Cari sovranisti, combattete il debito
Tu chiamalo, se vuoi, sovranismo. È il trend politico del momento e accomuna leader e movimenti politici in tutto l’Occidente, da Nigel Farage a Donald Trump, da Matteo Salvini a Geert Wilders, da Norbert Hofer a Marine Le Pen. E non è certo un caso se il sovranismo viene spesso accostato al populismo, nei programmi dei movimenti politici che rappresentano queste istanze così come nella percezione dell’opinione pubblica. La domanda politica populista chiede di rimettere nelle mani della scelta collettiva (cioè della democrazia) ciò che rule of law, capitalismo, e globalizzazione hanno rimesso alla scelta individuale, ribaltando l’accezione negativa della dittatura della maggioranza e trasformandola in virtù, se non addirittura in un diritto da restituire ai cittadini.
In campo economico, il sovranismo aggiunge a questo principio il frutto di un’ideologia che si proclama rivoluzionaria e liberatrice, ma che – scartata la confezione – si rivela in realtà la metamorfosi più recente dello statalismo vecchia maniera. Cambia il nome, non la sostanza: i sovranisti semplicemente disprezzano il mercato e la libertà, promuovendo il ritorno al controllo dello Stato su ogni aspetto dell’economia, dalla politica monetaria all’importazione delle arance.
Nel campo della finanza pubblica, di conseguenza, il sovranismo osteggia qualunque limite al potere ‘democratico’ dei governi di spendere e tassare se, come e quando desiderano. Non a caso, uno dei bersagli classici dei leader sovranisti di destra e di sinistra è il sistema finanziario, reo, a loro detta, di esercitare un forte potere di ricatto sui governi, influenzandone le scelte.
Vi confesso una cosa: penso che i sovranisti, su questo punto, abbiano una parte di ragione. Spesso le politiche ‘suggerite’ dagli operatori nei mercati finanziari, dai loro rappresentanti istituzionali e dai loro influencers sono, a mio avviso, complessivamente preferibili a quelle che metterebbero in atto i governi in loro assenza. Non per tutti, però, il fine giustifica i mezzi. E, se si antepone il metodo al merito, l’influenza dei mercati sui governi costituisce innegabilmente un serio argine al potere di questi ultimi. Argine che, lo ribadisco, è a mio avviso cosa buona e giusta. Ma che per molti, legittimamente o meno, non lo è.
Ciò che fatico a comprendere della posizione sovranista sulla finanza pubblica, dunque, non è la posizione in sé, ma i nemici che si sceglie. La ragione per cui i governi subiscono il ricatto dei mercati finanziari non sta in qualche oscuro complotto ai nostri danni o nella naturale inclinazione di chi governa a prostrarsi al volere di qualche potente colletto bianco. No: la ragione per cui i governi subiscono il ricatto dei mercati finanziari è che questi posseggono un credito verso l’Italia molto superiore alla ricchezza che il nostro Paese è in grado di produrre in un anno. In altre parole, negli scorsi decenni ci siamo indebitati verso ‘i mercati’ di una cifra tale che non basterebbe un anno di lavoro di tutti gli italiani per ripagarla: duemilaquattrocento miliardi di Euro, cioè quasi 40mila Euro di debiti che pendono sulla testa di ciascun cittadino del nostro Paese, neonati compresi.
Tutto ciò è stato reso possibile dal fatto che in 150 anni di storia, l’Italia ha chiuso il proprio bilancio in pareggio solo due volte (nel 1875 e nel 1925). 148 volte su 150, i governi hanno chiuso l’anno spendendo più di quanto avessero a disposizione. E sapete dove ha trovato i soldi necessari a coprire la differenza? Chiedendoli in prestito ai mercati finanziari. Chi concederebbe mai un prestito a una famiglia o a un’azienda che ogni anno accumula debiti, spendendo più soldi di quelli che possiede? Facile: nessuno. A meno che i tassi d’interesse sul prestito siano particolarmente vantaggiosi. Per ciascuna lira e per ciascun Euro che ha chiesto in prestito ai mercati per poter spendere più di quanto disponesse, lo Stato italiano ne ha promessi in cambio due, tre, talvolta addirittura cinque o sei.
Ogni anno, l’Italia spende oltre 70 miliardi di Euro per ripagare gli interessi sul debito – e sarebbero molti di più, per inciso, se invece dell’Euro utilizzassimo una moneta nazionale. Con quei soldi potremmo permetterci redditi di cittadinanza, aumenti delle pensioni e chissà quali e quante altre misure care ai sovranisti e ai populisti del nostro Paese. Non solo: sono proprio i tassi d’interesse sul debito a generare l’arma del ricatto dei creditori del nostro Paese, che minacciano di non prestarci più soldi se non adottiamo le scelte politiche che essi stessi ci suggeriscono. Ecco perché non dovrebbe essere né l’Euro né i vincoli di Maastricht il vero nemico di chi vorrebbe che l’Italia tornasse ‘sovrana’, padrona del proprio destino e della propria economia: è il debito pubblico il primo e più importante limite alla nostra sovranità, ed è contro di esso che si dovrebbero concentrare gli sforzi di chi non vuole cedere al ricatto dei mercati e della finanza. Se siete davvero tali, cari sovranisti, combattete il debito.
Twitter: @glmannheimer