Scuola: 13% di addetti con permessi ex lege 104, solo 1,5% nel privato. Ora basta
Bisogna dare atto al governo di esser stato di parola. Poco dopo il suo insediamento, nel quadro delle misure di ricognizione dei dati della Pubblica amministrazione, aveva annunciato anche l’interpello all’intero sistema scolastico sull’utilizzo della legge 104 del 1992, quella che consente ai lavoratori dipendenti tre giorni di permesso retribuito al mese per assistere congiunti portatori di handicap e malati gravi. II governo ha mantenuto l’impegno. Anche le scuole di ogni ordine e grado sono state dunque sottoposte – come il resto della PA – all’obbligo di comunicazione annuale dei nominativi di chi beneficia dei permessi, dell’assistito e del rapporto di parentela, oltre che del contingente complessivo di giorni e ore di permesso fruiti da ciascun lavoratore nel corso dell’anno in ciascun mese. In teoria l’obbligo vigeva da anni, ribadito dalla legge 183 del 2010 all’articolo 24, ma era rimasto per i più solo sulla carta.
I sindacati della scuola hanno protestato sin dall’inizio, parlando di accanimento contro i diritti dei lavoratori. Ma ora che conosciamo i risultati della ricognizione quelle proteste appaiono del tutto ingiustificate. A fronte dell’1,5% di lavoratori del settore privato che beneficiano della 104, il personale di ruolo della scuola italiana a goderne è invece il 13%, che arriva al 17% nel personate ATA cioè tecnico-amministrativo. Il divario tra le regioni è fortissimo: si va dall’8.9% del Piemonte e al 9,7% del Veneto al 16,3% del Lazio, al 16,7% in Sicilia fino al 18,9% in Sardegna. Tra il personale ATA, vi sono regioni come Umbria e Lazio in cui i benefici della 104 sono riconosciuti a un lavoratore su 4, mentre in Piemonte sono meno di 1 su 8.
Si tratta di percentuali talmente multiple rispetto a quelle del lavoro privato, e talmente disomogenee per regione rispetto agli indici di patologie gravi e disabilità sul totale della popolazione, da rendere purtroppo più che legittimo e fondato un elevato sospetto. Basti il fatto che tra i supplenti la percentuale scende al 5%: ora è vero che sono più giovani, in media, rispetto agli insegnanti di ruolo, ma non poi così giovanissimi – visti i decenni di precariato alle spalle, per cui ne è stata decisa dal governo la massiccia regolarizzazione – da giustificare un indice inferiore di quasi sette decimi a quello di chi è in ruolo.
A questo punto, una ovvia precisazione. Non intendo minimamente negare la piena fondatezza di una legge e di un diritto che sono nati prendendo atto delle insufficienze della sanità e del welfare pubblico, rispetto ai carichi gravosi lasciati sulle famiglie in caso di serie disabilità e patologie. Ma i dati indicano una cosa con chiarezza, a chiunque abbia un minimo di senso della giustizia ed equità. Bisogna farla finita con i furbi, quindi bisogna rivedere e potenziare i controlli. Proprio per distinguere chi ha pieno diritto a dover alleviare le proprie sofferenze in famiglia, da chi invece ne approfitta bassamente per lavorare meno. Non è possibile accettare un mondo del lavoro in cui il privato segue regole rigorose, e il pubblico concepisce e attua invece la 104 come se garantisse un minor carico di lavoro rispetto a quello contrattuale, a spese del sistema sanitario nazionale chiamato a rifondere all’INPS le somme che esso anticipa.
Fino a oggi l’andazzo è stato troppo tollerato. Ieri, ai microfoni della trasmissione che conduco a radio24, il vicepresidente dell’associazione nazionale presidi Mario Rusconi ha raccontato di quando, denunciata da parte sua alla procura un’insegnante che fruiva di ben tre permessi ex lege 104 e che era risultata non averne diritto alle verifiche disposte, dopo il licenziamento per giusta causa disposto dall’amministrazione scolastica il giudice aveva invece deciso per la reintegra. Un chiaro segnale a tutti i dirigenti scolastici: fatevi i fatti vostri.
Un tale atteggiamento di compiacenza deve sparire. Perciò bisogna rimettere mano ai controlli. Le sentenze della Corte di Cassazione accumulatesi negli ultimi anni ne hanno già posto le basi. L’abuso della 104 può avvenire sia violando i requisiti delle patologie e disabilità previste dalla legge per i soggetti da assistere, sia l’oggettività del rapporto che solo eccezionalmente può essere esteso ai parenti di terzo grado, sia se al posto dell’effettiva assistenza nelle ore di permesso ci si dedica a diverse attività private o lavorative. A seconda della gravità delle violazioni, le sanzioni disciplinari pubbliche arrivano sino al licenziamento per giusta causa. E in quel caso si possono configurare anche le aggravanti della truffa e del danno erariale. La Cassazione ha legittimato anche il cosiddetto “controllo occulto difensivo”, respingendo le impugnative di lavoratori licenziati a seguito del ricorso da parte dei datori di lavoro a investigatori privati, per accertare l’effettivo comportamento dei dipendenti durante i permessi accordati secondo la legge 104. E alle sanzioni disciplinari pubbliche si accompagnano quelle INPS, con il recupero delle somme erogate.
Esiste senza dubbio un problema di potenziamento del personale da destinare ai controlli, sia nell’ambito del servizio sanitario nazionale sia nell’INPS. Oggi, per poter chiedere di avvalersi della 104, un lavoratore dipendente deve aver ottenuto da una commissione medica incaricata il riconoscimento per il familiare da assistere di soggetto portatore dell’handicap e patologie indicate dalla legge. Se ne occupa una commissione in ogni Asl preposta all’accertamento. Per essere effettivi, i controlli dovrebbero sempre essere effettuati da una Asl diversa da quella di origine, in maniera che non debba giudicare se stesso chi ha eventualmente certificato abusi magari lucrando, perché oltre ai permessi 104 ha acconsentito anche ad assegni di accompagnamento o a una pensione sociale minima. E qui si aggiunge un problema del tutto analogo al riconoscimento delle invalidità ai fini previdenziali: c’è un lungo contenzioso tecnico tra i medici INPS inseriti nelle commissioni Asl e viceversa, senza la cui soluzione i controlli restano in buona parte inefficaci.
Due considerazioni finali. Il problema non riguarda affatto solo la scuola. In moltissime società controllate pubbliche i beneficiari della 104 sono molto superiori al 13% del sistema scolastico. All’AMA di Roma 2 anni fa scoppiò lo scandalo alla notizia che la percentuale raggiungeva quasi il 25%. E l’anno scorso la società ha licenziato i primi due dipendenti beccati dai controlli a fare shopping ed esercizi in palestra, invece di assistere i parenti disabili. Ma due rondini sole non fanno primavera..
Infine, c’è una vera e propria idea sballata di fondo, da svellere. Quella che aver tenuto gli occhi chiusi su questi fenomeni fosse un modo per equilibrare il fatto che al settore pubblico si riservassero blocco del turnover ergo anche invecchiamento medio dei dipendenti – i nostri insegnanti sono i più anziani tra tutti i paesi OCSE – e blocco dei contratti. E’ un’idea inaccettabile. Ora che anche lo Stato dichiara di tornare a nuovi contratti e, speriamo, si avvia a offrire salari di merito davvero capaci di premiare risultati e impegno, a maggior ragione non si può chiedere ai dipendenti privati di tollerare un simile lassismo pubblico.