva avvelanati ci si può ammalare, infatti va lavata col bicarbonato).
    Non ho certezze sulla mia salute da consumatore bio, spero che non le abbia neanche chi si scaglia contro il piccolo mondo del biologico con articoli così crudeli ed evidentemente finalizzati a sostenere un dogma (w l’economia capitalistica ormai-old-style mentre le crisi non insegnano nulla e non fanno venire domande; w il nucleare tanto ci si butterà qualche operaio matto nel nocciolo a spegnere l’incendio; chi fa profitti è per forza un benefattore dell’umanità a prescindere da quello che fa; il lavoratore è un fattore di produzione che mette i bastoni tra le ruote al dio azionista ecc…).
    L’unica certezza che ho è che per gli animali il bio è migliore, in quanto si lasciano in spazi più ampi e non vengono nutriti con schifezze che fanno nascere epidemie. Il che lo rende migliore anche per gli uomini.
    Le sovvenzioni aiutano a creare un mercato di cui l’Italia può essere leader mondiale, nel cibo nessuno ci batte.
    Gli enti certificatori mi garantiscono che sto comprando quello che mi aspetto.
    Di terre incolte ce ne sono un sacco, di forza lavoro disponibile ce n’è un sacco: l’agricoltura – biologica e non (anch’essa sovvenzionata in modo assurdo con la PAC – ricordiamolo) – può essere un modo per far lavorare le persone, che è il problema numero uno del nostro paese. Da contribuente sono felice che i miei soldi non finiscano solo nei palazzi a finanziare chiacchiere ma anche nei campi a finanziare buon cibo e umanità.
    Sul fatto che non ci siano prove che il bio fa bene, può darsi, ma ci sono un sacco di prove che il veleno uccide e che l’intensivo crea epidemie, per cui la scelta, almeno per me, è facile.

  16. umbe

    @luca barba
    Ottimo. Concordo. L’agricoltura tradizionale veste molto di più i panni del leviatano rispetto a quella biologica. Inoltre è bene notare che la maggior parte del terreno mondiale impiegato per l’agricoltura chimica produce mangimi per l’allevamento di animali, ovvero di carne per l’alimentazione umana, che, nostro malgrado, è il peggior cibo per combattere le più gravi malattie.

  17. umbe

    @luca barba
    Ottimo. L’agricoltura chimica è la più costosa figlia del Leviatano e in misura esponenziale rispetto al resto della prole. Aggiungerei (permettimi), che la maggior parte del terreno coltivato mondiale, si parla del 70%, produce mangimi per l’alimentazione animale che significa per la produzione di carne per le nostre tavole. Ecco, se vogliamo accennare a cosa fa bene mangiare, la carne è all’ultimo posto.

  18. luciano pontiroli

    @j
    Mi sembra che si confondano cose diverse in un’unica perorazione. Le stalle-loculo erano quelle dell’agricoltura tradizionale, magari nella stessa casa dei contadini (basta avere visitato qualche paese di montagna, ancora in epoca recente); oggi buona parte dell’allevamento avviene in stalle di ampie dimensioni, bene aerate, o addirittura allo stato brado (le cose possono andare diversamente per il pollame, lo ammetto).
    La sovrapproduzione, che porta alla distruzione dei prodotti, è un classico effetto delle sovvenzioni all’agricoltura: i produttori ricevevano contributi CEE proporzionati alle quantità prodotte; forse adesso il sistema è stato corretto ma, come rileva giustamente Giordano Masini, è sempre distorsivo.
    Quanto alla salute: siamo davvero sicuri che i prodotti biologici siano più sani di quelli dell’agricoltura “capitalista” (a proposito, che importanza ha l’agricoltura così chiamata in un paese che ha favorito da decenni la proprietà coltivatrice?)? Qualcuno sostiene che i prodotti biologici possono essere portatori di tossine naturali che sono assenti in quelli dei “capitalisti”.
    Poi, ognuno è libero di coltivare i suoi sogni e di restare attaccato alle sue idee, anche se la storia è andata in un’altra direzione. Ma sarebbe bene rendersene conto.

  19. j

    @luciano pontiroli
    non è vero che l’allevamento intensivo lascia spazio o addirittura lo stato brado, è ridicolo. Per avere la certificazione bio invece è obbligtorio.
    Ad ogni modo la storia va dove la vogliamo mandare noi, io non sono tra quelli che la subiscono passivamente ma tra quelli che cercano di darle una direzione con le proprie azioni. Spero di fare del bene con tutto ciò che faccio e credo che mangiare bio sia bene, mangiare sfruttamento di bestie, malattie di persone, trasporto di prodotti dall’altra parte del mondo, invece, credo sia male. Però non giudico male chi lo fa, io penso a me e non scrivo articoli per dare del ladro a chi cerca di fare del bene.

  20. Luciano Pontiroli

    @j
    Credevo di avere a che fare con un interlocutore corretto e ragionevole, al quale avevo posto alcune obiezioni per sollecitare un approfondimento della discussione. Non è così, obiettare alle ferree convinzioni di j (il solito nick dietro al quale può esserci chiunque) è ridicolo.
    Ne prendo atto e non discuto ulteriormente con lui. In ogni caso, la storia è maestra di vita perché offre “dure repliche” a chi crede di governarla.

  21. j

    @Luciano Pontiroli
    Non la prenda male Luciano, non mi sembra di essere stato offensivo. Ho scritto “ridicolo” solo perché mi sembrava una forzatura dire che gli allevamenti non bio sono allo stato brado!
    Obietti pure quanto vuole, la prego, io provo solo a rispondere.

    Il nick non credo sia un crimine, no? Sono solo un fan dell’anonimato online, che le cambia se scrivo Mario Rossi?

    Saluti.

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